In Italia come in Europa l’immigrazione è sempre più per i partiti argomento piegato allo contro elettorale contingente e sempre meno affrontato da un punto di vista strategico e dello sviluppo sociale.
Non diversamente in Italia dove l’approdo al Senato della legge sullo Ius Soli vede come al solito Salvini schierarsi “fisicamente” in aula, e i nuovi arnesi del fascismo, Casa Pound e Forza Nuova, scendere in piazza, complici le elezioni amministrative. Ma vede anche la dirigenza M5S svicolare e chiedere che il problema sia risolto… a livello europeo (vedi a che serve l’Europa…) e sostanzialmente dichiararsi contro.
La nuova proposta di legge è stata depositata alla Camera nel marzo 2013 da Kyenge, Bersani, Chaouki e Speranza. E’ passata alla Camera nell’ottobre 2015 con 310 sì, 66 contrari e 88 astenuti (M5S) e poi è stata bloccata da 8.700 emendamenti della Lega.
Probabilmente presentare al Senato la legge nel 2017 prima delle amministrative era, da parte del PD, in parte una “furbata” per costringere Bersani & C. a tener fede alla promessa del 2013 (che sarebbe stata la prima legge che il suo governo avrebbe fatto approvare) e anche un modo per mettere a nudo le contraddizioni del M5S. Quanto alla Lega e a Fratelli d’Italia restano fedelissimi allo “ius sangunis” (quello che permette la concessione veloce facile ai discendenti degli italiani immigrati in America Latina) in linea con una concezione “genetica” dell’italianità di fascista memoria e con il ciarpame tardo positivista ad essa connesso.
Tra l’altro la nuova legge è una timida introduzione di uno “Ius Soli temperato” coniugato con lo “Ius Culturae”, a integrare una legge del 1992 (la n. 91).
In parole povere finora un bambino extracomunitario può avere la cittadinanza se i genitori sono apolidi, se è stato adottato da italiani, se è stato abbandonato alla nascita in Italia, se è in Italia quando uno dei genitori acquisisce la cittadinanza; oppure a 18 anni se è nato qui, se dichiara di voler diventare italiano e è sempre vissuto in Italia fino a quel momento.
La nuova legge consente che il genitore straniero, titolare del permesso di soggiorno UE di lungo periodo, possa chiedere la cittadinanza per il figlio nato in Italia. Oppure se il bambino è nato all’estero, ma è arrivato in Italia prima dei 12 anni e abbia frequentato regolarmente la scuola in Italia per almeno cinque anni o frequentato un corso di istruzione e formazione professionale di 3 o 4 anni, purché risieda in Italia da 6 anni e abbia conseguito il diploma.
Come è noto ottenere il permesso UE di lungo periodo implica tutta una serie di condizioni (5 anni di residenza e di lavoro regolare continuativi, un test di conoscenza della lingua italiana superato, un reddito minimo, un alloggio “adeguato”). Quindi questo Ius Soli non riguarda né i figli di chi gode del diritto di asilo o di protezione umanitaria, né i minori cittadini europei (che la carta non possono chiederla) né i figli di chi è qui per permesso di studio.
Quanti minorenni sono interessati da questa nuova legge? Lo Ius Soli temperato permetterebbe a 600mila ragazzi nati dal ’98 a oggi di diventare cittadini italiani; inoltre lo Ius Culturae, riguarderebbe circa 200mila persone. Successivamente per almeno vent’anni questa legge si applicherebbe in media a 50-60 mila ragazzi all’anno.
Ora si deve tener presente che nel 2015 (ultimo dato con i dati al completo) 159 mila extracomunitari hanno ottenuto la cittadinanza: il 49% per residenza, il 9% per matrimonio e il resto in base alle leggi vigenti, cioè circa 67 mila.
L’impatto anche numerico della legge quindi sarebbe significativo solo all’inizio e riguarderebbe non “il primo che capita”, ma ragazzi già integrati, presenti in Italia da anni, nati da famiglie di presenza consolidata in Italia e che qui hanno studiato.
La legge è un tentativo (dopo tanti altri a vuoto dal 2001) di evitare che le seconde e terze generazioni, sentendosi né carne né pesce nel nostro paese, si sentano estranee e quindi assorbano i veleni che abbiamo visto in azione a Molembeck o in Francia.
Non è nemmeno fra le leggi peggiori in Europa. Gli esteroentusiasti che sostengono che con questa legge ci equipareremmo agli altri “civili” paesi europei dovrebbero fare un ripasso della situazione attuale perché il “capitalismo del vicino non è sempre più verde” in tema di diritti (vedi scheda). La realtà è che non basta la concessione della cittadinanza per garantire parità di condizioni e di diritti. Diritti uguali che non ci sono nemmeno per tutti gli italiani doc, se non sulla carta.
Ma averli comunque almeno sulla carta per i giovani immigrati va richiesto con forza. Sappiamo bene che la borghesia più illuminata vuole questa legge in vista dell’invecchiamento della popolazione e del rischio scarsità di forza lavoro giovane e a buon mercato nei prossimi anni.
Noi al contrario vogliamo che le differenze di trattamento fra giovani italiani e stranieri non siano impugnati dal padronato per dividere i lavoratori a solo vantaggio di chi comanda!
Certo ragionare in termini di forza lavoro è la squallida accettazione del fatto che l’uomo è ridotto a merce. Ma in attesa di una società in cui sia l’uomo a contare e non il profitto e il capitale anche questa è una battaglia che ci appartiene.
Ius Soli e “paesi avanzati”
Solo gli USA oggi nel mondo hanno lo Ius Soli puro (cioè l’acquisizione della cittadinanza come conseguenza del fatto giuridico di essere nati sul suo territorio indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori)
Rispetto alle recenti polemiche italiane il commissario europeo per le migrazioni, gli affari interni e la cittadinanza, Dimitris Avramopoulos ha ricordato che l’Europa non non ha voce in capitolo sullo Ius Soli, che è “di stretta competenza nazionale”
Come quasi tutto in materia di immigrazione.
In Europa domina lo ius sanguinis (cioè si è cittadini se uno dei genitori, in alcuni casi solo il padre hanno la cittadinanza) e in quasi tutti i paesi è prevista l’acquisizione della cittadinanza se si viene adottati da un cittadino del paese, per residenza (che varia da 5 a 10 anni) o per matrimonio.
Lo Ius Soli era in vigore prima in Gran Bretagna (dove è stato abolito nel 1981 da Margaret Thatcher) e in Irlanda (dove è stato abrogato da un referendum nel 2004)
Fu concesso in Grecia nel 2010, ma ritirato nel 2013 e sostituito con una normativa analoga a quella proposta oggi in Italia
Vige, quindi, una certa anarchia e una tendenza alla rincorsa a negare diritti:
a) si concede la cittadinanza alla nascita se si è figli di stranieri nati a loro volta nel paese in Francia, Portogallo e Spagna
b) la si concede a 18 anni se i genitori risiedono da almeno 5 anni in Francia e Svezia (gli anni devono essere 8 in Germania e 10 in Belgio)
c) la si concede a 18 anni se il richiedente è nato da genitori presenti con regolare permesso di soggiorno e se il richiedente risiede nel paese da almeno 5 anni in Francia e Olanda (da almeno dieci anni in Gran Bretagna e Austria); variante irlandese è sufficiente che i genitori abbiano un permesso triennale; variante danese se si risiede da 9 anni ma si è passato un esame di lingua e civiltà.