Mercato Lavoro Come se la passa la piccola e media borghesia tedesca? + statistiche varie

Germania, mercato lavoro, società
Faz      130102

Povertà e ricchezza – Come se la passa la piccola e media borghesia tedesca?

Philip Plickert

–       Dibattito politico in Germania sulla pauperizzazione delle “classi medie”, la piccola e media borghesia, considerata la spina dorsale sociale della Germania.

Mentre finora era considerata ampia e stabile a confronto internazionale,

–       secondo uno studio della Fondazione Bertelsmann da 15 anni la “classe media”   sarebbe scesa al 58% della popolazione complessiva, un calo 7 punti % dal 1997, pari a – 5,5 milioni.

o   ¼ della “classe media” teme di perdere il proprio status; in realtà non si tratterebbe di una uscita in massa da questi strati intermedi, ma di un aumento degli strati di reddito inferiori e di una maggiore difficoltà di fare parte della classe media.

o   Negli ultimi 20 anni è prevalsa la tendenza alla mobilità verso il basso, mentre sempre più immobili le ali estreme della stratificazione reddituale;

o   coloro che sono usciti dalla fascia di reddito medio hanno sempre maggiori difficoltà a salire la scala di reddito.

o   Più toccati dalla riduzione della classe media sono i Land orientali.

–       Secondo l’Istituto per l’Economia tedesca (IW) la “classe media” sarebbe stabile, dopo essere diminuito a fine millennio, attualmente registra solo un leggero calo rispetto gli inizi degli anni Novanta,

o   rispetto a cui il reddito medio è diminuito di circa 4 punti %; è diminuita in Occidente anche la soglia tra strati inferiori e medi.

o   Statisticamente c’era paradossalmente molto più “classe media”.

o   Negli anni Novanta il reddito dei nuovi Land ha recuperato fortemente.

–       Secondo altri ricercatori la riunificazione tedesca ha avuto un effetto distorsivo: nel 1990 si sono uniti 17 milioni di cittadini il cui reddito medio era oltre la metà inferiore a quello della Germania occidentale, ma distribuito più equamente.

–       Il capo del sindacato servizi dei Verdi, Bsirske: il divario tra ricchi e poveri non è mai stato tanto grande;

–       le classi medie si sentono minacciate;

–       l’Ufficio statistica statale tedesco: il 5,3% dei tedeschi è povero o socialmente escluso.

La “classe media” tedesca: prima aumentata, poi calata.

La “classe media” è definita in base al reddito, come l’insieme di coloro che hanno un reddito disponibile tra il 70 e il 150% del reddito medio, che nel 2009 era di €1600/mese, da moltiplicare per 1,5 per una famiglia con due redditi.

Ripartizione delle persone nelle famiglie per fasce di reddito, in % del reddito medio.

in azzurro strato inferiore < del 70; in rosso, medio (tra 70 e 150); in verde, strato superiore (> di 150)

–       (Un precedente studio dell’Istituto Tedesco di Ricerca Economica (DIW) si parlava di panico per la perdita di status).

–       Per l’OCSEsono vari i fattori che determinano la distribuzione del reddito:

o   al primo posto il progresso tecnico, che favorisce chi è altamente qualificato,

o   i lavoratori scarsamente qualificati sono sotto la pressione della razionalizzazione e dell’automatizzazione.

o   In diversi paesi una crescente disoccupazione ha contribuito alla diseguaglianza,

o   ma in Germania dalla liberalizzazione del mercato del lavoro, negli ultimi sette anni, la tendenza si è invertita: si è avuto un forte calo della disoccupazione e della disoccupazione di lungo termine,

o   mentre si è allargato il settore dei bassi salari, è diminuito il vincolo contrattuale e la forza contrattuale dei sindacati,

o   ci sono state riforme fiscali, che hanno sgravato tutte le fasce di reddito,

o   ma hanno aumentato in assoluto gli strati con redditi più alti.

–       Anche il mutamento demografico ha contribuito ad una polarizzazione dei redditi:

o   ad es. l’aumento delle famiglie di single e fa sì che ci sia un maggior numero di uomini statisticamente classificati a basso reddito.

–       Pareri divergenti sull’influenza dell’immigrazione:

o   secondo alcuni è aumentato lo strato inferiore a causa dell’immigrazione di forza lavoro a bassa qualifica:

o   dei 4,1 milioni di persone che si sono aggiunte alla fascia inferiore di reddito tra il 1990 e il 2006, 2,9 milioni erano immigrati (dati Soep, sociologo Miegel)

o   Tra gli immigrati la disoccupazione è il doppio di quella media tedesca.

–       In Germania è andata scomparendo la distinzione tra colletti bianchi e tute:

o   artigiani, e lavoratori specializzati e capisquadra appartengono alla “classe media”;

o   mentre i lavoratori semi e non specializzati, gli impiegati semplici e i dipendenti a livello inferiore del PI rientrano nella fascia bassa.

o   Nella fascia reddituale media rientrano varie professioni, dal lavoratore specializzato all’insegnante di ginnasio.

o   Dello strato superiore fanno parte impiegati con funzioni dirigenti o alti funzionari, primari medici, professori universitari, autonomi e imprenditori con almeno 10 dipendenti … come pure cittadini benestanti e eredi di imprese.

o   Secondo l’opinione popolare la soglia di reddito per i “ricchi” è superiore ai €2400 netti, che rappresentano il 150% del reddito medio, e comincia dai €9100/mese.

o   Per i ricercatori comincia dai €3000 ai €5000/mese.

