Mentre contingenti Nato da una parte del confine ucraino e esercito russo dall’altra portano avanti la guerra diplomatico muscolare degli ultimi giorni (cfr. comunicato sull’Ucraina), ai margini si muovono in entrambi i campi formazioni militari di altro tipo.
Il 4 febbraio un “volontario” americano concede un’intervista a Euronews e La Presse per invitare altri giovani a combattere “per gli ideali occidentali”, a sostegno del governo di Kiev, contro le minacce russe. Rivela di essere in Ucraina dal 2014 (riquadro 1) e di essersi unito a una formazione paramilitare di stanza a Kiev, organizzata da tale Mamuka Mamulashvili e formata da civili di varie nazionalità: georgiani, statunitensi, inglesi, australiani, italiani, tedeschi. L’obiettivo è raggiungere i 3 mila componenti. Molti sono veterani della guerra del Donbass. L’Ucraina ha concesso loro la cittadinanza nel 2019 e l’esercito ucraino, attualmente, partecipa al loro addestramento (nota 1). Questa unità ha un nome tristemente evocativo: “Legione Georgiana”, lo stesso nome dell’unità del 1941, composta da prigionieri di guerra e di georgiani emigrati in Germania nel ’21 (dopo l’invasione sovietica), che combatterono a fianco della Wehrmacht. (nota 2). Non è la prima formazione militare ucraina che attira “volontari” dall’estero. E la stampa russa li accusa di essere al soldo o comunque manovrati dalla Cia o direttamente da militari Usa.
In Italia già nel 2014 i gruppi paramilitari della destra neofascista ucraina, ad es. Pravyj Sektor, ebbero l’entusiastico appoggio di Casa Pound; un gruppo di loro militanti parteciparono alla guerra del Donbass a fianco di Kiev. Altre formazioni della destra italiana, come Forza Nuova, invece, si schierarono a fianco della destra ucraina filorussa e anche loro combatterono nel Donbass, ma dalla parte opposta.
Del resto nel Donbass, dal 2014 ha operato il gruppo Wagner, descritto come un’agenzia privata che ha appaltato militari combattenti a fianco dei separatisti delle auto-dichiarate repubbliche popolari di Doneck e di Lugansk. La stampa occidentale li accusa di essere la longa manus di Putin.
La Legione Georgiana e il Gruppo Wagner rientrano nel più ampio fenomeno dei mercenari sempre più presenti nei teatri di guerra moderni. Poiché tutti i paesi proibiscono ai propri cittadini di combattere nelle fila di un esercito straniero, si è inventata la figura del contractor. Costui è un soldato professionista o una guardia di sicurezza reclutata con contratto per svolgere attività militari, di sorveglianza o di protezione in zone di guerra. Fra di loro anche molti italiani (nota 3).
Un business stimato intorno ai 250 miliardi di dollari. Li abbiamo visti in Iraq, in Siria, poi in Libia attualmente. Del resto la stessa ISIS ha reclutato “volontari” questa volta sotto l’ideologia islamica. La realtà è che sia in Medio Oriente ma soprattutto nel Sahel martoriato dalla siccità, l’Isis ha reclutato i disperati che, orfani delle possibilità di lavoro in Libia, in cambio di uno stipendio fisso (che a noi può parere modesto, ma in Siria o in Centro Africa è principesco), rischiavano la vita per sfamare le famiglie.
Ma se da parte dell’ISIS è logico aspettarsi il reclutamento di “carne da macello”, è legittimo chiedersi perché potenze imperialiste sviluppate sentano il bisogno di aggregazioni paramilitari di appoggio. Qualcuno sostiene che in Iraq o Afghanistan gli Usa abbiano schierato un numero di contractors pari al numero di soldati regolari (nota 4). E se ieri il termine contractor faceva pensare alla statunitense controversa Blackwater, oggi è la Cina a offrire sul mercato 4,3 milioni di potenziali mercenari.
Quindi ci chiediamo di nuovo, quali i vantaggi? Le morti dei contractors non entrano nelle statistiche, non scatenano patetiche scene dell’eroe morto seppellito con tutti gli onori, non solo, ma ai contractors vengono delegate le operazioni sporche, quelle di cui i politici non vogliono rispondere. I contractors aumentano il livello di ferocia e disumanità delle guerre, ma nel contempo gli stati non se ne assumono i costi politici e morali. I costi li paga invece la popolazione. Quattordicimila fino ad ora i morti tra civili e militari, 1,8 milioni gli sfollati interni, 30 mila feriti, 3,4 milioni le persone che hanno necessitato di aiuti umanitari.
