LAVORO ed EMARGINAZIONE NEL BRASILE DI OGGI

Forza lavoro

Valor Econômico 29/9/17; Esquerda Diário 28,31/8; 15,18,25/9;2/10/17; CSPConlutas 18/8; 25/9;17/11/17

I brasiliani sono 260 milioni, 104 milioni sono impiegati e disoccupati, la seconda popolazione economicamente attiva nel mondo per dimensione. Secondo IBGE 90 milioni sono occupati, 14 milioni disoccupati. Ma queste cifre non tengono conto di chi non cerca più lavoro e considerano come occupato chi ha lavorato anche solo un’ora la settimana. Se tra i disoccupati consideriamo anche questi, si raggiunge una somma di 26,5 milioni di persone (aprile 2017), cioè il 24,1% della forza lavoro. La disoccupazione giovanile, tra i 18 e i 24 anni, è del 28,8%, concentrata soprattutto nel Nordest (32,9%).

La struttura del mercato del lavoro in Brasile si sta modificando: avanzano i lavori informali e precari, senza contratto, il settore dei servizi, l’outsourcing.

I lavoratori informali crescono con il progredire della crisi e oggi sono il 43% degli occupati. Vi troviamo i lavoratori domestici, gli autonomi, i lavoratori in nero. E’ un insieme che va dai microimprenditori ai venditori ambulanti. Il mondo del lavoro brasiliano è segnato dal primato della precarietà ed anche in questo caso il territorio più interessato è il Nordest.

Nel 2017 sono più di 10 milioni i lavoratori senza contratto.

Il settore dei servizi si sta ingigantendo: è il 50% di tutta la classe lavoratrice.

5 milioni di lavoratori non hanno nessuna relazione salariale; sono gli schiavi, che le statistiche fanno rientrare tra gli occupati.

Il 13% degli occupati appartiene all’industria ed è concentrato nei grandi centri urbani come S. Paolo, Santa Catarina, o negli stati Minas Gerais e Paranà. Questi operai rappresentano il 25% dei 12 milioni di lavoratori formali. Il 7% dei lavoratori sono domestici, un primato rispetto ad altri paesi.

Gli stessi dati IBGE mostrano un tasso di disoccupazione registrato tra giugno e agosto del 12,6%, 0,8 punti percentuali superiore a quello registrato nel 2016. Nello stesso periodo il numero di occupati è di 91.061 milioni di persone, +1,5% rispetto al trimestre precedente, +1% rispetto allo stesso periodo nel 2016.

I disoccupati sono 13.113 milioni, -4,8% rispetto al trimestre precedente, 9,1% in più dello stesso periodo nell’anno precedente. L’Istituto di Statistica ne conclude che la forza lavoro è pressoché stabile, e trae la stessa conclusione riguardo alle retribuzioni: nello stesso periodo di quest’anno i lavoratori occupati hanno percepito un reddito di poco inferiore rispetto al trimestre precedente. Il reddito medio reale nel trimestre giugno- agosto è stato di R$ 2105, -0,5% del trimestre precedente, + 1,9% dello stesso periodo del 2016.

Questi dati, esaltati da tutti i media borghesi, celano l’aumento considerevole del lavoro nero, precario e informale.

IBGE rileva infatti che il numero di impiegati contrattualizzati resta stabile rispetto al trimestre anteriore (33,3 milioni), mentre i lavoratori senza contratto (10,7 milioni) sono aumentati rispetto al trimestre precedente del 4,6% e del 5,6% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente. Gli autonomi (22,6 milioni) sono aumentati dell’1,6% rispetto all’anno precedente, mentre rimangono stabili sull’anno. Si sommino a queste cifre il numero crescente di persone sfiduciate che non cercano più lavoro e si avrà un bilancio più realistico e problematico del mondo del lavoro brasiliano.