–       Ad un confronto internazionale la Germania ha una diseguaglianza materiale inferiore a molti altri paesi:

o   ad es. fatto 0 l’uguaglianza assoluta, e 1 la diseguaglianza estrema secondo il coefficiente di Gini, il coefficiente per la Germania e salito a 0,30, inferiore alla media dei paesi OCSE che è di 0,31.

o   In GB il valore è 0,34, e negli USA 0,38.

o   il coefficiente di Gini è maggiore anche nel Sud ed Est Europa.

o   È inferiore solo nei paesi scandinavi.

–       Secondo un’inchiesta nel 1990 il 60% dei tedeschi occidentali e il 37% di quelli ex DDR si considerava appartenente alla “classe media”, % cresciute fino al 2010, al 62% per i Land dell’Ovest e al 51% per quelli dell’Est,

–       sempre meno si identificano con strati salariati, e ancor meno come strato superiore.

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“ I conflitti sociali potrebbero riprendere forza”

A.     BALDAUF, S. HASELBERGER

Intervista a Bsirske (60 anni), il capo del sindacato Ver.di, che rappresenta oltre 2 milioni di salariati, sul rinnovo contrattuale 2013 e sul duello tra la Cancelliera Merkel (CDU) e il candidato SPD, Steinbrück.

Bsirske: Come candidato alla Cancelleria, Steinbrück, ha avanzato proposte costruttive contro i salari da fame, l’ingiustizia fiscale e il rischio di de pauperizzazione degli anziani.

–       Il suo programma elettorale è un’inversione rispetto alla politica da lui condotta come ministro Finanze …

–       Non c’è mai stato un divario così grande come oggi tra ricchi e poveri, e mai la “classe media” si è sentita tanto minacciata; ciò potrebbe avere gravi conseguenze, …

o   anche in Germania potrebbe esservi un’escalation dei conflitti sociali, se la crisi non viene contrastata.

–       Per i dipendenti del PI chiediamo aumenti salariali del 6,5%; anche il ministro Finanze CDU, Schäuble, pensa che i salari del PI possono aiutare a stabilizzare i mercati o aprire un mercato in Germania ai paesi in crisi.

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Faz      130103

La competitività della Germania – Da dove proviene il miracolo nel mercato del lavoro?

–       Nel 2012 in Germania c’è stata una media di 2,8 milioni di disoccupati, il livello del 1991;

–       41,5 milioni gli occupati (dati Agenzia federale per il lavoro e Ufficio Statistico federale, tedeschi), +416 000, =+1,0% rispetto al 2011.

–       Dal 2005 il numero degli occupati è aumentato complessivamente di 2,66 milioni di persone, +6,8%.

–       Quello dei disoccupati era di 2,34 milioni, calati di 2,23 milioni, = -48,8%, quasi dimezzati rispetto al 2005; -6,5% rispetto alla media del 2011.

–       A dicembre 2012 la domanda di lavoro delle imprese è stata la più bassa da 2 anni.

–       I salariati con contratto ed iscritti alla previdenza sociale sono 37 milioni, aumentati dell’1,1% sul 2011; +1,2% industria, +1,3% edilizia.

–       Quasi fermo il numero degli autonomi (+0,1%)

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–       I posti di lavoro creati sono buoni posti di lavoro o soprattutto rapporti di lavoro precari?

–       entrambe le cose:

o   dal 2003 al 2010 è fortemente cresciuto il tasso di occupazione, dal 64 al 70% delle persone in età lavorativa, essenzialmente grazie alle riforme Hartz. (IAB, Istituto di ricerca sul mercato del lavoro e sulle professioni.

o    (Bertelsmann) Gran parte della crescita occupazionale è da ascrivere ad occupazioni atipiche, soprattutto nei settore servizi; i contratti a tempo parziale, tempo determinato, e minijob,[1] come pure nuove forme di lavoro autonomo richiedono una forte flessibilità mentre diminuisce la sicurezza di reddito e del posto di lavoro;

o   secondo l’OCSE, il successo tedesco nell’export è da ascrivere non più a prodotti innovativi ma a un andamento salariale al ribasso.

o   Bertelsmann chiede di contrastare la divisione del mercato del lavoro; bassi salari, maggiore difficoltà di accesso alla sicurezza sociale, nessuna tutela contro i licenziamenti, maggiore difficoltà a partecipare alla formazione e minori prospettive di ascesa professionale sono i tratti distintivi dei lavoratori emarginati dal mercato del lavoro.  

o   l numero dei mini-lavori è rimasto costante nell’ultimo decennio, diminuito negli ultimi 5 anni.

o   Tra i salariati sono aumentati i contratti a tempo determinato o a tempo parziale; dal 2005 questi due tipi di rapporto di lavoro si sono stabilizzati.

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[1] Oggi sono oltre 7 milioni occupati nel settore dei “minijob”, da €400/mese, reddito che per i lavoratori dipendenti non è sottoposto a imposte né a trattenute per la previdenza sociale, versati dal datore di lavoro.

Grafico 1
In Germania aumenta il tasso di occupazione

Grafico 2
Tasso di disoccupazione in Germania

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Grafico 3
Tassi di occupati dipendenti a tempo determinato sul totale occupati

                                    

Grafico 4
% degli occupati a tempo parziale

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Tabella 1 sui minijob

2a colonna valori assoluti; 3a colonna, variazioni % su anno precedente.

