Lo scontro interno alla borghesia iraniana mobilita anche una nuova generazione di proletari

La clamorosa vittoria di Ahmadinejad alle presidenziali in Iran e la contestazione da parte di almeno due candidati, Moussavi e Karroubi, del risultato elettorale, ha portato centinaia di migliaia di iraniani nelle piazze, come spesso succede quando lo scontro tra frazioni borghesi si inasprisce e la frazione con minore peso istituzionale tenta la carta rischiosa della mobilitazione di piazza.

La posta in gioco dello scontro interborghese è il controllo di settori chiave come il commercio estero, ma soprattutto l’impiego della rendita petrolifera, finora utilizzata da Ahmadinejad in buona parte per sussidi e pensioni e che invece le frazioni che hanno candidato Moussavi vorrebbero impiegata in investimenti per svecchiare l’ormai obsoleto sistema estrattivo e distributivo di gas e petrolio. Altro terreno di scontro sono il grado di privatizzazione di ampi settori economici ora gestiti dallo Stato e infine scelte diplomatiche che consentano la fine dell’embargo e l’afflusso più consistente di capitali in Iran.

I comunisti non appoggiano nessuna frazione della borghesia, ma cercano di utilizzare le contraddizioni della classe avversaria per accelerare nelle lotte l’organizzazione e la formazione della coscienza di classe nel proletariato.

L’asse Khamenei Ahmadinejead può contare sulla burocrazia di Stato delle Fondazioni iraniane (vedi PM n.10 ott-dic.2005 “ Islam, petrolio e capitale nello scontro sociale), sull’Esercito, ma anche fra le milizie paramilitari dei Pasdaran e dei Basij, i vigilantes volontari spesso di origine proletaria, a cui Ahmadinejad ha garantito promozione sociale, poteri e privilegi e che rappresentano uno strumento di controllo sociale indipendente dal clero. Ahmadinejead si è garantito la popolarità fra i poveri delle campagne, fra i pensionati, fra i giovani disoccupati con una attenta distribuzione di sussidi specie agricoli, pensioni, buoni spesa, case ad affitto bloccato, prestiti a basso tasso di interesse. Ha fatto costruire ospedali, campi sportivi, università, biblioteche. Questa politica di larga spesa pubblica, simile a quella di Chavez in Venezuela, era sostenibile nel periodo di alti prezzi degli idrocarburi, ma sarà più difficile se i prezzi si manterranno su livelli medio-bassi e comunque sottrae capitali agli investimenti industriali. Le sue scelte economiche hanno inoltre provocato una inflazione del 25%, che ha taglieggiato i redditi più bassi ad esempio dei lavoratori dipendenti che oggi come dovunque subiscono licenziamenti nelle fabbriche e nell’edilizia e una disoccupazione che aumenta di mese in mese, mentre ogni loro tentativo di organizzazione e di lotta è stato duramente represso.

Questo potrebbe mettere a dura prova la popolarità di Ahmadinejead, che si presenta come l’uomo del popolo, il devoto difensore della fede e della onestà contro i borghesi corrotti alla Rafsanjani, ma anche il difensore degli interessi nazionali dell’Iran contro l’imperialismo americano. Nei quattro anni di presidenza comunque Ahmadinejead ha inserito i suoi fedelissimi nelle posizioni chiave dei gangli dello Stato (dai funzionari dei ministeri a quelli degli enti locali, dai docenti universitari ai diplomatici):

 

Mir-Hossein Moussavi, leader sconfitto dell’opposizione, non sembra avere il carisma e la determinazione e neanche il retroterra organizzativo per durare nello scontro. Questo architetto azero, di padre “bazari” (= commerciante), legatissimo a Khomeini, fu un fautore della linea dura nel 1979 sulla questione ostaggi americani, e come primo ministro fra l’81 e l’89 si distinse per il pugno di ferro sia contro i comunisti e i Mujaidin del Popolo che contro intellettuali e riformisti laici, sia contro la rivolta studentesca del 1988, per cui sarebbe responsabile della morte di almeno 20 mila oppositori del regime dei mullah. In questo senso il suo riciclaggio interno ed estero come “democratico” è un’operazione abbastanza spericolata… Sponsorizzò l’appoggio a Hezbollah in Libano, è stato per tutti gli anni ’80 antiamericano e antioccidentale.

