Giuseppe Sarcina
Dopo il voto sulla legge
contro la negazione del genocidio armeno
Anche il Nobel Pamuk
disapprova Parigi
BRUXELLES — La Ue prende le distanze dalla legge
sul «genocidio armeno», approvata ieri in prima lettura (quindi non in modo
definitivo) dall’Assemblea nazionale francese. Ma la reazione della Turchia,
oltre a investire Parigi, chiama in causa le istituzioni europee e, con tutta
probabilità peserà sul negoziato per l’ingresso di Ankara nel club dei 25. Per
tutta la giornata di ieri i vertici di Bruxelles si sono prodotti in
dichiarazioni distensive nel tentativo di circoscrivere la crisi. Ha
cominciato il presidente della Commissione, José Manuel Durao Barroso,
intervenendo da Helsinki, e definendo «inopportuna» la norma che vieta in
territorio francese la negazione della strage degli armeni (un milione e
mezzo di morti tra il 1915 e il 1917). «Questa decisione del Parlamento
francese — ha detto Barroso — non è opportuna nel contesto delle relazioni
della Ue con la Turchia».
A Bruxelles sono in aumento i «turcoscettici», cioè coloro che vorrebbero
lasciare il Paese della mezzaluna fuori dalla porta dell’Unione.
Ma nessuno, a destra come a sinistra, vuole aprire una crisi con il governo
di Ankara. Ecco allora affrettarsi il Commissario all’Allargamento Olli
Rehn: «E’ una legge controproducente». Poi la titolare delle Relazioni
esterne, Benita Ferrero-Waldner: «La norma francese non avrà alcun impatto sul
processo di adesione della Turchia all’Europa». Anche il presidente
dell’Europarlamento, Josep Borrell, dà una mano: «Stiamo parlando di un
provvedimento che deve essere ancora approvato. In ogni caso sarebbe una
legge francese e non europea e la Francia da sola non può stabilire nuovi
criteri di adesione». Da segnalare il commento di Daniel Cohn-Bendit,
co-presidente dei Verdi all’Europarlamento: «L’effetto perverso è totale.
Questi ignoranti non sapevano neanche che esistessero gruppi di lavoro di
storici armeni e turchi che, per la prima volta, lavoravano insieme».
La mano tesa di Bruxelles certamente non basta a placare la rabbia del
governo turco. Il primo ministro Recep Tayyip Erdogan spunta in tv e travolge
tutto, mettendo insieme Assemblea nazionale francese e Ue. Prima, beninteso, la
Francia: «Stiamo studiando misure di ritorsione. L’interscambio commerciale
della Turchia con la Francia è pari a dieci miliardi di euro e rappresenta
l’1,5% dell’intero commercio estero francese. Faremo i calcoli appropriati
e poi compiremo i passi necessari». Subito dopo, però, tocca all’Ue: «L’Unione
Europea non può permettersi di darci lezioni in materia di diritti dell’uomo,
dato che la Francia, che è un Paese fondatore, calpesta la libertà di
espressione con progetti di legge come quello sul genocidio armeno».
L’equazione di Erdogan è chiara: se a un turco viene negata la libertà di
espressione a Parigi, visto che non «si potrà neanche discutere del genocidio»,
con quale autorità gli europei ci verranno a chiedere di abolire l’articolo
301 del nostro codice penale che vieta «le offese alla patria»? Il
nervosismo del governo di Ankara è al massimo dopo quella che viene considerata
la «settimana nera». Prima il Nobel per la letteratura attribuito allo
scrittore Orhan Pamuk, messo sotto accusa da un Tribunale di Istanbul proprio
per aver evocato «il genocidio armeno» (processo poi annullato) e, subito dopo,
«l’affronto» dell’Assemblea nazionale.
Le diplomazie occidentali sono al lavoro per cercare di smorzare la crisi. Ma
nell’immediato la tensione è destinata ancora a salire, anche se, almeno per
ora, l’esecutivo turco non sembra intenzionato a richiamare il suo ambasciatore
a Parigi. Martedì prossimo il Parlamento di Ankara si riunirà in seduta
straordinaria per decidere «come rispondere alla Francia». Nel Paese
prevale il sentimento di aver subito un torto, se non addirittura un’offesa. Per
altro lo stesso premio Nobel Pamuk dice: «I francesi hanno fatto un errore».
Sul versante Ue-Turchia, la conta dei danni è aggiornata a lunedì, quando il
ministro degli Esteri Abdullah Gul incontrerà il Commissario Rehn, l’Alto
rappresentante Javier Solana e i colleghi di Finlandia e Germania (attuale e
prossima presidenza Ue).