NOTE
Nota 1: È nota l’ostilità dell’ex presidente Poroshenko verso questo tipo di combattenti. Mamulashvili, ex consigliere militare del presidente georgiano Saakashvili, è stato accusato, sulla base di testimonianze non anonime, dalle riviste Peacelink e “Gli occhi della guerra” di essere responsabile coi suoi contractors del massacro di 80 fra dimostranti e forze dell’ordine nel febbraio 2014 a piazza Maidan. Lo scopo sarebbe stato quello di far cadere il governo Yanukovych (https://lists.peacelink.it/pace/2022/01/msg00013.html). Analoga tesi era stata sostenuta in precedenza da Analisi Difesa (https://www.analisidifesa.it/2017/11/gian-micalessin-svela-la-vera-storia-della-rivoluzione-ucraina-del-2014/).
Nota 2: Alcuni di loro, inviati in Italia e Francia defezionarono per unirsi alla Resistenza, altri si ribellarono ai tedeschi in Olanda (rivolta di Texel). I sopravvissuti rimasti fedeli alla Germania furono consegnati all’URSS che, considerandoli dei traditori, li inviarono nei gulag in Siberia e nell’Asia centrale.
Nota 4: https://www.ultimavoce.it/contractors/
Da piazza Maidan a oggi Febbraio 2010: Il filorusso Yanukovic diventa presidente, vincendo di stretta misura il ballottaggio con Yulia Timoschenko; la sua elezione pone fine alla cosiddetta “rivoluzione arancione”. Termina con un compromesso anche la lunga contesa petrolifera fra Russia e Ucraina. In aprile viene firmato l’accordo di Kharkov. Mosca abbassa del 30% il prezzo del gas (applicando comunque il prezzo di mercato europeo) e accetta di rinegoziare il debito ucraino che viene spalmato su 10 anni. Yanukovic concede ai russi l’affitto per 25 anni della base navale di Sebastopoli. Novembre 2013: La UE chiede la liberazione di Yulia Timoscenko (incarcerata nel 2011) come precondizione per la firma dell’Accordo di Associazione con i 28. Yanukovic sospende le trattative e riprende quelle con la Russia. A Kiev esplodono proteste pro-europee contro Yanucovic che si protraggono durante gennaio e febbraio 2014. Il fulcro delle manifestazioni è piazza Maidan. 17-23 febbraio 2014: Durante scontri fra la polizia Berkut e i manifestanti muoiono circa 80 persone fra poliziotti e oppositori. Più tardi fonti indipendenti parleranno di cecchini che hanno indiscriminatamente sparato sia sulla polizia che sulla folla per causare l’incidente. La Russia accusa la Cia di aver foraggiato i dimostranti. Yanukovic si dimette, lascia il paese e si rifugia a Rostov. A Kiev si forma un governo provvisorio. Nell’est del paese si tengono manifestazioni filo russe. 26 febbraio 2014: I russi occupano la Crimea e installano come nuovo leader locale il filo-russo Sergej Aksënov, il cui governo dichiara l’indipendenza della Crimea. 16 marzo 2014: Referendum di autodeterminazione in Crimea. Il governo di Kiev dichiara sciolto il Parlamento regionale della Crimea. 7 aprile 2014: anche l’Oblast’ di Donec’k ha dichiarato unilateralmente l’indipendenza dall’Ucraina, seguito in giugno da Lugansk. Giugno 2014: Alle elezioni presidenziali viene eletto Petro Porošenko. 27 giugno 2014: Porošenko firma a Bruxelles l’Accordo di associazione tra l’Ucraina e l’Unione europea. Inizia il conflitto del Donbass, definito dagli esperti militari, “a bassa intensità” o “conflitto congelato”. Settembre 2014-Febbraio 2015: a Minsk (Bielorussia) vengono firmati due accordi che mettono fine ai combattimenti su larga scala, ma da allora e ancora oggi sul terreno continuano ad affrontarsi truppe ucraine e ribelli separatisti, in scontri intermittenti di intensità variabile, lungo i 470 chilometri della “linea di contatto” che taglia in due il Donbass. Aprile 2019: Alle elezioni presidenziali Porošenko viene battuto dal comico Volodymyr Zelens’kyj. |