Migliaia di scioperanti di Lonmin, in marcia contro i cancelli della miniera di Karee, a Marikana, 5 settembre 2012
Continua lo sciopero di 70 000 (80 000 secondo altre fonti) minatori delle miniere di platino del Sudafrica, iniziato il 23 gennaio. Hanno respinto la recente mediazione al ribasso offerta dal padronato al sindacato AMCU. Quello in corso è, secondo il Financial Time, lo sciopero più lungo e costoso negli oltre 100 anni in cui il profitto tratto dal settore minerario sudafricano è stato la base del sistema capitalistico del paese. Una lotta contro i tre giganti mondiali del settore, Anglo American Platinum, Impala e Lonmin. Nei negoziati salariali biennali, iniziati un anno fa, i primi negoziati formali per Amcu (Nota 1), i rappresentanti dei lavoratori hanno chiesto un aumento del 150% della paga base minima mensile da 5000 e 6000 Rand (345-415 €) a 12 500 Rand (pari a circa €865), la riduzione di 3 ore dell’orario settimanale, migliori condizioni di lavoro, indennità di alloggio, la revisione della legislazione che punisce gli scioperi considerati lesivi del pubblico interesse.
Le misure dell’incisività dello sciopero in corso: bloccata una produzione mineraria pari al 40% di quella globale; secondo la rivista specialistica MiningWeekly del 13 giugno 2014, finora il costo per i padroni delle miniere ha superato i 22 miliardi di Rand, cioè 1,523MD di € di profitti persi; calo di quasi il 25% della produzione mineraria, la maggiore riduzione dal 1967, culmine del predominio dei bianchi in Sudafrica; colpita di conseguenza la produzione manifatturiera, scesa del 4,4% nel primo nel primo trimestre 2014 per la sospensione di migliaia di contratti nell’indotto; ha gravato sulla economia complessiva del paese, diminuita dello 0,6% su base trimestrale. I minatori hanno, da parte loro, perso salari pari a 692 milioni di €.
Lo sciopero nel platino preoccupa il padronato in quanto potrebbe incoraggiare la protesta dei lavoratori di altri settori, in particolare i metalmeccanici organizzati da NUMSA. Le lotte in corso sono la risposta al deterioramento delle condizioni di vita degli strati inferiori della popolazione, in un paese socialmente tra i più diseguali del mondo (vedi mappa di seguito, la diseguaglianza ale con i colori più scuri) che registra un tasso di disoccupazione medio del 24% e giovanile del 50%. A gennaio l’inflazione è tornata a crescere (5,8%) spinta dall’aumento dei prezzi alimentari; il sistema di welfare raggiunge solo il 50% della popolazione.
Il Sudafrica è uno dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), le potenze capitalistiche emergenti che sgomitano per conquistarsi una fetta di torta più sostanziosa al banchetto internazionale del capitale. Per riuscirci devono rendere la propria economia il più competitiva possibile, introdurre nuove infrastrutture, ammodernare quelle esistenti e … aumentare il tasso di sfruttamento della forza lavoro per estrarne lavoro non pagato, plusvalore in misura crescente.
È questa la legge del Capitale a cui deve sottostare anche il settore minerario sudafricano. I dirigenti di Lonmin, Anglo American Paltinum (Amplats) e Impala stanno giustificando con il lungo sciopero e le perdite da essi subite la necessità di una ristrutturazione su larga scala, la meccanizzazione di alcune operazioni, e la conseguente riduzione della forza lavoro; il Ceo di Amplats prevede il licenziamento di 14 000 dei suoi 57 000 salariati.
Una ristrutturazione già avvenuta negli ultimi venti anni nelle miniere di oro, che hanno visto massicci licenziamenti, e chiusure.
La determinazione delle lotte in corso ricorda gli scioperi spontanei del 2012, quando lo Stato della borghesia sudafricana scatenò le forze della repressione contro gli scioperanti della miniera di Lonmin a Marikana uccidendone diverse decine (c’è chi parla di 34, chi di 40; il tedesco Manager Magazine parla di complessive 60 vittime). Il gruppo minerario Amplats licenziò temporaneamente 12 000 minatori, perché partecipanti ad uno “sciopero illegale”.
Il Sole 24Ore (25.02.2014) chiedendosi se nella lista dei grandi Emergenti a rischio per tensioni politiche possa rientrare anche il Sudafrica, conclude che [per ora], «a parte Marikana, in Sudafrica non ci sono stati i movimenti di piazza di Kiev, di Caracas, o quelli del Cairo e Istanbul. E questo nonostante nel 2013 la polizia abbia registrato 12 399 “eventi di folla” che hanno suggerito una presenza delle forze dell’ordine, tra eventi pacifici (10.517) e veri disordini (1.882) … Il rischio che tutto questo si trasformi in un movimento più ampio è forte: nel 2012 molti lavoratori hanno cambiato sindacato» [alla ricerca di un’organizzazione che meglio difendesse i loro interessi n.d.r].»
È in questo contesto generale che va collocata la lotta di classe in corso in Sudafrica, dove la fine dell’apartheid non ha significato la fine dello sfruttamento capitalistico, ed ha anzi accentuato la diseguaglianza sociale. Secondo il recente rapporto FMI è proprio la diseguaglianza sociale il fattore che fa del Sudafrica un paese a rischio. Uno dei fattori scatenanti della crisi (economica) potrebbe essere «un’ulteriore escalation di disordini sociali e sindacali (traduciamo: rivolte di classe)».
Le battaglie che i salariati sudafricani stanno organizzando nel settore minerario, nell’auto, nell’agricoltura, nei trasporti sono un robusto segnale politico per il secondo mandato del presidente Zuma, e per il suo partito il National Congress.
E se padronato e governo sudafricani si preoccupano dell’evoluzione della lotta di classe è per noi rivoluzionari un fattore di soddisfazione e di speranza.
Nota 1: L’Associazione dei minatori e delle costruzioni nato dalla scissione con la maggiore confederazione sindacale sudafricana, il filo-governativo Congress of South African Trade Unions (COSATU), che ha chiesto la fine dello sciopero e definito irresponsabile AMCU. Il NUM, sindacato dei minatori affiliato a Cosatu, ha perso diversi organizzatori a causa degli scontro con il rivale Amcu che è ora il sindacato di maggioranza nel settore del platino nella Provincia di Nord-Ovest.