Il Cile domenica 25 ottobre è andato alle urne per cambiare quella costituzione che nel 1980 era stata scritta sotto la dittatura di Pinochet e da allora aveva subito poche modifiche.
La consultazione elettorale ha visto una partecipazione del 50% degli aventi diritto, la più alta dall’instaurarsi della democrazia. L’altra metà ha ritenuto che non fosse importante per il proprio futuro. Per la prima volta sono andati a votare moltissimi giovani e proletari residenti nelle ‘zone di sacrificio’ del modello cileno: quartieri popolari metropolitani e zone minerarie, con esiti plebiscitari.
La consultazione era accompagnata da grandi aspettative e grandi speranze, ad un anno esatto dalla rivolta sociale che aveva messo in discussione l’intero sistema del paese andino.
Pochi giorni prima le piazze avevano sfidato le forze dell’ordine celebrandone la ricorrenza e subendo ancora una volta la repressione. Ricordavano i 40 manifestanti assassinati, le 450 persone che hanno subito mutilazioni, principalmente agli occhi per i lacrimogeni sparati ad altezza d’uomo, i 3500 feriti, le 8375 denunce di torture, stupri e percosse da parte della polizia, delle forze armate e dei corpi speciali, i 2500 cileni finiti in carcere, di cui 600 in detenzione preventiva, senza alcuna condanna e la gran parte giovani.
Il quesito referendario era duplice: si doveva scegliere se invalidare la costituzione in vigore e l’organo istituzionale incaricato a riscrivere la nuova carta: l’alternativa era tra una Convenzione Mista o una Convenzione Costituente. La prima sarebbe costituita da 172 delegati, metà eletti a suffragio universale e metà provenienti dal parlamento attuale; l’altra sarebbe totalmente eletta a suffragio universale, con metà seggi assegnati a donne e una quota riservata agli indigeni.
Il 78,27% dei votanti ha scelto “Apruebo” (approvo) alla prima domanda e il 78,99% ha scelto la Convenzione Costituente, che sarà formata da 155 persone formalmente senza incarichi istituzionali ed elette nel prossimo aprile.
Il risultato è stato accolto in modo unanime, soprattutto a livello internazionale e dei media mainstream, come una sconfitta del governo e della destra. La Borsa cilena è precipitata ed ora il dibattito della pubblicistica borghese si chiede se il modello cambierà e se si aprirà uno scenario di preoccupante incertezza politica.
Il presidente Piñera si è affrettato a salire sul carro dei vincitori, e mostrandosi soddisfatto per il “trionfo della democrazia” ha fatto appello all’unità nazionale per sostenere il nuovo corso del paese.
Al suo fianco la Concertación, coalizione di partiti di centro e centro-sinistra che ha governato per molti anni dopo la dittatura, insieme a settori della destra e dei media cileni, hanno parlato con toni trionfalistici di “festa della democrazia” e di normalizzazione del paese.
Questo referendum è stato proposto dall’”Accordo per la Pace e la Nuova Costituzione” promosso dal parlamento con il supporto del governo, il 15 novembre 2019. Si era nel pieno delle rivolte sociali, le più dure del periodo della democrazia, che iniziarono il 18 ottobre in occasione dell’aumento del biglietto della metropolitana, ma che rapidamente assunsero come consegna principale l’attacco ai pilastri fondamentali del neoliberismo cileno.
“Non sono 30 pesos, sono 30 anni!”: questo era lo slogan più diffuso, che sintetizzava il significato e la forza di quelle ribellioni, dei blocchi stradali, degli scioperi, delle barricate e dell’organizzazione solidale che si tesseva nelle retrovie.
Nell’Accordo confluivano quasi tutti i partiti, dalla destra a quelli del centro-sinistra, ai neo-riformisti come il PC e il Frente Amplio, impegnati a garantire l’impunità ai responsabili politici e materiali della repressione in atto, a salvare Piñera dalla capitolazione e a canalizzare e deviare le proteste proletarie verso un’uscita istituzionale dalla crisi sociale.