 4° colonna, minijob come unica occupazione, valori assoluti; 5° colonna, variazioni % su anno precedente;

6° colonna: minijob come secondo lavoro, valori assoluti; 7° colonna: variazioni % su anno precedente.

Grafico 5:
andamento dell’occupazione nel settore minijob
Tabella 2, dati riferiti a Grafico 5
Grafico 6:
andamento dell’occupazione nel settore minijob, come secondo lavoro
 
Tabella 3
andamento occupazionale nel settore “minijob a reddito medio” (€400-800/mese)
Grafico 7
salario lordo nel settore dei minijob in euro; in blu come unica occupazione; in azzurro come lavoro secondario
Grafico 8
Andamento orario settimanale nel settoe minijob
in blu come occupazione esclusiva; in azzurro come secondo lavoro
Grafico 9
salario orario lordo in euro nel settore dei minijob
Grafico 10

Lavoratori nel settore minijob per sesso, in blu le femmine, in azzurro i maschi

Grafico 11
2007, Struttura occupazionale nella UE a 27, e tassi di inattività (% di attivi e inattivi sulla popolazione in età lavorativa.

Marrone, tempo pieno indeterminato; blu, tempo parziale, indeterminato; rosso, tempo parziale, basso salario; azzurro, tempo determinato; nero, tasso di inattività

Grafico 12
Quota (in azzurro) dei lavoratori a tempo determinato in % nel 2008, in blu la variazione dal 2001 in punti %
Grafico 13

Lavoro a tempo determinato/interinale (in equivalenti a tempo pieno) sulla popolazione attiva nei vari paesi – 2007 (in azzurro) e andamento dal 2000 (in blu)

Grafico 14
Quota degli autonomi (non agricoli) in %, 2008 (azzurro) e variazione dal 2001 (blu)
Grafico 15
2008 (azzurro), quota dell’occupazione a basso salario (inferiore ai 2/3 del salario medio) – e variazione sul 2000 in % (blu)
Grafico 16
2008 (azzurro), Tasso dell’indennità di disoccupazione rispetto al salario netto per i disoccupati di lungo periodo; valori medi per 4 famiglie tipo e due livelli di reddito, e variazione rispetto al 2001 (blu)
Grafico 17
2007, Spesa per la politica attiva (azzurro) e passiva (blu) del lavoro in % sul PIL; in rosso le spese per i servizi al mercato del lavoro

Faz      130102

Konjunktur in Deutschland So viele Erwerbstätige wie noch nie

02.01.2013 · Unternehmen werden vorsichtiger, was Neueinstellungen angeht, teilt die Bundesagentur für Arbeit mit. Das ist kein Grund zur Panik: Im vergangenen Jahr gab es in Deutschland so viele Erwerbstätige wie noch nie.

–          Im abgelaufenen Jahr waren so viele Menschen in Deutschland erwerbstätig wie noch nie zuvor. Im Schnitt des Jahres 2012 registrierte das Statistische Bundesamt 41,5 Millionen Beschäftigte mit einem Wohnort in Deutschland, wie das Amt am Mittwoch in Wiesbaden mitteilte. Das waren 416.000 Menschen oder 1,0 Prozent mehr als im Jahr zuvor.

–          Insbesondere in der zweiten Jahreshälfte schwächte sich das Job-Wachstum aber im Zeichen der konjunkturellen Flaute ab. 2011 war die Beschäftigtenzahl noch um 1,4 Prozent gewachsen. Für das gerade begonnene Jahr 2013 erwarten Experten eine weiter abnehmende Dynamik, aber immer noch leicht steigende Beschäftigtenzahlen. Zum Ende des vergangenen Jahres haben Unternehmen in Deutschland weniger neue Arbeitskräfte nachgefragt. Der Stellenindex BA-X der Bundesagentur für Arbeit (BA), der diese Nachfrage abbildet, sank im Dezember auf den niedrigsten Stand seit zwei Jahren. Die Arbeitslosenzahlen für Dezember 2012 will die BA an diesem Donnerstag in Nürnberg veröffentlichen.

Die gesunkene Nachfrage nach Arbeitskräften ist dabei aber ein Eintrübung in einem sehr stabilen Arbeitsmarktumfeld.

–          Der neue Beschäftigungsrekord für 2012 ist der sechste Höchstwert in Folge.

–          Seit 2005 ist die Zahl der Erwerbstätigen damit um insgesamt 2,66 Millionen Personen (+ 6,8 Prozent) gestiegen, teilte das Bundesamt weiter mit.

–          In der gleichen Zeit hat die Zahl der Erwerbslosen um 2,23 Millionen oder 48,8 Prozent abgenommen und sich damit nahezu halbiert. 2012 zählten die Statistiker noch 2,34 Millionen Erwerbslose. Das waren 162.000 Menschen oder 6,5 Prozent weniger als im Schnitt des Vorjahres.

–          Am stärksten wuchs erneut die Zahl der sozialversicherungspflichtig Beschäftigten, die mit rund 37 Millionen auch weiterhin die größte Gruppe stellen. Ihre Zahl nahm im Jahresschnitt um 410.000 Menschen oder 1,1 Prozent zu.

–          Kaum Zuwachs (+0,1 Prozent) gab es hingegen bei den Selbstständigen und ihren mithelfenden Familienangehörigen, die rund 4,55 Millionen zählten.

–          Industrie und Baugewerbe lagen mit Beschäftigtenzuwächsen von 1,2 beziehungsweise 1,3 Prozent über dem Durchschnitt. Sämtliche Dienstleistungen zusammengefasst lagen genau im Schnitt bei 1,0 Prozent, während Land- und Forstwirtschaft mit einem Mini-Plus von 0,1 Prozent stagnierten.

