«Lavorerete per gli Americani»: trucidati – Renzo Cianfanelli

Bagdad: 18 giovani sciiti tra i 14 e i 18 anni reclutati con la promessa di un lavoro in una base USA e assassinati.
Il premier ALLAWI prolunga di 30 giorni lo stato di emergenza.

NASSIRIYA – Alle elezioni mancano solo 24 giorni e soltanto un miracolo, nel quale realisticamente non crede nessuno, può far ritenere che in questo breve periodo la sicurezza migliori. «Io credo che la resistenza sia superiore numericamente alle forze dell’esercito americano». Chi esprime questo duro giudizio è un alto ufficiale iracheno, il maggior generale Mohammed Abdullah Al Shahwani, che fino a pochi mesi fa era il consigliere per la sicurezza nazionale del governo provvisorio di Iyad Allawi.
Secondo Shahwani, intervistato dal quotidiano Asharq al Awsat , lo zoccolo duro del terrorismo può contare su una forza paramilitare di 40-50 mila effettivi, ricostituita sulle strutture della guardia repubblicana di Saddam Hussein. A questo numero però dev’essere aggiunto un nucleo di gran lunga più consistente di volontari e fiancheggiatori iracheni. In totale, a detta del generale, il numero di irregolari e fiancheggiatori che collaborano alla guerriglia ammonterebbe perciò non ai circa 20 mila combattenti citati dalle ultime stime della Cia, ma a «oltre 200 mila persone».
In alcune regioni poco popolate, è vero, il livello di violenza rimane modesto. Così accade in particolare nella regione del Dhi Qar, a sud, dove opera il contingente italiano. Anche qui però i ripetuti ritrovamenti di materiale esplosivo (l’ultimo, una decina di bombe da mortaio da 60 millimetri in una casa di Nassiriya, è di ieri) testimoniano non soltanto – come affermano i comunicati ufficiali – «il buon livello di coordinazione raggiunta nel controllo del territorio», ma anche la volontà di colpire le nostre forze e di portare la guerriglia nel sud.
Di ben altra dimensione è però il conflitto nel triangolo sunnita, a Bagdad e in alcune regioni del nord. Lo dimostra uno dei più raccapriccianti fra i tanti massacri quotidiani, scoperto soltanto ieri ma avvenuto l’8 dicembre scorso. I criminali che si autodefiniscono «insorti» avevano scelto un bersaglio facile. Le giovani vittime, 18 ragazzi tutti sciiti e tutti dello stesso quartiere di Bagdad, di età compresa fra 14 e 20 anni, erano state reclutate da una ditta irachena per lavorare in una base americana vicino a Mosul.
Ma arrivati al luogo di destinazione, invece del lavoro promesso – un miraggio nell’Iraq, dove la disoccupazione giovanile tocca punte del 70% – hanno trovato la morte. Uno dopo l’altro i ragazzi, che viaggiavano su due pulmini senza scorta né armi, sono stati assassinati a sangue freddo: mani legate dietro la schiena e un proiettile alla nuca.

Stragi di questo tipo, nelle regioni dell’Iraq sconvolte dalla violenza, passano ormai quasi inosservate. E’ il caso dell’uccisione avvenuta ieri di tre camionisti giordani, trovati morti crivellati di raffiche con il cartello «questa è la sorte di chiunque collabora con gli americani». Perfino l’eccidio di 20 poliziotti con un’autobomba, avvenuto a Hilla appena ventiquattr’ore prima e prontamente rivendicato dal terrorista Zarkawi, è già dimenticato. Intanto la polizia, che negli ultimi 4 mesi del 2004 ha avuto oltre 1.300 morti, continua a dire, contro l’evidenza, che la situazione è sotto controllo e la stessa cosa fa il ministro della Difesa Chalan, proclamandosi fiducioso che, con l’integrazione della Guardia Nazionale nell’esercito (9 divisioni un totale di 90 mila uomini), la lotta contro il terrorismo potrà essere vinta. A quale prezzo? Ieri sera è arrivato un nuovo bollettino di sangue dai comandi Usa: sette soldati sono stati uccisi da una bomba che ha distrutto il loro mezzo corazzato Bradley mentre erano di pattuglia in una strada nella zona ovest di Bagdad intorno alle 18. Nessun sopravvissuto. Questa strage aggiorna a 1349 il bilancio delle vittime americane dal marzo 2003.
Il primo ministro ad interim Allawi, nel confermare che «le elezioni si svolgeranno il 30 gennaio, come previsto e come il popolo chiede», ha annunciato ieri il prolungamento per altri 30 giorni dello stato di emergenza. Il problema è però che lo stato di emergenza, senza controllo effettivo del territorio, ha scarso significato. Anche le elezioni in questo clima rischiano di essere irrilevanti: anzi di esasperare il rischio di nuovi conflitti fra sunniti e sciiti e, se la minoranza sunnita dovesse disertare le urne, perfino di guerra civile.

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