Estromesso dalla politica da Rafsanjani oggi è accusato di esserne manovrato. Questa inedita alleanza avrebbe avuto come mediatore l’ex presidente Khatami, durante la cui presidenza Moussavi ricoprì l’incarico di consigliere anziano.

Rafsanjani, ex presidente, ricco imprenditore, rappresentato nelle manifestazioni di piazza dalla figlia Faezeh, potrebbe mettere sul piatto la sua influenza di presidente della Assemblea degli Esperti, un organismo nato dalla rivoluzione del 1979, con potere di nominare la Guida Suprema, massima autorità teocratica dell’Iran, fino a Ali Khamenei, che ricopre quel ruolo da un ventennio, e che si è risolutamente schierato a fianco di Ahmadinejad e contro qualsiasi revisione del voto sentendosi minacciato dal programma di privatizzazioni e di ridimensionamento del ruolo della Guida Suprema espresso da Moussavi.

L’asse Rafsanjani-Moussavi ha una forte influenza fra il clero di Qom, nella borghesia dei bazar, fra gli imprenditori privati, che vogliono l’abolizione delle sanzioni internazionali e l’arrivo di investimenti esteri, ad es. dalla Cina oltre che da Europa e Usa. Moussavi è come Ahmadinejad un nazionalista, vuole garantire all’ Iran un ruolo di potenza regionale ed è a favore di uno sviluppo nucleare del paese. E’ però favorevole a una politica di privatizzazioni e di risanamento delle finanze dello Stato per attirare investimenti. Per questo non può che promettere ai lavoratori una politica di “lacrime e sangue” per ridurre l’inflazione, di perdita di posti di lavoro per “tagliare i rami secchi” dell’industria di stato. Offre però ai giovani di liberalizzare la stampa e la tv. Ridurre la censura, moderare l’attuale oppressiva politica sessuofoba e contro i diritti delle donne, che oggi sono una componente significativa della forza lavoro. Fa intendere anche che renderebbe meno repressivo il sistema attuale (oggi qualsiasi iraniano può essere prelevato da casa, torturato o fatto sparire dalla circolazione non solo ad opera della polizia, ma anche da parte dei gruppi paramilitari; ogni anno 600 mila iraniani , quasi 1 su 10, passa periodi di detenzione nelle prigioni ufficiali di regime, senza contare quelli detenuti dai gruppi paramilitari o dalle milizie private dei mullah). Moussavi è secondo i politologi, il “candidato delle città”, e va ricordato che oggi il 68% degli iraniani vive nelle città e che la sola Teheran è una megapoli di 15 milioni di abitanti su un totale di 69 nel paese

 

La crisi iraniana è seguita con estrema attenzione nelle cancellerie degli imperialismi, dato l’oggettivo peso economico, demografico e politico del paese, ma anche perché rischia di intralciare l’apertura politica inaugurata da Obama (vedi PM n.22. maggio 2009, USA: imperialismo “dal volto umano”).

Prudente Obama, che di fatto attende di poter trattare con chiunque vinca dal punto di vista degli interessi imperialisti statunitensi, prudente anche il governo dell’imperialismo italiano, (l’Italia è il primo partner commerciale dell’Iran e tiene a non perdere questa posizione di forza).