Un forte attacco alla classe lavoratrice è dato dai Piani di Dimissione Volontaria, strategia sempre più diffusa per far avanzare i piani di privatizzazione. Sta interessando tutti i settori e fa strage di posti di lavoro sia nelle grandi imprese come Petrobras e Eletrobras (in questi ultimi mesi fino a 2400 licenziamenti) che nelle minori a livello statale. Petrobras dal 2013 ha licenziato più di 240.000 lavoratori, riducendo del 30% il suo effettivo. Rilevante è l’attività del movimento di classe ‘SOS Emprego’, che opera soprattutto in questo ambito; il suo obiettivo è unire i lavoratori, sempre più torchiati e ricattati, con i disoccupati, perché unica è la lotta contro lo sfruttamento e il giogo del capitale.

La disoccupazione in Brasile è una questione di classe e di razza: il 63,7% dei disoccupati sono neri o mulatti (dati PNAD: Ricerca Nazionale per Campione Domestico). Il loro tasso di disoccupazione è del 14,6%; quello della popolazione bianca è del 9,9%. Essi rappresentano il 53% della forza lavoro brasiliana.

Nel mercato del lavoro i neri sono sempre svantaggiati, sia nell’inserimento che quando inseriti. Anche i salari sono inferiori: essi ricevono in media R$1531, quasi la metà del salario medio dei bianchi. I neri lavorano nelle condizioni peggiori, sono più presenti nel lavoro nero, precario, informale (71,3% su 75,3% per i bianchi) (dati IBGE). Più di un quarto della popolazione nera o mulatta è occupata nel lavoro informale (26,1% nel primo trimestre di quest’anno), in aumento sugli anni precedenti. Su 1,8 milioni di ambulanti nel paese 1,2 sono neri e mulatti. Ma superano i bianchi anche in agricoltura, nell’edilizia, nel settore alimentare e soprattutto domestico. Questo fatto contrasta con l’avanzamento della scolarità negli ultimi anni. Tra il 2005 e il 2015 i neri universitari sono passati dal 5,5 al 12,8% (dati IBGE).

Oggi il Brasile è tra i 10 paesi più disuguali del mondo, e la disuguaglianza è di classe, di razza ma anche di genere.

Da un recente Rapporto Oxfam leggiamo che i 6 brasiliani più ricchi concentrano la stessa ricchezza della metà della popolazione più povera (100 milioni di persone). Il 5% più ricco possiede il reddito del 95% della popolazione. Visto altrimenti, un lavoratore con salario minimo (R$ 937 al mese) dovrebbe lavorare 19 anni per ottenere la somma mensile goduta dall’1% più ricco. Lo studio rivela che, sulla tendenza degli ultimi 20 anni, le donne raggiungerebbero lo stesso salario maschile nel 2047, i neri nel 2089.

Schiavitù

ED 14/7; 13,16,18,24/10/17; CSP 8/5; 17/4/17; la Repubblica 28/10/17; EO 12/10/17

La recente Riforma del Lavoro più una serie di decreti emanati successivamente dal governo Temer ed altri in discussione segnano decisamente la vittoria della ‘Bancada Ruralista’ (Frente Parlamentar da Agropecuária) sulle politiche del lavoro, e la legalizzazione della schiavitù ne è l’apice. La riforma del lavoro stabilisce infatti che il lavoratore agricolo non debba essere necessariamente remunerato con un salario. Il proprietario potrà ripagare il lavoratore con servizi e beni offerti nel luogo di lavoro, come ad esempio i suoi negozi o prodotti agricoli, pagandogli i trasporti o concedendo un pezzetto di terra da coltivare. E’ prevista l’assenza di ogni retribuzione anche nel caso del lavoro per pagare un debito al padrone.

La Riforma conferma una realtà già da tempo affermata in Brasile, nonostante sia vietata dalla Costituzione; il lavoro schiavo è praticato apertamente soprattutto nelle piantagioni di canna da zucchero e di cotone.