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Faz      130102

Armut und Reichtum Wie schlägt sich Deutschlands Mittelschicht?

02.01.2013 ·  Sind in Deutschland die Mittelschicht kleiner geworden und die Armut größer? Statistiken sagen: Etwas schon. Verglichen mit anderen Ländern erscheint sie nach wie vor aber breit und solide. Was denken Sie?

Von Philip Plickert

–          Sozialverbände und Gewerkschaften schlagen Alarm: „Rekordarmut“ gebe es in Deutschland. Frank Bsirske, der grüne Chef der Dienstleistungsgewerkschaft Verdi, wählte drastische Worte: „Noch nie war die Kluft zwischen Arm und Reich so groß, noch nie musste sich die Mittelschicht so bedroht fühlen“, sagte er kürzlich in der „Bild“-Zeitung.

–          Der Paritätische Wohlfahrtsverband verwies auf einen steigenden Anteil von 15,1 Prozent der Bevölkerung, der als „armutsgefährdet“ gelte. Vor einigen Wochen schrieb das Statistische Bundesamt in einer Pressemitteilung zugespitzt, dass gar „jeder Fünfte“ in Deutschland von Armut oder sozialer Ausgrenzung betroffen sei. Erst weiter unten in einer Tabelle war zu lesen, dass tatsächlich 5,3 Prozent – also jeder Zwanzigste – arm („erheblich materiell depriviert“) seien.

–          Die Vielzahl der Statistiken und Studien stiftet Verwirrung und Verunsicherung.

–          Der Politikwissenschaftler Klaus Schroeder kritisierte jüngst im Interview in der F.A.Z. eine „politisch motivierte Armutsforschung“.

 

–          Politisch brisant sind die sich häufenden Studien über eine angebliche Erosion der Mittelschicht. Gerade in Deutschland wird die Mittelschicht als soziales Rückgrat des Landes angesehen. Bislang galt sie im internationalen Vergleich als breit und stabil.

–          Doch einige Studien lassen Zweifel aufkommen. Eine Studie im Auftrag der Bertelsmann-Stiftung kam jüngst zum Ergebnis, dass die Mittelschicht seit fünfzehn Jahren schrumpfe und um 5,5 Millionen Menschen kleiner geworden sei. Ihr Anteil an der Gesamtbevölkerung ist gegenüber 1997 um 7 Prozentpunkte auf 58 Prozent gesunken.

–          Zur Mittelschicht zählt nach dieser Studie, wer ein verfügbares Einkommen zwischen 70 und 150 Prozent des mittleren Einkommens hat, gewichtet nach Haushaltsgrößen. Das mittlere Nettoeinkommen betrug 2009 knapp 1600 Euro monatlich. Für einen Paarhaushalt unterstellen die Forscher das 1,5-Fache.

Verzerrender Effekt der Wiedervereinigung

–          Jeder Vierte in der Mittelschicht mache sich „latente Sorgen“, dass er seinen Status verlieren könne, warnte die Bertelsmann-Stiftung in der Studie.

–          In einer früheren Untersuchung des Deutschen Instituts für Wirtschaftsforschung (DIW), auf deren Daten im Soziooekonomischen Panel (Soep) die meisten Forscher aufbauen, war sogar von „Statuspanik“ die Rede.

–          Olaf Groh-Samberg, Juniorprofessor für Soziologie an der Universität Bremen, der die Bertelsmann-Studie maßgeblich erstellt hat, sagte allerdings: „Es ist nicht so, dass wir einen massenhaften Abstieg aus der Mittelschicht hatten.“ Vielmehr gebe es eine Verfestigung der unteren Einkommensschichten, weil der Aufstieg in die Mittelschicht schwieriger geworden sei.

–          Ob die Mittelschicht tatsächlich gravierend geschrumpft ist, darüber streiten Ökonomen und Sozialwissenschaftler. „Die deutsche Mittelschicht ist stabil“, betont etwa das Institut der deutschen Wirtschaft. IW-Ökonomin Judith Niehues gibt zwar zu: „Auch wir halten in unserer Studie fest, dass die Mittelschicht um die Jahrtausendwende gesunken ist. Aber von andauerndem Schrumpfen der Mittelschicht zu sprechen, das passt nicht zu der stabilen Entwicklung seit 2005.“

–          Bei einer längerfristigen Betrachtung erkenne man, dass die Mittelschicht aktuell nur geringfügig unter den Werten zu Beginn der neunziger Jahre liege. Christian Arndt, Wirtschaftsprofessor an der Hochschule für Wirtschaft und Umwelt in Nürtingen, bestätigt dies: „Seit Anfang der neunziger Jahre ist die Einkommensmitte um etwa 4 Prozentpunkte zurückgegangen. Das kann man aber nicht als Bröckeln bezeichnen, wenn man die Schwankungen in diesem langen Zeitraum betrachtet“, sagt Arndt, der für die Konrad-Adenauer-Stiftung eine Überblickstudie über die Mittelschicht erstellte.

–          Andere Forscher verweisen aber auf den verzerrenden Effekt der Wiedervereinigung. 1990 kamen 17 Millionen Ex-DDR-Bürger hinzu, deren durchschnittliche Einkommen um mehr als die Hälfte unter dem West-Niveau lagen, aber gleichmäßiger verteilt waren.

