Massacri di lavoratori in Irak – Due schieramenti reazionari

Quale “ordine” regna in Irak, sotto il tallone degli eserciti occupanti
– 170 mila uomini armati di cui 3 mila italiani? Essi hanno solo
scatenato terrorismo e guerra civile.Da due anni e mezzo non
passa giorno senza notizie di massacri di civili. Nelle ultime
settimane, in corrispondenza dell’adozione della bozza di Costituzione,
vi è stata un’escalation:

  • quasi mille morti tra gli sciiti
    su un ponte sul Tigri, schiacciati per il panico o caduti nel fiume
    dopo attacchi con mortai e voci di attentatori suicidi.
  • mercoledì
    14 settembre un attentatore suicida fa esplodere un furgone tra la
    folla di operai edili che prima delle 6 del mattino aspettavano in
    piazza l’ingaggio al lavoro: 112 morti e circa 160 feriti. Oltre 170 i
    morti di quel mercoledì di sangue.
    La cosiddetta “resistenza”
    irachena è dominata da una borghesia arabo-sunnita ferocemente
    antioperaia, che più che contro gli imperialismi occupanti combatte per
    riaffermare il proprio dominio sulle popolazioni sciita e curda, e per
    il monopolio della rendita petrolifera.
  • Circa 150 morti
    nell’offensiva americana e governativa sulla città turcomanna e sunnita
    di Tal-Afar, oltre 200 mila abitanti, riconquistata ai ribelli tra
    distruzioni e massacri con l’uso di carri, elicotteri, missili, bombe
    dopo aver costretto il 90% degli abitanti all’evacuazione, ed aver
    distrutto numerosi edifici.

Ė questa la “democrazia” portata
dagli eserciti degli imperialismi americano, britannico, italiano,
giapponese e dal loro seguito?
La bozza di Costituzione,
redatta dai rappresentanti della borghesia sciita e curda contro
l’opposizione di quella sunnita, anziché risolvere le tensioni
dell’Irak, le mette allo scoperto e le fa esplodere. Prefigura una
forma di Stato a metà tra la democrazia del capitale occidentale e la
repubblica islamica, in cui gli ayatollah potranno dettare legge al di
sopra della presunta “sovranità popolare”, in cui la donna può essere
di nuovo sottomessa alla Sharia.
Il consenso di curdi e sciiti del
sud è stato ottenuto solo ammettendo la frantumazione dell’Irak in
regioni autonome con proprie forze armate e un crescente controllo
sulle risorse petrolifere.
Già la Turchia,
imperialismo oppressore di circa 20 milioni di curdi, ha espresso la
sua decisa opposizione all’autonomia politica, militare ed economica
(petrolio) del Kurdistan iracheno, temendo che la formazione di una
“patria curda” diventi polo di attrazione per la ripresa di un
movimento di liberazione curdo. Il primo ministro turco, Recep Tayyip
Erdogan ha dichiarato che “l’unità dell’Irak è un obiettivo
strategico”, e che “la Turchia è determinata al mantenimento
dell’integrità territoriale dell’Irak” e a che “le risorse naturali
dell’Irak (leggi: il petrolio) restino sotto il controllo del governo
centrale”.
Da parte sua l’Iran degli ayatollah,
mentre da un lato con al Sistani e la borghesia sciita delle città
sante Najaf e Karbala collabora con il “Grande Satana” americano
all’istituzione della nuova repubblica, con l’altra mano arma e
finanzia partiti e milizie sciite (dall’organizzazione Badr dello SCIRI
all’esercito del Mahdi di Muqtada al Sadr) per esercitare un’influenza
extra-istituzionale.
La borghesia sunnita, che
dirige la resistenza, come la Turchia vede un pericolo mortale
nell’autonomia delle regioni, dato che il suo potere, prima sorretto
dalle armi britanniche, poi dal terrore di Saddam, si è sempre basato
sulla centralizzazione militare dello Stato e della rendita
petrolifera. Una confederazione con ampie autonomie regionali
priverebbe la borghesia sunnita di gran parte di questo flusso
garantito di ricchezza, anche quando riuscisse a ritornare al potere a
Baghdad. Per questo essa lancia un’offensiva del terrore contro la
popolazione e i lavoratori di tradizione sciita. Un’offensiva
altrettanto reazionaria della politica collaborazionista della
borghesia sciita.
In questa situazione solo la libera
autodeterminazione dei popoli dell’area mediorientale potrebbe
disinnescare le bombe del groviglio etnico-religioso seminate
dall’imperialismo, di cui l’Irak è un esempio.
In Italia
è nostro compito di comunisti denunciare l’intervento dell’imperialismo
italiano in Irak come in Afghanistan e nei Balcani, e far crescere tra
i lavoratori e i giovani un movimento di opposizione alla guerra.
Solo
una ferma e coerente battaglia contro l’imperialismo di casa nostra
potrà permetterci di collegarci con forze proletarie che anche in Irak
si battano contro l’occupazione imperialista e contro il dominio
borghese, sciita, sunnita o curdo che sia, per la società senza classi
che sola potrà unire i lavoratori di tutte le etnie e tradizioni.

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