Londra mette l’Africa al centro del mondo

Aiuti ai Paesi poveri / L’agenda del prossimo G-7

Strategia mirata di Blair e Brown per rilanciare lo sviluppo

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE LONDRA • Nemici in politica come cani e gatti, su una cosa il premier Tony Blair e il cancelliere dello Scacchiere Gordon Brown sembrano d’accordo: la visione del mondo prossimo e venturo. Per questo motivo, sotto la spinta combinata dei due pesi massimi della politica britannica, la presidenza inglese del G-7 nel primo semestre di quest’anno potrebbe risolversi in un successo, con grande beneficio per i rapporti tra Paesi sviluppati e in via di sviluppo. Le idee, grazie all’apporto intellettuale di Brown, non mancano, come pure non manca l’abilità di persuasione del “re” del marketing, Tony Blair. Paradossalmente, ancora da convincere su temi importanti restano gli americani, quelli con cui gli inglesi si offrono regolarmente di fare da ponte con i cugini europei. Come le politiche ambientali trovano orecchie sorde a Washington, pure le proposte sul debito non hanno ancora avuto risposte chiare.
Sarà dunque interessante vedere come tirerà il vento il prossimo venerdì, quando ci sarà il primo incontro tra ministri finanziari e governatori del G-7, a cui si aggiungeranno in tempi diversi e a geometria variabile i rappresentanti di Russia, Cina, India, Sudafrica e Brasile, a riflettere il crescente cambiamento dei rapporti di forza nel mondo.
La strategia di Londra, che l’emergenza dello tsunami stava però per sparigliare, è di mettere l’Africa al centro del mondo. La patologia africana è infatti tale che ciò che vale per il Continente nero vale per tutti. Gran parte dei Paesi più poveri si trova in Africa, l’allarme sanitario più devastante (Aids, malaria, Tbc) è in Africa, come in Africa ci sono le maggiori carenze sul piano delle infrastrutture. Quattro sono le direttrici del piano britannico. Tutte dettate da un’unica convinzione che porta a una conclusione. La convinzione è che, come rileva Jeffrey Sachs, che guida il Millennium Project dell’Onu, l’assistenza allo sviluppo paga se esercitata in modo massiccio e mirato. La conclusione è che, di conseguenza, bisogna aumentare sensibilmente gli aiuti allo sviluppo e facilitare il progresso economico dei Paesi più svantaggiati. Tale impegno lo si può moltiplicare riducendo il debito e aumentando al contempo gli aiuti. Da questa necessità emergono le quattro direttrici pratiche proposte dagli inglesi, che alle parole hanno fatto seguire i fatti, dando recentemente molti buoni esempi.
Cancellazione del debito dei Paesi più poveri. Questi devono ai Paesi ricchi e alle istituzioni multilaterali circa 80 miliardi di dollari. Gli inglesi si sono impegnati a prendersi a carico il 10% dovuto da tali Paesi alla Banca mondiale fino al 2015, pari a circa 1,9 miliardi di !
dollari.
Chiedono ai colleghi ricchi di fare mosse altrettanto coraggiose. ” Ai Paesi del G-7 viene inoltre chiesto di aumentare gli aiuti internazionali allo sviluppo fino alla proporzione dello 0,7% del Pil. La Svezia già ci è arrivata. Gli inglesi si sono impegnati solennemente ad arrivarci nel 2013.
L’aumento degli aiuti permette di innescare quello che in finanza si chiama l'”effetto leva”, tramite un marchingegno chiamato Iff: International financial facility. In virtù dell’Iff sarà possibile, a fronte dell’impegno a lungo termine ad aumentare gli aiuti, di prendere a prestito più danaro sul mercato dei capitali. Ciò permetterà, secondo Londra, di raddoppiare ogni anno da 50 a 100 miliardi di dollari all’anno gli aiuti allo sviluppo. L’introduzione di questa sorta di “turbo finanziario” permetterà di anticipare gli aiuti, aumentando ad esempio di 6 miliardi i fondi per l’educazione primaria. Altro danaro dell’Iff potrà essere spostato sui programmi di vaccinazione infantile nella misura di 4 miliardi di dollari. Sul fronte sanitario, peraltro, Londra sta studiando assieme all’Italia una formula da presentare ai colleghi per creare un’infrastruttura mondiale che permetta di finanziare la ricerca sull’Aids e lo sviluppo di farmaci abbordabili da parte dei Paesi più poveri.
Ultimo punto, l’abbattimento massimo possibile delle barriere protezionistiche dell’Occidente nei confronti dei Pvs. Su questo fronte Brown recentemente si è scagliato, oltre che sulla dissennata politica agricola europea, contro l’abuso della denominazione d’origine dei prodotti Ue, che in realtà equivarrebbe a protezioni belle e buone. Peraltro, in primavera, la Commission for Africa, ente non governativo promosso dal cantante Bob Geldof e in cui siedono a titolo personale anche Blair e Brown, emetterà delle raccomandazioni per aiutare le economie più povere, come la creazione di un fondo per le infrastrutture, prestiti e micro-crediti per le Pmi, progetti d’irrigazione e un piano su tecnologia, scienze ed educazione nel settore terziario.
La Iff ha raccolto già il plauso di tutti i Paesi europei oltre che dei grandi emergenti (Cina, India, Brasile). Pur tra varie sfumature, su come garantire l’emissione di bond (la Francia propone una tassa). Contrariamente ai timori iniziali, l’effetto tsunami pare dunque avere creato un’ondata di buonismo che, invece di sottrarre risorse, ha creato una grande disponibilità collettiva. Agli inglesi l’arduo compito di catturare questo umore che è nell’aria e tradurlo in danaro contante

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