–          Die Wiedervereinigung senkte das gesamtdeutsche Durchschnittseinkommen, damit sank auch die Schwelle im Westen zwischen Unter- und Mittelschicht. „Folglich gab es statistisch viel mehr Mittelschicht, nachdem mehr Einkommensschwache hinzukamen, ein paradoxes Ergebnis“, erklärt Groh-Samberg.

–          In den neunziger Jahren holten die Einkommen in den neuen Bundesländern stark auf. 1997 – just der Startpunkt der Bertelsmann-Studie – erreichte die statistisch errechnete Mittelschicht einen Höhepunkt von 65 Prozent. Vor kurzem allerdings erklärten DIW-Forscher, dass die Ungleichheit wohl 2005 den Höhepunkt überschritten habe. Seither gebe es eine „statistisch signifikante Trendumkehr“.

Umstrittener Einfluss der Einwanderung

–          Über die Ursachen der zuvor beobachteten Spreizung der Einkommen gehen die Meinungen auseinander. Die Organisation für wirtschaftliche Zusammenarbeit und Entwicklung (OECD) hat eine Vielzahl von Faktoren zusammengetragen: Ganz vorne steht der technische Fortschritt.

o   Er begünstigt Hochqualifizierte, während geringqualifizierte Arbeiter durch Rationalisierung und Automatisierung unter Druck geraten.

o   Zur Ungleichheit beigetragen hat in vielen Ländern eine wachsende Arbeitslosigkeit –

o   doch in Deutschland ist der Trend der vergangenen sieben Jahre umgekehrt. Sowohl die Arbeitslosigkeit als auch die Langzeitarbeitslosigkeit haben stark abgenommen seit der Arbeitsmarkt liberalisiert wurde.

o   Damit einher gingen eine Ausweitung des Niedriglohnsektors, eine schwindende Tarifbindung und eine geringere Verhandlungsmacht der Gewerkschaften.

o   Hinzu kamen Steuerreformen, die zwar sämtliche Einkommensschichten entlasteten, aber den Besser- und Spitzenverdienenden absolut mehr brachten.

–          Zuletzt erwähnt die OECD noch den demographischen Wandel, der auch zu einer Polarisierung der Einkommen beitragen kann.

o   Zum Beispiel führt der Trend zu mehr Einzelhaushalten dazu, dass mehr Menschen statistisch als einkommensarm gezählt werden, weil ihre Einkünfte je nach Haushaltsgröße „bedarfsgewichtet“ werden. Wenn man sich Kühlschrank und Fernseher nicht teilt, sondern allein anschaffen muss, wird das Einkommen knapper. Kritiker wie Ifo-Chef Hans-Werner Sinn nennen die Rechnungen zwar ein „statistisches Artefakt“, doch mit diesen Verfahren arbeiten alle Verteilungsforscher.

© F.A.Z. Die Mittelschicht wird kleiner

–          Umstritten ist auch der Einfluss der Einwanderung, den viele Untersuchungen höchstens am Rande erwähnen. Zu einem erheblichen Teil ist die Unterschicht aber durch geringqualifizierte Zuwanderer gewachsen: Von 4,1 Millionen mehr Menschen in der unteren Einkommensschicht zwischen 1996 und 2006 waren 2,9 Millionen Zuwanderer, ergab eine Auswertung von Soep-Zahlen durch den Sozialwissenschaftler Meinhard Miegel. Als das eigentliche Problem sieht er daher, dass diese Milieus sich verfestigen. Die Arbeitslosenquote unter den Zuwanderern ist nach wie vor doppelt so hoch wie im deutschen Durchschnitt.

Für die Bevölkerung ist reich, wer mehr als 9100 Euro im Monat verdient

–          Wo genau die Mittelschicht anfängt und wo sie endet, berechnen die meisten Verteilungsforscher nicht nur nach Einkommenszahlen. Die Mittelschicht definiert sich auch durch ihre Bildung und ein ausgeprägtes soziales Selbstbewusstsein. Früher, erinnert der Soziologe Groh-Samberg, sei die Rede gewesen von der „Kragenlinie“: Der Angestellte mit weißem Hemd grenzte sich von der Unterschicht ab, die sich bei der Arbeit dreckig machte. Diese Unterscheidung ist in der Bundesrepublik zunehmend verschwunden.

–          Handwerker, Fach- und auch Vorarbeiter zählen heute soziologisch zur Mittelschicht.

–          An- und ungelernte Arbeiter, einfache Angestellte sowie Beamte im unteren Dienst fallen in die Unterschicht. In den mittleren Einkommensschichten fänden sich viele Berufe, „vom Facharbeiter bis zum Gymnasiallehrer“, umreißt es IW-Ökonomin Judith Niehues.

– Die Oberschicht beginne beim leitenden Angestellten oder höheren Beamten, beim Chefarzt, beim Professor oder bei Selbständigen und Unternehmern mit mindestens zehn Mitarbeitern. Auch wohlhabende Privatiers und Unternehmenserben zählen dazu.

– In den Augen der Bevölkerung wird die Einkommensschwelle für „Reiche“ meist höher angesetzt als jene Schwelle von 2400 Euro Nettoverdienst, die 150 Prozent des Median-Einkommens darstellen.

– Der umstrittene Armuts- und Reichtumsbericht gibt eine repräsentative Umfrage wieder, nach der für die Bevölkerung reich erst derjenige ist, der mehr als 9100 Euro im Monat – so die mittlere Antwort – verdient.

