Le lacrime di coccodrillo di Confindustria sui morti sul lavoro

Subito dopo l’elezione plebiscitaria della neo-presidente Emma Marcegaglia, mercoledì 21 maggio l’assemblea di Confindustria si è alzata in piedi per omaggiare la memoria di uno degli ultimi morti sul lavoro: Girolamo di Maio, morto il giorno prima schiacciato da una catasta di tubi proprio nell’azienda della Marcegaglia.

Il gesto degli industriali non restituisce la vita all’operaio morto, ma dà una parvenza di sensibilità a quegli stessi imprenditori che puntano al risparmio non solo degli stipendi, ma anche delle misure di sicurezza.

Gli incidenti sui luoghi di lavoro non sono una fatalità, ma una scelta imprenditoriale: è più costoso investire nelle misure di sicurezza – soprattutto in stabilimenti che poi si intende chiudere o nei quali i lavoratori sono più ricattabili e quindi non possono reagire ai pericoli della produzione – che correre ai ripari dopo la morte di un lavoratore. Nel rischio imprenditoriale viene messo non solo il patrimonio aziendale, ma anche la vita umana.

Il capitale gioca sulla paura dei dipendenti che temono che le ispezioni delle autorità portino alla chiusura dello stabilimento e che preferiscono rischiare la vita piuttosto che la busta paga.

Una vera lotta alle “morti bianche” non viene dalle buone intenzioni dichiarate ipocritamente da governi e istituzioni padronali, né solo dai controlli che dovrebbero fare le ASL (affidate a strutture negligenti e spesso corrotte), ma dalla capacità dei lavoratori di organizzarsi e lottare per imporre alle aziende salari migliori e per difendere le proprie condizioni e i propri diritti sul posto di lavoro, tra cui l’adozione di misure di sicurezza reali che mettano un freno ai profitti ottenuti giocando sulla loro pelle.

Un obiettivo difficile, soprattutto in un tessuto produttivo caratterizzato da molte piccole aziende dove i dipendenti sono meno organizzati, e spesso poco sensibili al valore della propria stessa vita perché più ricattati, ma che può unire lavoratori precari e “garantiti” di tutte le realtà produttive: se c’è chi può essere costretto a lavorare in condizioni di rischio, la mancanza di sicurezza diviene la regola per tutti.

Mai come in questo campo la tutela dei lavoratori contrattualmente più deboli (precari, dipendenti di aziende in crisi o di piccole dimensioni, immigrati irregolari) è indispensabile per garantire i diritti anche di quelli più forti.

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