L’ultimo rapporto sulle torture della CIA a danno dei prigionieri nel nome della cosiddetta “guerra al terrorismo” alza un velo su un segreto di pulcinella. Da tanto tempo erano note le pratiche di interrogatorio come il waterboarding (l’immersione in acqua al limite dell’annegamento), il walling (il prigioniero viene sbattuto violentemente contro il muro), la privazione del sonno per 180 ore, l’alimentazione per via anale, le ore di interrogatorio, le minacce di uccidere i familiari, le umiliazioni continue, e altro ancora, così come era nota la pratica di estradare i presunti terroristi in paesi dove i diritti umani non esistono, come l’Egitto, e che magari sono stati o sono poi diventati nemici degli USA, come la Libia.
La più grande democrazia del mondo applica gli stessi metodi delle dittature che proclama di combattere.
Intanto, per combattere il regime laico di Gheddafi o per contrastare l’influenza dell’Iran e dei suoi alleati sciiti, gli USA promuovevano i gruppi armati integralisti sunniti, gli stessi più o meno legati ad Al Qaeda e che ora sono fra i principali responsabili della guerra civile in Libia, Siria e Iraq. Con una mano il governo americano “combatteva” il terrorismo torturando, con l’altra lo sosteneva.
Secondo il documento pubblicato dal Senato statunitense – un riassunto di un più ampio rapporto della CIA, ancora segreto – gli interrogatori della CIA non solo calpestavano i diritti umani, ma erano spesso inefficaci nel recepire informazioni utili a impedire attentati. Per prevedere un simile risultato non era necessaria una laurea in psicologia né una solida esperienza nelle pratiche di indagine, ma era sufficiente leggere qualche pagina scritta da Cesare Beccaria, che già nel 1764 evidenziava come la tortura possa piegare alla confessione non i colpevoli, ma i meno resistenti al dolore, anche se innocenti.
Le responsabilità di questi crimini non sono affatto solo americane. Nelle sue operazioni di extraordinary rendition (rapimento di sospettati fuori dai confini USA) la CIA ha potuto contare sulla piena collaborazione di ben 54 governi, fra cui anche l’Italia. Una vera e propria multinazionale della tortura che eseguiva sequestri e trasportava i sequestrati in luoghi non soggetti alla magistratura ordinaria o in stati complici dove i loro aguzzini potevano agire indisturbati. Famoso il caso dell’imam Abu Omar, a cui l’Italia aveva pure concesso asilo politico, sequestrato a Milano il 17 febbraio 2003 in accordo col governo italiano per poi essere estradato in Egitto e lì torturato. Per tale sequestro la magistratura italiana ha condannato 22 agenti della CIA e un pilota della US Air Force (che avevano però già avuto tutto il tempo per tornare negli USA prima dell’arresto) ma non ha perseguito i loro compari del SISMI a causa del segreto di stato apposto dal governo italiano.
Ora che il segreto di pulcinella è divenuto verità ufficiale il presidente Obama piange lacrime di coccodrillo su metodi “contrari e incompatibili con i valori del nostro Paese”, ma secondo il Washington Post le pratiche di rendition sono continuate anche il suo governo, così come sono continuate le pressioni su alcuni governi europei per fermare le indagini sulle torture. Intanto, la famigerata prigione di Guantanamo – che Obama da sei anni promette di chiudere – resta aperta. Una continuità di fatto col proprio predecessore, a dispetto del premio Nobel per la Pace vinto nel 2009.
Nessun processo sarà fatto a carico dei responsabili, né dei mandanti – come l’ex vicepresidente Dick Cheney che continua a sostenere la legittimità di tali trattamenti – né degli esecutori.
Non è certo dagli stati borghesi che ci attendiamo giustizia; del resto la comandante del famigerato carcere di Abu Ghraib generale Janis Karpinski non ha mai avuto alcuna conseguenza per i crimini commessi sotto il suo comando: semplicemente passata l’indignazione dalla scoperta dei crimini commessi è stata prosciolta da ogni accusa.
Solo una società senza guerre né sfruttamento potrà prevenire crimini di questo genere.