– Für Verteilungsforscher beginnt die obere Einkommensgruppe üblicherweise bei 3000 bis 5000 Euro Monatseinkommen.

Deutschland weniger ungleich als andere Länder

–          Die deutsche Gesellschaft ist im internationalen Vergleich durch weniger materielle Ungleichheit geprägt als viele andere.

–          Das zeigt zum Beispiel der Gini-Koeffizient an. Ein Wert von 0 bedeutete absolute Gleichheit, ein Wert von 1 extreme Ungleichheit.

–          Der deutsche Gini-Wert ist leicht auf 0,30 gestiegen, liegt aber unter dem Durchschnitt der OECD-Industriestaaten von 0,31.

–          Deutlich ungleicher sind Einkommen in Großbritannien und den Vereinigten Staaten verteilt (Gini-Werte von 0,34 und 0,38),

–          auch in Südeuropa und in Osteuropa gibt es mehr Ungleichheit. Nur im egalitären Skandinavien sind die Einkommen gleicher verteilt. „Der deutschen Mittelschicht geht es im europäischen Vergleich gut“, muss auch Groh-Samberg eingestehen, obwohl seine Studie ein starkes Schrumpfen der Mittelschicht postuliert hatte.

–          Trotz vieler Alarmmeldungen bleibt die Bevölkerung doch gelassen. Eine repräsentative Umfrage ergab, dass die große Mehrheit sich selbst in der Mittelschicht verortet: 1990 gaben 60 Prozent der West- und 37 Prozent der Ex-DDR-Bürger an, sie zählten sich zur Mittelschicht.

–          Diese Werte sind bis 2010 sogar gestiegen. Jetzt zählten sich im Westen 62 Prozent und im Osten 51 Prozent zur Mittelschicht,

o   immer weniger identifizierten sich als Arbeiterschicht, ganz wenige als Oberschicht. Die Anziehungskraft der Mittelschicht ist größer denn je.

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Bertelsmann
Projektbeschreibung

– Der deutsche Arbeitsmarkt hat sich seit 2005 spürbar belebt und auch während der Wirtschaftskrise hat er sich als erstaunlich robust erwiesen. Diese erfreuliche Entwicklung hat allerdings auch ihren Preis. Ein großer Teil der zurückliegenden Beschäftigungszuwächse ist auf die Zunahme atypischer Beschäftigungsformen (vor allem im Dienstleistungssektor) zurückzuführen.

– Zeitarbeit, befristete und geringfügige Beschäftigung sowie neue Formen der Selbstständigkeit verlangen ein hohes Maß an Flexibilität, während die Sicherheit über Einkommen und Arbeitsplatzaussichten gleichzeitig abnimmt. Hinzu kommt die bedenkliche Meldung der OECD, dass die enormen Exporterfolge von Deutschland neuerdings nicht mehr auf innovative Produkte sondern auf schleppende Lohnentwicklung zurückzuführen ist.

Vor diesem Hintergrund sieht die Bertelsmann Stiftung dringenden Handlungsbedarf sowohl was die Arbeitsmarkt- und die Innovationspolitik angeht:

–          Für die Arbeitsmarktpolitik gilt es, der Spaltung des Arbeitsmarktes entgegenzuwirken. Geringe Entlohnung, schlechter Zugang zur sozialen Sicherung, kaum Kündigungsschutz, erschwerte Teilhabe an Weiterbildung und wenig Aussicht auf beruflichen Aufstieg sind die Merkmale, die die Menschen auszeichnen, die am Rande des Arbeitsmarktes stehen. Es muss dafür gesorgt werden, dass den Arbeitnehmern in prekärer Beschäftigung der Zugang zu regulären Arbeitsplätzen erleichtert wird und dass Phasen in flexiblen Beschäftigungsformen besser abgesichert sind.

–          Auf der gesamtwirtschaftlichen Ebene sind dagegen Impulse erforderlich, mit denen die Wettbewerbsfähigkeit von Unternehmen und damit letztlich die wirtschaftliche Dynamik erhalten oder gesteigert wird. Der Zugang zu einer dauerhaft tragfähigen Dynamik, die der Notwendigkeit eines ressourcenschonenden, ökologisch verträglichen Wirtschaftens Rechnung trägt und eine gesellschaftlich nachhaltige Arbeitswelt ermöglicht, liegt in der Innovation. Es muss darum gehen, neue Produkte, Verfahren und Organisationsformen zu entwickeln und diese erfolgreich auf nationalen und internationalen Märkten zu positionieren.

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Armutsdebatte entbrennt vor Weihnachten neu

20.12.2012 · Zweifel an Bericht / Sozialverband: Armut auf Rekordniveau / Leyen: Nicht dramatisieren

– enn. BERLIN, 20. Dezember. Unmittelbar vor Weihnachten ist eine neue Debatte über Armut und Reichtum in Deutschland entbrannt.