L’obiettivo era evitare, come accaduto tutti questi 30 anni, che nel cambiamento nulla mutasse e che il sistema si conservasse.
L’Accordo di Pace da cui è uscito questo progetto costituzionale ha elaborato un grande inganno: nato per salvare il governo Piñera e disattivare il processo insurrezionale che stava paralizzando il paese in tutti i settori e lo stato, che reagiva solo con l’arma della repressione, doveva trovare il modo di garantire la continuità del potere istituzionale e politico con una nuova veste istituzionale che apparisse come la risposta costruttiva alle lotte sociali crescenti.
Il progetto è stato elaborato in modo da non permettere mutamenti radicali nelle fibre centrali del modello cileno. Per questo molti esponenti della destra lo hanno sostenuto.
Pertanto la nuova costituzione nascerà necessariamente sotto il sigillo del medesimo potere borghese: sarà scritta da membri eletti con l’attuale sistema elettorale, che favorisce i grandi partiti; il potere di veto delle minoranze neoliberiste e delle destre sarà efficace nel caso di qualsiasi riforma, per la regola dei 2/3 di consensi sui votanti; sarà garantita l’impunità dei repressori; rimarranno intoccati i trattati internazionali, responsabili del saccheggio ad ampio raggio del paese, dalle miniere alle pensioni; saranno esclusi dal voto e dalla candidatura i minori di 18 anni, gli stessi che hanno acceso la miccia delle rivolte dell’ottobre scorso saltando i tornelli della metropolitana; e tutti coloro che parteciparono ai moti popolari; i dirigenti sindacali o di organizzazioni sociali potranno parteciparvi solo se rinunceranno ai loro incarichi.
Si stima invece che il 20% degli attuali ministri e sottosegretari avrà accesso alle candidature. Cifra in difetto, visto che sono in corsa anche i figli (la figlia di Piñera e del Ministro della Difesa, ad esempio) e i parenti degli attuali membri del governo e del parlamento, come ’indipendenti’.
Il Frente Amplio è al lavoro per riunire la Concertación e il PC ed entrare nella Convenzione con una lista unica di candidati.
Tutto il processo costituzionale sarà controllato e diretto dall’attuale sistema di potere: dal Congresso, dal Presidente e dalle Forze dell’Ordine.
Inoltre la commissione costituzionale nulla potrà sui problemi più urgenti: pensioni, lavoro, salute, educazione, che rimarranno nelle mani dell’attuale governo e in una situazione di crisi economica e sociale che non concederà nulla, se non repressione.
Non c’è dubbio che l’esito della consultazione e la reazione di giubilo che ne è seguita abbiano dimostrato la ferma e diffusa volontà popolare di chiudere con l’epoca della dittatura.
Ma le trappole della borghesia hanno confuso anche le forze proletarie e le avanguardie più attive, tanto che sono andate alle urne divise, dando libertà di voto.
La vittoria del plebiscito non è un punto di arrivo né una vittoria proletaria; non sarà la nuova costituzione il luogo dove trovare le risposte alle istanze sollevate in ottobre, ma potrà essere l’occasione per spingere ancor più in profondità la contraddizione di classe e scoperchiare definitivamente il sistema di potere che continua a macchiare di sangue e miseria il proletariato cileno.
Oggi il salario del 53% dei lavoratori cileni è inferiore a 540$ al mese; l’1% della popolazione possiede il 26,5% delle ricchezze del paese: questo è il modello cileno. E con la pandemia si sono persi 2 milioni di posti di lavoro.
La vittoria dell’“Apruebo” ha aperto grandi aspettative, ma il proletariato cileno non dovrà cedere alle illusioni: solo la lotta di classe, la consapevolezza e la fiducia nella forza proletaria potranno canalizzare queste aspettative in un programma politico e in un moto rivoluzionario.
P.Z.
Fonti:
– La Izquierda Diario 25,26,27/10/2020
– Esquerda Diário 25,26,27/10/2020
– Il Manifesto 27/10/2020