DI Stefano Folli
Il vertice europeo ha sancito un indubbio successo dell’Italia e quindi del Governo Prodi. Un successo politico e
diplomatico. Nessuno può negarlo. L’Italia ha saputo tenere la scena fin dal primo minuto
della crisi libanese ed è apparsa a tutti il Paese più convinto e determinato nel volere la forza
multinazionale. Questo atteggiamento le ha procurato gli elogi di Bush,
di Israele e del Libano. Non solo: anche gli Hezbollah hanno avuto parole di
riguardo verso il nostro ministro degli Esteri ( «ha mostrato senso di
umanità») dopo la passeggiata fra le rovine di Beirut.
Ne deriva che l’affermazione italiana è figlia anche dell’abilità con cui Prodi e
D’Alema hanno saputo rivolgersi ai vari soggetti in campo. Non era
facile stringere la mano ai governanti israeliani, ottenendone il sostegno, e
al tempo stesso farsi vedere a braccetto con un dirigente di Hezbollah. L’Italia c’è riuscita, navigando
a vista, ma con indiscussa perizia, nei meandri mediorientali.
Ambiguità? Certo. La linea italiana è stata ambigua con intelligenza, ma non più di
quanto non lo sia la risoluzione 1701 dell’Onu, punto di riferimento di
tutto l’edificio diplomatico. L’Italia ne ha sfruttato le sfumature per marciare un passo avanti agli
altri Paesi europei. Alla fine ha colto la sua vittoria, compreso il
comando a «staffetta» con Parigi. E non c’è dubbio che nel mutare della posizione della Francia ha
influito il dinamismo di Roma, non meno dellepressioni americane. E se
il vertice di ieri è stato molto positivo, lo si deve in primo luogo al Paese
che l’aveva sollecitato, cioè il nostro.
Sul piano interno ne deriva un curioso paradosso. Andiamo in Libano, nella missione forse piùpericolosa degli ultimi anni,
con il consenso e anzi la
spinta dei gruppi pacifisti. Sergio Romano ha giustamente scritto che
bisogna prendere in considerazione «la possibilità di una missione di pace
costretta a combattere fra due fronti». Ma tutto questo non scompone i partiti
dell’estrema sinistra. Sotto tale profilo si può davvero parlare di un trionfo di Prodi. Ha unito
la sua maggioranza, dalle iniziali titubanze della Margherita fino ai comunisti
di Diliberto. E lo ha fatto sul presupposto che la spedizione in Libano costituisca il maggior segno di
«discontinuità » rispetto alla politica estera di Berlusconi,
filoamericana e filoisraeliana. Ma il paradosso è appunto che tale «discontinuità » si manifesta con il
plauso di Bush e l’assenso di Israele, mentre in Parlamento tutto il
centrodestra, Bossi compreso, si prepara a votare a favore. Non potrebbe non
farlo, visto che Washington e Gerusalemme vogliono la missione senza equivoci.
Ma è curioso che il voto unanime del Parlamento, quando sarà chiamato a
esprimerlo, sia presentato già ora come la prova che la politica estera ha
cambiato di segno. Viceversa è solo il frutto di un’abile regia e di una fortunata operazione, che
riesce a tenere insieme Berlusconi e la sinistra estrema.
Per quanto tempo? Non lo sappiamo. È evidente che i soldati di Prodi e Parisi
partono con le spalle ben coperte in termini politici. Il consenso
generale alla missione significa che non sarà facile per questo o quel partito
prendere le distanze al primo incidente. Ciò nonostante la spedizione è carica di rischi.
Sono poco chiari gli obiettivi e gli spazi di manovra della forza militare. C’è
chi sospetta che siano sottovalutati i pericoli sul campo.È il problema di domani. Oggi il
Governo può godersi il successo e il centrodestra può solo allinearsi.
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il PUNTO DI Stefano Folli