– Während Sozialverbände und Gewerkschaften unter Hinweis auf Studien und Statistiken wachsende Armut in Deutschland beklagen, kritisierte der Berliner Politologe Klaus Schroeder eine „politisch motivierte Armutsforschung“. Der Armuts- und Reichtumsbericht der Bundesregierung beruhe auf falschen methodischen Annahmen. Weder würden Rentenansprüche berücksichtigt noch Schwarzarbeit. „Aber wenn nur oft genug gesagt wird, dass Arme immer ärmer und Reiche immer reicher werden, glauben die Menschen irgendwann, dass sie in einer ungerechten Gesellschaft leben.“

Der Hauptgeschäftsführer des Paritätischen Wohlfahrtsverbandes, Ulrich Schneider, sprach hingegen am Donnerstag in Berlin von „Armut auf Rekordniveau“. Bundesarbeitsminister Ursula von der Leyen (CDU) hält die Entwicklung der Armut in Deutschland dagegen für nicht alarmierend. „Man sollte die Probleme weder dramatisieren noch kleinreden. Armut ist in einem reichen Land wie Deutschland relativ“, sagte von der Leyen. „Das mit Abstand größte Armutsrisiko in Deutschland ist die Arbeitslosigkeit. Da sind die Daten so, dass die Langzeitarbeitslosigkeit seit 2007 um 40 Prozent gesunken ist, dass wir die niedrigste Jugendarbeitslosigkeit in Europa haben.“ Zudem sei die Kinderarmut zurückgegangen, und es gebe weniger Kinder in Hartz IV. Auch die Programme für arbeitslose Alleinerziehende zeigten Wirkung. „Das zeigt, dass wir auf dem richtigen Weg sind.“

Das Kabinett wollte den umstrittenen Armuts- und Reichtumsbericht, der alle vier Jahre erscheint, ursprünglich in dieser Woche billigen. Die Regierung hat die Verabschiedung jedoch nach Unstimmigkeiten zwischen der Arbeitsministerin, dem Kanzleramt und Wirtschaftsminister Philip Rösler (FDP) über einzelne Passagen auf Ende Januar verschoben.

Nach dem Netzwerk „Nationale Armutskonferenz“ und der gewerkschaftsnahen Hans-Böckler-Stiftung nutzte nun auch der Paritätische Wohlfahrtsverband die Vorweihnachtswoche, um Alarm zu schlagen. Seit 2006 sei die Armutsgefährdungsquote stetig gestiegen und habe 2011 mit 15,1 Prozent einen Höchststand erreicht, sagte Hauptgeschäftsführer Schneider. In Bayern und Baden-Württemberg sind weit weniger Menschen gefährdet, arm zu werden. Bremen liegt mit 22,3 Prozent Armutsgefährdeten auf dem letzten Platz. Da immer mehr Menschen von Armut bedroht seien, müsse die Regierung ein Sofortprogramm für 10 bis 20 Milliarden Euro auflegen. Schneider forderte die Einführung eines gesetzlichen Mindestlohnes, einer Mindestrente, eine Erhöhung des Hartz-IV-Regelsatzes auf 420 Euro sowie ein höheres Wohngeld. Finanziert werden solle dies durch die Wiedereinführung der Vermögensteuer, die Anhebung des Spitzensteuersatzes sowie die Erhöhung der Erbschaftsteuer. Noch nie seit der Wiedervereinigung seien bei sinkender Arbeitslosigkeit so viele Menschen von Armut bedroht gewesen. Besonders dramatisch sei die Entwicklung in Berlin und Nordrhein-Westfalen. Die Entwicklung zeige, dass gute Arbeitslosenstatistiken mit Niedriglöhnen und prekären Beschäftigungsverhältnissen erkauft würden.

Das arbeitgebernahe Institut der deutschen Wirtschaft widersprach dem Wohlfahrtsverband. Alle Statistiken zeigten, dass die relative Einkommensarmut seit dem Jahr 2005, als die Hartz-Gesetze wirksam wurden, konstant geblieben sei. Der gewachsene Niedriglohnsektor habe dazu beigetragen, dass Menschen aus der Arbeitslosigkeit herausgefunden haben.

Quelle: F.A.Z.
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„Soziale Konflikte können deutlich an Härte zunehmen“
    Von A. BALDAUF u. S. HASELBERGER

Er ist einer der mächtigsten Gewerkschaftsbosse Deutschlands, vertritt mehr als zwei Millionen Beschäftigte.

–          In BILD spricht Ver.di-Chef Frank Bsirske (60) Klartext – über den Tarifkampf 2013 und das Duell zwischen Bundeskanzlerin Angela Merkel (CDU) und SPD-Spitzenkandidat Peer Steinbrück.

BILD: Glauben Sie, dass es in Deutschland mit einem Kanzler Peer Steinbrück wirklich gerechter zuginge?

–          Frank Bsirske: „Als Kanzlerkandidat hat Steinbrück konstruktive Vorschläge zur Bekämpfung massenhafter Armutslöhne, mangelnder Steuergerechtigkeit und drohender Altersarmut vorgelegt. Deshalb: Ja, ich glaube, dass Deutschland mit Steinbrück als Kanzler ein gerechteres Land würde!“

BILD: Wie glaubwürdig ist Steinbrücks Wandlung zum mitfühlenden Sozialpolitiker?

Bsirske: „Ein kluger Kollege von Ihnen hat geschrieben, Steinbrücks Programm als SPD-Kanzlerkandidat sei die Rückabwicklung der Politik des Finanzministers Steinbrück. Genau so ist es – und das begrüßen wir.“

BILD: Klingt nach Wahlempfehlung …

Bsirske: „Nein. Ich empfehle unseren Mitgliedern, ihr Wahlverhalten an klaren Kriterien auszurichten. Wir brauchen mehr Steuergerechtigkeit, anständige Löhne, damit Vollzeitarbeit nicht arm macht, und eine verlässliche Altersversorgung für alle. Daran sollten Gewerkschaftsmitglieder die Parteien messen.“

BILD: Niedrige Arbeitslosigkeit, gute Wirtschaftsdaten – Deutschland geht es unter Kanzlerin Merkel nicht so schlecht …

Bsirske: „Das trifft nur für die Begüterten zu. Noch nie war die Kluft zwischen Arm und Reich so groß, noch nie musste sich die Mittelschicht so bedroht fühlen. Das kann gravierende Folgen haben. Eine Gesellschaft, die so eine Spaltung aushalten muss, ist vor der Eskalation der Konflikte nicht gefeit.“

BILD: Was meinen Sie damit?