Tra il 1995 e il 2016 circa 50.000 persone sono state liberate da questa condizione, ma il controllo ispettivo resta insufficiente e vittima dei tagli di fondi. Tra il 2016 e il 2017 il calo di persone riscattate è stato di più dell’80% (885 contro 167) e la riduzione di finanziamenti per l’attività ispettiva è stata del 50%.

La modernizzazione e meccanizzazione del lavoro agricolo non ha portato miglioramenti nelle condizioni di lavoro dei braccianti. Ad una moderna industrializzazione del settore corrispondono ancora rapporti di lavoro arcaici.

Nelle piantagioni di canna da zucchero si lavora da 12 a 15 ore al giorno, con una media mensile di 240 ore. Nella raccolta di frutta la situazione è ancora peggiore. Il pagamento è calcolato in funzione del peso e volume della frutta, pagata in centesimi di reais al chilo. Nella estrazione di lattice, quando va bene, esistono solo contratti a termine e senza alcuna garanzia.

E’ passata alla cronaca dei media tedeschi la denuncia alla Haribo, nota marca di caramelle tedesca, che in Brasile impiega uomini e minorenni nelle piantagioni di palma per la cera di carnauba, costretti a bere l’acqua dei fiumi, a dormire nelle piantagioni all’aperto o in camion, a lavorare nella totale assenza di norme di sicurezza e senza servizi igienici.

In questi giorni è in discussione al Senato un progetto di legge (432/2013) che derubrica dalla definizione di lavoro schiavo i casi di condizioni degradanti di lavoro e di giornata ‘estenuante’; per poter dichiarare l’infrazione penale rimangono quindi solo due casi: il lavoro forzato e la servitù per debito, sotto privazione della libertà. Insomma, la schiavitù riconosciuta è solo quella del lavoratore legato e ammanettato!

La proposta prevede anche la riduzione della pausa pranzo a 30’ e la durata del lavoro da 44 a 48 ore settimanali. Istituzionalizza il lavoro temporaneo che potrà essere di 180 giorni, prorogabili di altri 90 (contratto di raccolto, dalla semina alla raccolta). I contratti per brevi periodi nascondono giornate di lavoro intermittenti, l’essere a disposizione senza remunerazione per giornate anche di sole due ore di lavoro. Chi non abita nel luogo di lavoro può lavorare anche 18 giorni continuati.

La rescissione contrattuale avverrà con avvocati di parte padronale. Frequente è già l’uso di intermediari illegali (“gatos” o “turmeiros”) di mano d’opera.

Il progetto revoca anche il Regolamento sulla Sicurezza e la Salute del Ministero del Lavoro (2005) che assicura protezione legale ai lavoratori agricoli e garantisce una serie di norme di sicurezza, rendendole opzionali, e annulla l’attività della Commissione per la Prevenzione degli Incidenti. Fino a 20 dipendenti non ci sarà l’obbligo di installare strutture sanitarie né un refettorio né rifugi per proteggersi dal sole o dalla pioggia. Oltre questo numero la proporzione sarà di un wc e un lavandino ogni 40 lavoratori.

Molti lavoratori non sono a conoscenza di queste modifiche, che sono già in atto sul territorio benché manchi ancora il pronunciamento della Commissione della Camera e la votazione plenaria. Attualmente una certa opposizione da parte di forze politiche, sindacati e del Tribunale Supremo Federale fanno presagire un percorso non semplice verso l’approvazione.

Il deputato della Bancada Ruralista che ha presentato il progetto afferma che l’obiettivo è onorare l’agribusiness riducendo i costi e aumentando i profitti.

La stessa Bancada Ruralista sostiene anche la proposta di liberalizzazione della vendita di terre a investitori stranieri. Secondo questa proposta non ci sarebbe più limite all’estensione delle terre, attualmente di 100.000 ettari, per ogni investitore straniero. Oggi le zone preferenziali sono quelle del Bioma Amazzonico con l’80% delle aree legali di riserva, e le regioni di frontiera. L’obbiettivo è ampliare soprattutto la coltivazione di grano e soia con il programma “Terra Legal”, programma che attacca e svuota della sua funzione l’INCRA (Istituto Nazionale per la Riforma Agraria).

