Marco Galluzzo
D’Alema: attendevamo più
collaborazione dagli Usa su Calipari Prodi a Berlino: ritiro all’olandese
dall’Iraq, non alla spagnola
ROMA – Offre materia sufficiente per curare i mal di
pancia della sinistra radicale, dicendo che c’è spazio «per esaminare tutte le
missioni italiane all’estero, caso per caso, per verificarne i risultati,
nelle singole commissioni parlamentari». Duetta con Fini e Martino, a tratti
con fair play, a tratti con punte di sarcasmo, mentre l’ex ministro
della Difesa continua a dargli del «bugiardo». Soprattutto scompone e rivede
cinque anni di politica estera berlusconiana, citando appena tre volte gli
Stati Uniti (una per dire che «ci saremmo aspettati più collaborazione su
Calipari») e almeno una dozzina la parola Europa, la necessità di approccio
multilaterale ai problemi del mondo.
EUROPEISMO – Massimo D’Alema legge un discorso scritto davanti alle
commissioni Esteri di Camera e Senato, riunite a Palazzo Madama. Come
previsto ha il taglio dell’annuncio programmatico: il ministro degli Esteri
dice come intende guidare la Farnesina, come deve cambiare la diplomazia
italiana. E allora «la dimensione europea è la priorità»; così come la
crescita «di un attore europeo autonomo» rispetto a Washington; anche perché
«atlantismo ed europeismo non sono in contraddizione, possono rafforzarsi a
vicenda». C’è da rivedere un approccio, quello interpretato da
Berlusconi, «che non ha allargato i nostri orizzonti», che «non è stato
globale», incapace di integrare i nostri interessi laddove invece andrebbero
rafforzati, come in Asia, a cominciare dalla Cina e dall’India.
Il ministro degli Esteri precisa ovviamente che guardare all’Europa «non
significa consegnare all’Unione Europea una delega in bianco», ma è il frutto
della «consapevolezza che la Ue può essere il miglior difensore dei nostri
interessi». E se ammette che le istituzioni comunitarie sono «in crisi»,
esprime al contempo la convinzione che l’Italia possa favorire un’inversione di
tendenza: sulla Costituzione, di cui «va salvato il massimo possibile», come
sulle politiche mediorientali, dove «una Conferenza dei Paesi della regione»,
anche «per la pacificazione dell’Iraq» sarebbe auspicabile, conferenza
«adombrata nel pacchetto negoziale europeo» offerto all’Iran.
IRAQ – I temi più caldi riguardano ovviamente l’Iraq, le altre missioni
dei nostri militari all’estero, i rapporti con gli Stati Uniti. Gli stessi temi
che Romano Prodi tocca più o meno nelle stesse ore a Berlino, con le stesse
sfumature, durante la visita ad Angela Merkel. L’Italia si ritirerà
dall’Iraq «all’olandese, non alla spagnola», dice il presidente del
Consiglio, ovvero in modo concordato, in accordo sia con il governo iracheno,
e questo è un significato della visita di D’Alema in Iraq, sia con
l’Amministrazione Usa, e questo è il significato del viaggio che farà
D’Alema negli Usa nei prossimi giorni, perché il rientro sia senza tensioni e
senza problemi». In ogni caso una cosa è chiara: «La nostra missione è
finita».
L’ALLEANZA CON GLI USA – Dicendo le stesse cose D’Alema in Parlamento
precisa che «l’alleanza con gli Stati Uniti rimane asse portante della
nostra politica», ma introduce un argomento che aggiungerà certamente altre
frizioni nel rapporto con la Casa Bianca: «Con la Rice parleremo anche della
questione Calipari», perché «dagli Usa ci saremmo attesi più collaborazione
con la giustizia italiana, nella ricerca della verità e nell’accertamento delle
responsabilità». Poi ritorna sulla polemica a distanza con Martino, perché è
scorretto definire «missione sostanzialmente civile», come ha fatto l’ex
ministro della Difesa, «il mantenimento di 800 soldati a difesa di 15
tecnici italiani», come sarebbe stato nei piani del governo Berlusconi.
AFGHANISTAN – Almeno altre due cose si segnalano nell’audizione. Ramon
Mantovani, di Rifondazione, condiziona il sì al rifinanziamento delle missioni
italiane all’estero a una discussione ampia interna al governo e alla
maggioranza, mentre ribadisce il dissenso sull’indispensabilità della presenza
dei nostri militari in Afghanistan. D’Alema concludendo lo accontenta
almeno su un punto, dicendosi non solo favorevole ad «esaminare in modo
approfondito tutte le missioni», ma anche a rivedere il meccanismo semestrale
di rifinanziamento, definendolo «stravagante». Ma sull’Afghanistan rimane la
distanza: «Entro ambiti ragionevoli – scandisce il ministro degli Esteri – la
nostra presenza militare potrà avere anche un incremento».
Ma è proprio sull’Afghanistan che i problemi non sembrano
definitivamente risolti per la maggioranza. Il Pdci è in forte difficoltà a
votare il rifinanziamento della missione e allora avrebbe suggerito a Prodi di
porre la fiducia. Dire di no allora vorrebbe dire far cadere il governo e i
comunisti di Diliberto potrebbero votare sì mantenendo però la loro contrarietà
alla missione. Ma questa strada non convince del tutto il presidente del
Consiglio.
Strategie
GLI SPAGNOLI I soldati spagnoli, inviati nel 2003 in Iraq come
truppe combattenti dall’allora premier di centrodestra José Maria Aznar, furono
ritirati in fretta e furia da José Luis Zapatero all’indomani della vittoria
del Partito socialista alle elezioni del 14 marzo 2004
RITIRO Zapatero annunciò alla radio già il giorno dopo il trionfo che i
1.600 soldati spagnoli, coerentemente con le promesse elettorali, sarebbero
rientrati in Patria entro il 30 giugno. In realtà il ritiro si completa in
maggio, in anticipo sui tempi annunciati.
GLI OLANDESI Nell’agosto 2003 l’Olanda aveva inviato in Iraq, nella
provincia meridionale di al Muthanna, sotto comando britannico, un contingente
di 1.400 soldati per partecipare alla ricostruzione al termine delle operazioni
belliche
ACCORDO Un anno più tardi, il governo olandese, sotto la pressione
dell’opinione pubblica, decide di ritirare i soldati. Avvia un negoziato al
livello dei ministri degli Esteri con americani e britannici e, nella primavera
2005, comincia il graduale disimpegno. Gli olandesi lasciano il Paese senza
incidenti o polemiche