Bsirske: „Wenn uns die Krise mit aller Härte trifft und nicht gegengesteuert wird, können soziale Konflikte auch in Deutschland deutlich an Härte zunehmen.“

BILD: Sie fordern für die Beschäftigten im öffentlichen Dienst 6,5 % mehr Lohn. Wollen Sie die Konjunktur abwürgen?

Bsirske: „Sogar CDU-Finanzminister Schäuble sagt, dass der Lohnabschluss im öffentlichen Dienst helfen kann, Absatzmärkte zu stabilisieren oder Absatzmärkte für die Krisenländer in Deutschland zu eröffnen. Wo er recht hat, hat er recht.“

BILD: Sie haben kürzlich ohne Vorwarnung an Flughäfen gestreikt. Halten Sie das für fair?

Bsirske: „Der Streik stand am Ende langer ergebnisloser Verhandlungen und war somit keine Überraschung. Für 2013 gilt: Kommen wir in den anstehenden Tarifverhandlungen nicht zu einem verträglichen Ergebnis, sind auch Streiks nicht ausgeschlossen.“

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Deutschlands Wettbewerbsfähigkeit – Woher kommt das Wunder auf dem Arbeitsmarkt?

 

03.01.2013 · Viele Länder stecken in wirtschaftlichen Schwierigkeiten, der deutsche Arbeitsmarkt steht wie ein Fels in der Brandung. Liegt das nur daran, dass immer mehr Menschen zu Hungerlöhnen arbeiten müssen? – Was denken Sie?

–          Welch Szenario: In Europa stecken viele Länder in der Wirtschaftsflaute, auch in anderen Teilen der Welt hat die Wirtschaft in der zweiten Hälfte des vergangenen Jahres an Fahrt verloren – der deutsche Arbeitsmarkt zeigt sich hingegen nach wie vor ziemlich robust.

–          Im Schnitt 2,8 Millionen Menschen waren vergangenen Jahr hierzulande offiziell arbeitslos, teilt die Bundesagentur für Arbeit mit.

–          So wenige waren es zuletzt im Jahr 1991 gewesen. Nur einen Tag zuvor meldete das Statistische Bundesamt, dass im Jahr 2012 so viele Menschen wie noch nie in Deutschland erwerbstätig waren: 41,5 Millionen.

–          Wie kommt das? Sind die in den vergangenen Jahren geschaffenen neuen Stellen nachhaltig gute Arbeitsplätze oder – wie immer wieder vorgeworfen wird – vor allem sogenannte prekäre Beschäftigungsverhältnisse, niedrig bezahlte Arbeit also, deren Bezahlung alleine nicht reicht, um das Leben zu finanzieren?

Viel mehr Erwerbstätige

– Zum Teil beides, lässt sich zumindest aus einschlägigen Statistiken ableiten. Rasant gestiegen ist in Deutschland seit dem Jahr 2003 die Erwerbstätigenquote. Dahinter verbirgt sich der Anteil der Personen im erwerbsfähigen Alter, der auch tatsächlich erwerbstätig ist. Mehr ist hier besser und die Quote ist von 64 Prozent auf mehr als 70 Prozent im Jahr 2010 gestiegen, zeigen Statistiken des Instituts für Arbeitsmarkt- und Berufsforschung (IAB). Das ist wesentlich auch den Arbeitsmarktreformen zu verdanken, die unter dem Stichwort “Hartz“ auf den Weg gebracht worden waren.

–          Einiges spricht dafür, dass unter den neuen Stellen vielfach auch gut bezahlte sind oder dass mindestens nicht in großem Umfang unbefristete Vollzeitstellen ersetzt wurden durch weniger sichere und schlechter bezahlte Lohnverhältnisse. Die Zahl der Minijobs beispielsweise ist mit Blick auf die zurückliegenden zehn Jahre ungefähr konstant geblieben. Schaut man nur auf die zweite Hälfte der vergangenen Jahrzehnts, ist sie rückläufig.

Befristete Beschäftigung stabilisiert sich

–          Außerdem stimmt es zwar, dass auf längere Sicht unter den abhängig Beschäftigten mehr Menschen nur befristete Arbeitsverhältnisse bekommen oder in Teilzeit arbeiten.

o   In beiden Fällen ist allerdings seit Mitte der 2000er Jahre eine Stabilisierung eingetreten. Und wenn es um Teilzeitverhältnisse geht, sagt der bloße Blick auf die Quote noch nicht alles: Nicht wenige Menschen wollen schließlich genau so ein Beschäftigungsverhältnis, für sie ist das keine Notlösung.

Natürlich sind diese Zahlen nur der Blick auf das große Ganze und gibt es zwischen einzelnen Branchen und Regionen innerhalb Deutschlands mitunter große Unterschiede. Das ändert allerdings nichts daran, dass die Aussage, das Wunder auf dem deutschen Arbeitsmarkt erklärt sich mit „Ausbeutung’’, schlicht falsch ist. Dass immer häufiger von Fachkräftemangel die Rede ist, ist nur ein Indiz.

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