Con questi interventi si aggraveranno sicuramente i conflitti per la terra; ne sono un esempio attuale quelli dei ‘quilombolas’ del Maranhão e degli indigeni Guarani-Kaiowa nel Mato Grosso.

Ma altri regali alla Bancada Ruralista stanno uscendo dal cilindro del governo Temer: sconti sui debiti e Fondi di Assistenza ai produttori rurali e latifondisti (MP 793/17), con proposta di amnistia totale; la proposta, già approvata alla Camera, di armare proprietari o lavoratori agricoli oltre i 25 anni, per difesa personale, di familiari o terzi. Ciò aumenterà considerevolmente il numero di morti per conflitti rurali, gli assassini e massacri dei movimenti sociali, contadini, indigeni che si oppongono all’espansione sfrenata dell’agrobusiness.

Ma il lavoro in condizione di schiavitù non proviene solo dal campo. Dei 50.000 lavoratori riscattati da una condizione di semischiavitù negli ultimi 20 anni, il 90% era in outsourcing.

La Riforma del Lavoro, entrata in vigore l’11 novembre, taglia anche i fondi per l’attività ispettiva nei luoghi di lavoro e vincola la pubblicazione della “lista suja” alla decisione del Ministero del Lavoro e non più ad un organo tecnico; ostacola inoltre la condanna in flagranza delle situazioni più degradanti e ne restringe la definizione penalmente perseguibile.

Si permette anche agli impresari di celare il rapporto schiavistico dietro contratti brevi, troppo brevi per dar tempo a denunce o ispezioni, o l’outsourcing, sollevandosi dalle responsabilità di condizioni e organizzazione del lavoro, soprattutto dove si produce per grandi marche. Alle denunce seguono multe irrisorie e a pagare, con il licenziamento, sono infine i lavoratori.

Tra le aziende più note che compaiono nella lista suja: Zara, Coca Cola, Sadia e Perdigão, Renner, Marisa, Pernambucanas.

Durante i governi di Lula e Dilma è aumentata significativamente la quota di lavori sottopagati e precari; i fondi volti a contrastare la schiavitù hanno cominciato a calare dall’inizio del governo di Dilma, e in seguito la diminuzione è accelerata.

Il numero di azioni ispettive nel 2017 è diminuito del 58% rispetto all’anno precedente e il numero di schiavi liberati si è ridotto del 76%: a settembre erano 73, contro 885 nel 2016.

Il 18 ottobre in 21 stati si sono avuti blocchi e manifestazioni spontanee dei dipendenti del Ministero del Lavoro addetti alle ispezioni che chiedevano la revoca del decreto, denunciando tanti e tali ostacoli e complicanze burocratiche al lavoro di controllo da renderlo improbabile.

Il Brasile non è un paese per giovani

ED 4,11,31/10/17

Nel 2017 il Brasile ha registrato un aumento dello sfruttamento di mano d’opera infantile, dai 5 ai 9 anni, che coinvolge circa 80.000 bambini (dati IBGE). Il 60% di questi vive nelle aree rurali del Nord e Nordest, nelle coltivazioni di ortaggi, nell’allevamento ma anche nell’industria, nelle discariche, nel commercio, nel lavoro domestico. Oggi il 5% della popolazione tra i 5 e i 17 anni lavora.

In tutto il mondo circa 168 milioni di bambini sono costretti a lavorare (dati ILO) e 85 milioni in lavori ad alto rischio. Solo in Brasile quasi 40.000 bambini e adolescenti hanno subito incidenti sul lavoro (dati Min. della Salute), metà dei quali in forma grave (perdita di mani, braccia e anche morte).

