"Le minacce che l´America fronteggia"-La forza militare non basta si torna alle tesi di Clinto

USA, DIFESA

REPUBBLICA Ven. 17/3/2006  

"Le minacce che l´America fronteggia"


Dittature, terrorismo,
pandemie, crisi petrolifera: la nuova dottrina Bush
Aggiornato il rapporto del 2002, quando si annunciò la "guerra
preventiva"
Rivendicati successi della diplomazia Usa, da Israele all´Afghanistan

La Casa Bianca ha pubblicato ieri il nuovo rapporto sulla
Sicurezza Nazionale in cui vengono presentate le minacce e le sfide che devono
affrontare gli Stati Uniti. Il documento firmato dal presidente George W. Bush
dovrebbe essere aggiornato ogni anno ma non veniva presentato dal settembre
2002 quando fu annunciata la dottrina della "guerra preventiva"
.
Nelle 49 pagine di testo, la democrazia viene di nuovo individuata come
antidoto alla diffusione del terrorismo
. Il governo americano continua a
raccomandare la strada della diplomazia ma viene ribadita la possibilità di un
attacco preventivo in caso di grave minaccia. L´Iran si trova al primo al
primo posto degli "stati dispotici" (non più chiamati
"Stati-canaglia") seguito da Corea del Nord, Cuba, Bielorussia,
Birmania, Zimbabwe, Siria. A Russia e Cina viene invece rivolto un invito a
«rafforzare le strutture e istituzioni democratiche»
. Ma il rapporto
affronta anche la riforma delle Nazioni Unite, il traffico di esseri umani, il
rischio di pandemie come potrebbe rivelarsi l´influenza aviaria, le sempre più
numerosi catastrofi naturali, dai maremoti agli uragani, fino alla crisi di
rifornimento del petrolio. Il rapporto rivendica infine numerosi successi
della politica estera americana in questi anni: dall´indebolimento della rete
di Al Qaeda all´arrivo della democrazia in Afghanistan e Iraq
.


USA, DIFESA

CORRIERE Ven. 17/3/2006  
IVO DAALDER (Traduz. Anna Bissanti)

Ivo Daalder è un esperto di politica estera americana per
la Brookings Institution di Washington. Il suo ultimo libro è America Unbound:
the Bush revolution in Foreign Policy

Il commento di Ivo Daalder, analista della politica
estera Usa

La forza militare non basta si torna alle tesi di
Clinton


 


Con la pubblicazione della
sua nuova Strategia per la Sicurezza Nazionale la «Rivoluzione Bush» è
ufficialmente conclusa. Assistiamo infatti a un ritorno a una politica estera
molto più simile a quella portata avanti dalle amministrazioni precedenti
che non a quella seguita da questa stessa
Amministrazione durante il suo primo mandato.
I due pilastri gemelli di questa nuova strategia – la promozione dei diritti
umani, della libertà e della democrazia, e la collaborazione con amici e
alleati – sono stati per decenni le colonne portanti della politica estera
americana. L´inversione rispetto al passato diventa chiara quando si osserva
come questa strategia sposti gli equilibri, mettendo in risalto la diplomazia e
non più la forza, facendo affidamento sulle alleanze e sulle istituzioni
multilaterali e non più sulla potenza unilaterale americana, evidenziando
l´importanza di esaltare la nostra potenza nella collaborazione con gli altri
più che il bisogno di garantire la preminenza militare americana
.
Per molti aspetti, questo nuovo documento sulla strategia costituisce un
ritorno alla politica estera di Bill Clinton
. Lo si vede nella nuova enfasi
data alla democratizzazione
(non diversa dalla strategia dell´allargamento
di Clinton), nell´ammissione che la globalizzazione crea sfide e opportunità
diverse
(punto centrale della politica estera di Clinton, ma del tutto
assente nel documento sulla strategia del 2002), nella centralità della
collaborazione con gli alleati e gli amici
e nella decisa preferenza
accordata alla diplomazia rispetto all´uso della forza
(al cuore della
strategia di Clinton).
Anche se il nuovo documento ribadisce che gli attacchi preventivi rimangono una
parte cruciale e determinante della strategia, lo fa in un modo che diverge
assai poco da come l´Amministrazione Clinton affrontò l´argomento discutendo
del ricorso alla forza.
Interessante sarebbe comprendere perché l´Amministrazione Bush ha deciso di
cambiare rotta. In parte la risposta è sicuramente nel fatto che la realtà ha
messo in piena luce i limiti della sua rivoluzionaria politica estera
.
È evidente che la maggior parte delle minacce alle quali oggi dobbiamo far
fronte non possono essere efficacemente risolte dalla sola forza militare
americana
; perché ciò accada occorre un uso differenziato della forza,
oltre all´attiva cooperazione di alleati di buona volontà e competenti. Un´altra
realtà indiscutibile è che ogni azione americana deve godere di legittimità a
livello internazionale, se si vuole che sia funzionale ai fini della
risoluzione dei problemi globali
.
Ciò nonostante, è palese che l´Amministrazione ha accettato queste nuove realtà
soltanto con riluttanza. È stata costretta a cambiare rotta per necessità, più
che per convinzione, e pertanto resta da vedere se nelle settimane e nei
mesi che verranno la conduzione degli affari esteri rispetterà ciò che le
parole di questa strategia delineano o i principi di quella precedente
.

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