Lo scontro tra piccoli e grandi ingessa la Federmeccanica

Finita l´egemonia Fiat, il fronte imprenditoriale cerca una linea. E
cresce la spinta delle mini-aziende

Ridimensionata la FIAT è più difficile la centralizzazione
delle volontà di Federmeccanica sul negoziato sul CCNL Metalmeccanici

Mentre una volta la FIAT guidava Federmeccanica, oggi
il 57% delle aziende ha meno di 10 dipendenti: impegnati in produzioni esposte
alla concorrenza cinese, vogliono più flessibilità, bassi salari e niente
relazioni coi sindacati.
La FIAT vuole conservare un rapporto col sindacato; le
grandi aziende ex-pubbliche non riescono ancora a imporsi.
Le medie aziende, internazionalizzate, premono per un
accordo ma privilegiano il rapporto coi sindacati a livello locale anziché
nazionale.ROMA – Innocenzo Cipolletta dice che è
«aberrante» che due grandi associazioni come i sindacati e la Federmeccanica
siano incapaci di trovare un accordo per il contratto dei metalmeccanici dopo
un anno di trattative
. L´ex direttore generale della Confindustria, oggi
presidente del Sole 24 Ore, dice anche che ciò dimostra che il contratto «è
inutile» o che non funziona il sistema di contrattazione
. E per finire,
«che i responsabili dovrebbero essere messi da parte».
Innocenzo Cipolletta dice quello che pensano in molti. Anche tra i 130
membri della Giunta della Federmeccanica che oggi a Milano
(in un albergo,
si spera a prova di contestazione operaia) dovranno decidere se andare allo
scontro finale con Fiom, Fim e Uilm, oppure cercare la strada dell´accordo.
Ma già la convocazione del parlamentino degli industriali metalmeccanici nel
momento clou del negoziato non è un segno di forza. Anzi
. «Dimostra –
sostiene Luigi Angeletti, segretario generale della Uil, "spettatore"
interessato alla vicenda – che non funziona bene il rapporto tra la base e il
vertice. Un tempo non era così». Un tempo – per esempio – c´era il
ruolo guida della Fiat, della grande impresa privata. I piccoli, al massimo,
rumoreggiavano
in quel variegato mondo della metalmeccanica che va dal
produttore di mini utensili all´industria aeronautica. Oggi no. Oggi la fine
del «monopolio politico e culturale della Fiat», come sostiene Giuseppe Berta,
storico dell´industria, pesa eccome nel negoziato. Fino a imbrigliarlo
.
«Perché la Fiat – è sempre Berta che parla – non permea più il sistema
associativo, non è più il regista». D´altra parte oltre il 57 per cento
delle aziende metalmeccaniche ha al massimo dieci dipendenti
. È da questo
fronte – soprattutto – che è arrivato l´altolà al presidente Massimo Calearo
(alleato decisivo per l´ascesa di Montezemolo al vertice di Viale
dell´Astronomia) all´affondo finale. «I "piccoli" mi uccidono se
passa la richiesta di 25 euro aggiuntivi per chi non ha la contrattazione
integrativa», ha ammesso Calearo. I "piccoli" (della Lombardia
e del Veneto, ma non solo) vogliono più flessibilità, ma non il sindacato
tra i piedi. E poi vogliono scucire pochi euro perché, impegnati in produzioni
mature, devono fare i conti con la concorrenza cinese
. Non sono questi i
problemi dei "grandi". La Fiat non vuole rompere con i sindacati
(e in particolare con la Cgil di Epifani) perché è ancora aperta la delicata
partita sugli esuberi
. Intanto con Paolo Rebaudengo, capo delle relazioni
industriali, punta a recuperare terreno dopo aver subito anche lo smacco (a
settembre) della nomina del nuovo direttore generale (Roberto Santarelli),
senza un pedigree torinese: non accadeva dai tempi del mitico Felice
Mortillaro, scomparso nel 1995. Le ex aziende pubbliche, Finmeccanica,
Fincantieri, ancora alla ricerca di una sintonia culturale con il sistema
industriale privato, non sono in grado di imporsi. In mezzo le aziende di medie
dimensioni, fortemente internazionalizzate
. I pochi player globali (dalla
Brembo di Bombassei all´Indesit di Merloni) che spingono per l´accordo
(non a qualunque costo) ma che tendono a privilegiare le relazioni sindacali
a livello aziendale anziché su scala nazionale
.
In fondo, la vertenza dei metalmeccanici vista dalla parte dei padroni è lo
specchio della crisi o del declino industriale italiano. Più in generale «è la
dimostrazione che, in un´epoca di grandi cambiamenti, il sistema di
contrattazione centralizzato non regge più», sostiene Berta, per il quale la fine
dell´«anomalia Fiat» (troppo grande e troppo forte) non sarebbe un fatto
negativo, ma a una condizione: che «l´interregno non sia interminabile».

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