Durante il governo PT il Brasile firmò con ILO una dichiarazione per eliminare ogni forma di lavoro infantile al 2016, che è stata disattesa.

Il Brasile occupa uno dei primi posti nella classifica internazionale dei casi di sfruttamento sessuale di bambini e adolescenti.

Quattro bambini ogni ora sono vittime di abusi o sfruttamento sessuale. Tra il 2015 e il 2016 sono stati denunciati 37.000 casi di violenza sessuale nella fascia di età tra 0 e 17 anni.

Il 70% delle vittime di stupro in Brasile sono bambini e adolescenti.

Il capitalismo e la sua industria pornografica lucrano anche sui corpi di bambini e ragazzi. Secondo l’ONU il traffico di esseri umani per sfruttamento sessuale movimenta circa 9 miliardi di $ in tutto il mondo, secondo solo all’industria delle armi e al narcotraffico. In Brasile sono impiegati nell’industria del sesso attualmente più di 500.000 bambini e adolescenti. Essi sono spinti nel mercato del sesso da situazioni di estrema miseria e povertà, mancanza di prospettive, di istruzione, casa, spesso venduti dai loro stessi genitori. Questo commercio si potenzia in occasione di megaeventi come la Coppa del Mondo o le Olimpiadi.

IBGE ha rilevato nel 2015 che quasi il 75% dei bambini brasiliani con meno di 4 anni non ha diritto all’asilo nido. Oggi l’11,5% dei bambini di 8 e 9 anni sono analfabeti. Il 16,7% degli adolescenti da 15 a 17 anni non va a scuola. Riguardo all’insegnamento superiore, più della metà dei giovani brasiliani non lo hanno nemmeno iniziato, mentre il 35% non ha concluso la scuola elementare.

Manca l’educazione ma non la repressione e la prigione: tra il 2005 e il 2012 ci fu un enorme incremento della carcerazione soprattutto di giovani e neri tra i 18 e 24 anni. Dei 650 milioni di prigionieri, il 60% sono neri (dati Infopen). Oltre ad essere il settore della popolazione che più soffre disoccupazione, povertà, mancanza di diritti fondamentali, è anche il settore che soffre di più per persecuzioni e morte provocate dalla polizia. La Polizia Militare uccide 87 giovani al giorno; di questi il 77% sono neri.

Lo sterminio della popolazione giovane e nera è il progetto di vita che il capitalismo offre alla gioventù brasiliana. Una ricerca di Unicef, Segreteria dei Diritti Umani, Osservatorio delle Favelas e Laboratorio di Analisi della Violenza nello stato di Rio de Janeiro ha rilevato che gli uomini sono 13,5 volte più a rischio delle donne, i neri 2,8 volte più a rischio dei bianchi. Lo studio si basa sull’Indice di omicidi nell’adolescenza e sulle morti per omicidio di giovani in 300 municipi con una popolazione superiore a 100.000 abitanti.

E’ sempre la popolazione giovane nera, con bassa scolarità e che vive nelle periferie quella più esposta alla violenza e alla mattanza della guerra al traffico di droga.

Fonte: Anuário Brasileiro de Segurança Pública
Fonte: Anuário Brasileiro de Segurança Pública

Uno studio del 2017 dell’Anuário Brasileiro de Segurança Pública che si riferisce a dati del 2016 rivela che dei 4224 omicidi i cui responsabili sono gli apparati di polizia civile e militare il 76,2% riguarda la popolazione nera e l’81,8% tra i 12 e i 29 anni. Omicidi avvenuti durante operazioni militari, con un aumento rispetto all’anno precedente del 25,8%. Ovviamente i responsabili restano impuniti : Polizia Militare, Esercito, la Forza Nazionale [corpo di forze speciali –teste di cuoio – creato da Lula nel 2004 che si occupa dei casi più difficili di lotta al terrorismo, droga, repressione sociale], la Polizia Civile e distaccamenti come il BOPE [Battaglione delle Operazioni Speciali di Polizia, specializzati in guerriglia urbana e interventi nelle favelas di Rio] e il GOE [Gruppo per le Operazioni Speciali, corpo d’élite nella repressione carceraria e giudiziaria a S. Paolo]. Le forze repressive in Brasile, create per perseguire gli schiavi, seguono ancor oggi la stessa funzione, sterminando i giovani neri. Lo stato di Rio ha registrato la maggior crescita di questi omicidi, ma la tendenza all’aumento è diffusa in tutto il territorio.