Più critici i governi di Francia e Gran Bretagna. La Germania della Merkel è molto esposta contro Ahmadinejad, pur in una logica euroatlantica di fare dell’Iran un elemento stabilizzatore in Pakistan e Afghanistan. Ma nell’intento anche di guadagnare un maggiore accesso al mercato iraniano e agli investimenti nel settore petrolifero (che ridurrebbe la dipendenza tedesca dai rifornimenti energetici russi). La Germania attraverso le sue fondazioni (ad es. la Friedrich-Naumann, vicina ai liberali, la Friedrich-Ebert, vicina alla SPD, la Fondazione Körber, il Goethe Institut) tenta di incidere sulle contraddizioni interetniche ospitando su territorio tedesco le organizzazioni indipendentiste delle minoranze non persiane, del Kuzhestan, di azeri (24%), curdi (7%), arabi, beluci, turkmeni, baha’i (solo il 51% della popolazione dell’Iran è persiana). Il governo tedesco inoltre appoggia la linea dei propri gruppi economici di relazioni economiche privilegiate con gli Emirati, il Qatar e l’Arabia Saudita, paesi che possono controbilanciare la influenza regionale iraniana e che comunque godendo di cospicue rendite petrolifere possono diventare partner finanziari delle imprese tedesche (come già hanno fatto gli Emirati entrando in Daimler) in cambio di cospicue vendite di armi.

Buona parte della sinistra parlamentare europea e italiana si accoda oggi alla propaganda dei governi imperialisti a sostegno di Moussavi, presentato come “democratico” e progressista, si accoda cioè al tentativo delle borghesie occidentali di sfruttare a proprio vantaggio gli scontri interni alla borghesia iraniana; qualche frazione denuncia le mire dell’imperialismo americano finendo per sostenere il reazionario e populista governo di Ahmedinejead, perché espressione del nazionalismo e perché statalista e infine perché per lui avrebbero votato gli operai e i poveri. Pochi fanno una analisi di classe del movimento di massa che in questi giorni si è creato.

In passato abbiamo già ricordato che la nostra solidarietà va ai lavoratori iraniani, i cui scioperi sono stati repressi con estrema violenza dal regime (insegnanti, lavoratori dei trasporti , operai della Khodro ecc. – cfr. PM n.11-12 genn-aprile 2006 “Con il proletariato iraniano in lotta contro la feroce repressione della borghesia islamica”). Fra gennaio e aprile 2009 in Iran si sono verificati 12 scioperi di una certa rilevanza, e poco meno di 50 manifestazioni di lavoratori. Il Primo Maggio, decine di migliaia di lavoratori hanno marciato per le strade di Teheran e di 18 capoluoghi regionali. Secondo Rajab-Ali Shahsavari, leader del sindacato degli edili, circa 26 mila aderenti al sindacato sono stati licenziati a partire dal mese di aprile, col pretesto della crisi economica.

Nessuna delle due fazioni in lotta rappresenta gli interessi della classe operaia; entrambe difendono lo Stato teocratico attuale, e hanno una lunga storia di sanguinosa repressione contro i lavoratori. Perciò non è a uno o all’altro dei contendenti che i comunisti devono dare il proprio sostegno. Tuttavia è nei momenti di scontro fra le frazioni della borghesia che le avanguardie del proletariato possono rialzare la testa e riorganizzarsi. Non siamo in grado di dire se lo scontro attuale si spegnerà velocemente, se le manifestazioni in corso saranno definitivamente schiacciate dalla repressione. Ma se continueranno poco importa per chi abbia votato il proletariato iraniano, i suoi interessi materiali lo porteranno a individuare obiettivi di classe. Purché non subisca l’influenza di organizzazioni nazionaliste e islamico-staliniste come i Mujiaidin del Popolo, pronti a offrire come soluzione alla disoccupazione e alla miseria la versione islamica del capitalismo di Stato. 

La censura oggi in atto non permette una valutazione approfondita delle forze politiche in campo oggi fra i lavoratori. Non conosciamo la reale consistenza e influenza delle organizzazioni comuniste e internazionaliste in Iran (i due tronconi del Partito Comunista Operaio). Una generazione di giovani, molti dei quali proletari, sta facendo oggi in Iran una straordinaria esperienza politica, in giorni che “valgono anni” e in cui illusioni e ingenuità possono bruciarsi rapidamente e portare alla coscienza di classe se organizzazioni comuniste sono presenti sul campo. Al proletariato che lotta contro il capitale privato e statale, contro la repressione dello Stato della borghesia per difendere le proprie condizioni di classe, ai comunisti che lottano per organizzarlo va la nostra solidarietà internazionalista.

 
 
 
pagine Marxiste

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