Messico, nelle urne la sfida agli Usa

OMERO CIAI

Favorito l´ex sindaco di sinistra Obrador. Marcos in
piazza nella capitale

Oggi le elezioni
presidenziali e politiche. Gli zapatisti si astengono e organizzano una marcia
durante il voto
Il vero pericolo sono i brogli: nelle liste elettorali un milione e mezzo di
morti risultano ancora presenti come votanti

CITTÀ DEL MESSICO – Fagioli e mais sono le due
principali preoccupazioni di Andres Manuel Lopez Obrador, il candidato
presidenziale del Prd, il partito della rivoluzione democratica, la sinistra
messicana. Nel 2008, grazie al Trattato di libero commercio stipulato nel
1994 fra Messico e Stati Uniti, i fagioli e il mais dei coltivatori americani
passeranno la frontiera senza dazi, liberamente. E, già oggi, fagioli e mais
americani, costano sul mercato messicano due terzi in meno di quelli prodotti
dai contadini locali. Sono di qualità decisamente peggiore ma rischiano di
mandare in bancarotta i piccoli produttori messicani
.

Anzi, l´hanno già fatto. Sarebbe ingiusto scrivere solamente che grazie al
Trattato di libero commercio il Messico importa prodotti made in Usa ed esporta
oltre frontiera giovani contadini. Ma, se nel corso degli ultimi sei anni,
dall´inizio del nuovo millennio ad oggi, altri quattro milioni di latinos –
senza contare quelli che hanno perso la vita nel cammino – sono andati ad
ingrossare l´esercito di hispanos low cost che popolano il Nord America, molto
si deve alla povertà delle regioni agricole nel centro-sud del Messico e alla
massiccia importazione di prodotti Usa.
Così, difendere l´economia nazionale dall´assalto della globalizzazione è,
come per Lula in Brasile o per Kirchner in Argentina, l´obiettivo numero uno
della sinistra messicana
. D´altra parte esistono e vincono in tutta
l´America Latina proprio per questo. È lo stesso processo economico a cui si
sono opposti e gli indios del Chiapas zapatista. Marcos osteggia apertamente
Lopez Obrador e, per quel che conta, 2-3% dei votanti, ha scelto l´astensione
.
Ma oggi l´uomo del passamontagna parteciperà a una marcia di protesta convocata
dall´Esercito zapatista nel centro della capitale. Naturalmente non tutti
condividono questa impostazione. Come convincere, per esempio, le regioni del
nord, dove la delocalizzazione delle imprese Usa, ha portato lavoro e industrie
,
che il Trattato va, almeno, rinegoziato? I grandi investimenti americani non
hanno portato solo le cosiddette fabbriche-basura, le imprese-mondezza dove si
cuciono t-shirt per tre pesos. Hanno delocalizzato anche alta tecnologia, nuove
professionalità, benessere. E´ la forza di Calderon, il più forte tra gli
avversari di Lopez Obrador, che garantisce stabilità macroeconomica e ottimi
rapporti con la Casa Bianca. Felipe Calderon, 43 anni, studi negli Usa,
rappresenta la continuità con il presidente uscente, Vicente Fox
. E questa
è la sua debolezza, tanto che ha cercato di ritagliarsi una immagine di «figlio
ribelle» del Pan, perché Fox – buoni numeri economici a parte – lascia la
presidenza con le stigmate del Messico di sempre: corruzione, nepotismo,
sottomissione ai forti
(l´oligarchia) e disprezzo per i deboli
(l´immensa nazione dei poveri, oltre il 50 percento dei 110 milioni di abitanti
del Messico).
Andres Manuel ha 53 anni. E´ stato, a lungo, governatore, e con buoni
risultati, di Città del Messico, una megalopoli ingestibile con venti milioni
di abitanti, ma non ha quasi mai viaggiato all´estero. Cioè lo ha fatto quattro
o cinque volte. Due sicuramente per andare a Cuba
. Un´altra per fare un
breve giro turistico degli Stati Uniti con la famiglia. Eppure è un uomo
impeccabile. Piccolino e magro si alza sempre prima delle sei del mattino
(l´ora in cui convoca il suo staff) ed è dotato di una energia inesauribile.
Veste soltanto completi blu molto scuro e l´inevitabile camicia bianca con
l´ultimo bottone slacciato, quasi sempre senza cravatta. Ma è imbattibile
quando parla
. Usa un linguaggio semplice e preciso, lucidissimo
nell´argomentare, che non concede assolutamente nulla alla passionalità e alla
retorica verbosa e vacua tipica dei populisti latinoamericani alla Chavez o
alla Fidel Castro. Eppure è magnetico. I suoi fan si spellano le mani quando lo
ascoltano e le donne, a volte, svengono. L´altro giorno, nella piazza dello
Zocalo di Città del Messico, alla manifestazione di chiusura della campagna
elettorale, c´erano ragazze che portavano il pupazzetto di Obrador stretto al
petto e urlavano per lui come non avrebbero fatto neppure per i Beatles.
Lui ha fama d´autoritario, decisionista, poco incline al compromesso. Ha
fatto fuori dal partito il vecchio patriarca, quel Cuauhtemoc Cardenas ch´è
stato per due decenni il padre padrone della sinistra messicana, senza offrigli
neppure l´onore delle armi
. Un posticino seppur simbolico. Però ha tre
idee molto chiare in testa per il futuro del Messico.
La prima è la difesa dell´economia nazionale contro lo strapotere di
Washington. La seconda è una redistribuzione, anche forzata, della ricchezza
:
ovvero pensioni per tutti gli anziani e per le donne sole di qualsiasi età. La
terza è l´austerità per il governo e i funzionari dello Stato
: via
privilegi e auto blu. E poi abbassare i costi dei servizi (benzina, luce
e gas), investire nella ricerca di nuove fonti d´energia (i giacimenti di
petrolio) e finanziare le Università e l´istruzione. I sondaggi della
vigilia dicono che vincerà, ma i sondaggi spesso sbagliano. Gli uomini del suo
staff dicono che vincerà senza alcuna ombra di dubbio se calerà, anche di poco,
l´astensione. Ossia se il totale dei votanti sarà superiore al 60 percento dei
settanta milioni di elettori. Il vero pericolo, in una elezione
presidenziale secca, senza ballottaggio, con tre candidati intorno al 30
percento dei suffragi, sono i brogli. E in Messico la frode elettorale è più
famosa della Tequila
. Una caratteristica proprio della classe politica,
come la corruzione. Negli elenchi elettorali c´è almeno un 10% di errori. Ossia
un milione e mezzo di morti che ancora sono presenti come votanti.

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