Pubblico impiego sotto attacco

EO 1/9/17; ED 28/8; 17/10/17; CSP 27/7; 10,17/8/17

L’apparente crescita di posti di lavoro nei primi mesi di quest’anno e sbandierata dalla stampa di regime cela una situazione del mercato del lavoro ben diversa: la precarizzazione aumenta e va disintegrando il lavoro formale nel paese. In una su 5 abitazioni non c’è alcun reddito da lavoro, sia formale che informale. Nel secondo trimestre di quest’anno in Brasile in 15,2 milioni di abitazioni nessuno lavorava; 2,8 milioni più dello stesso periodo del 2014 (+22%). E’ la popolazione nera, povera e con minor livello scolare che più soffre di questa situazione.

Temer ha lanciato il Programma Nazionale di Volontariato: un meccanismo di accumulo di punti validi per i concorsi pubblici, in realtà la legittimazione del lavoro gratuito, a sostegno dell’iniziativa privata: lavora gratis ora che chissà mai un giorno un padrone ti ricompensi dandoti un posto di lavoro e sfruttandoti meglio. Il programma è sostenuto dalle Nazioni Unite.

I Piani di Dimissione Volontaria colpiscono indirettamente i settori più fragili della popolazione, più bisognosi di servizi pubblici come quelli sanitari, scolastici, abitativi, i trasporti. Ma colpiscono direttamente i dipendenti pubblici perché oltre a tagliare posti di lavoro riducono la giornata di lavoro e il salario e incentivano i permessi non retribuiti. A questo si aggiunga la forte spinta alla terziarizzazione e precarietà nella pubblica amministrazione, con la riduzione di personale e finanziamenti; ne risulterà di fatto un taglio drastico di istituti pubblici anche storici come FUNAI, INCRA e IBAMA (Fondazione Nazionale dell’Indio, Istituto Nazionale della Colonizzazione e Riforma Agraria, Istituto Brasiliano dell’Ambiente e delle Risorse Naturali Rinnovabili rispettivamente).

Il pacchetto della riforma fiscale annunciato dal governo in agosto colpisce soprattutto il pubblico impiego. Per garantire il contenimento del deficit il governo impone una brutale confisca salariale ai lavoratori e finanziaria ai servizi pubblici. Non sfuggono alla manovra i pensionati e gli inattivi. Si prevede l’innalzamento della quota contributiva dall’11 al 14% per gli impiegati pubblici federali, ad eccezione dei militari. Si stabilisce il blocco della progressione di carriera, quindi un congelamento salariale e l’eliminazione di 60.000 posti di lavoro nel pubblico impiego.

Temer ha inoltre emanato le linee guida del Bilancio 2018, che sulla base della PEC 55 riducono drasticamente quando non eliminano gli investimenti in settori quali l’educazione, la salute, le infrastrutture. Nel documento il governo prevede un deficit di R$ 131,3 miliardi, una crescita del PIL del 2,49% ed un’inflazione su base annua del 4,5%, con un tasso di interesse di base del 9%. La legge prevede un adeguamento del salario minimo di un misero 4,5%, cioè R$ 42. Secondo DIEESE (Dipartimento Intersindacale di Statistica e Studi Socioeconomici) il salario minimo necessario (a luglio) dovrebbe essere di R$ 3810,36, mentre è di R$ 937.