ISRAELE, MEDIO ORIENTE
CORRIERE Lun. 3/4/2006
Lorenzo Cremonesi
RAMALLAH – «Per un paio di mesi i salari possiamo
pagarli. Poi non è escluso che l’intera amministrazione palestinese vada in
bancarotta. Ma sono fiducioso: nessuno al mondo vuole il caos in Cisgiordania e
Gaza. E Israele non è affatto interessato a tornare alla gestione di scuole,
trasporti, ospedali, strade o immondizie palestinesi».
Omar Abdelrazek da soli due giorni è entrato nel suo ufficio di ministro delle
Finanze per il nuovo governo Hamas. E già rimpiange la sua cattedra di
professore di economia all’università di Nablus. Perché il suo in questo
momento è probabilmente il compito più ingrato: fare quadrare un bilancio che
parte in rosso e con la prospettiva di un pesantissimo embargo internazionale
mirato a costringere Hamas a riconoscere Israele, rinunciare alla lotta armata
e accettare gli accordi firmati in precedenza dall’Olp con lo Stato ebraico.
Dovete pagare i salari di 140.000 dipendenti pubblici, tra cui circa
60.000 poliziotti. Avete i soldi?
«Pochi, ma per marzo e aprile possiamo farcela, senza ridurre gli stipendi,
anche se sto già pianificando di tagliare le spese per la benzina e le auto dei
ministeri».
Secondo James Wolfensohn, il rappresentante dimissionario del Quartetto
(Usa, Eu, Onu e Russia), il vostro debito ammonta mensilmente a 130 milioni di
dollari. Come farete se Usa, Eu e altri donatori vi tagliano i finanziamenti?
«Lo ammetto, è un colpo grave. Non serve il mio dottorato del 1986 in
economia all’università dello Stato americano dello Iowa per capire che siamo
in forti difficoltà. Ma conto molto sull’aiuto del mondo arabo. Negli ultimi
giorni al summit della Lega Araba in Sudan ci hanno promesso 50 milioni di
dollari mensili. A ciò si aggiungono i contributi separati di Arabia Saudita,
Algeria, Kuwait e Emirati».
E aiuti da Teheran?
«Per ora nulla di concreto».
Talvolta le promesse della Lega Araba non sono parole al vento?
«Può essere. Ancora non ho potuto fare il conteggio dei contributi
effettivi. Ma non credo davvero che il mondo Occidentale ci lascerà andare a
picco. Ad Amman si stanno riunendo i rappresentanti del Quartetto per decidere
le modalità di invio degli aiuti via agenzie Onu e organizzazioni non
governative. E gli israeliani sono i primi a non volere il caos. Se la
nostra amministrazione dovesse sciogliersi, loro dovrebbero tornare a gestire
Cisgiordania e Gaza come facevano prima degli accordi di Oslo nel 1993. Non mi
sembrano affatto intenzionati».
A Gaza le diverse fazioni palestinesi stanno sparandosi contro. Teme la
guerra civile?
«Nessuno la vuole. Tutti i gruppi sono consapevoli che tutto ciò
serve solo a Israele».
Se Israele si ritirasse sui confini del 1967, sareste pronti a firmare un
pieno trattato di pace?
«La voglio stupire: io dico di sì. Sono personalmente convinto che
si debba firmare la pace in cambio del ritiro israeliano sui confini precedenti
la guerra del 1967. Sino ad allora ogni azione militare è legittima, inclusi
gli attentati suicidi a Tel Aviv. Ma voglio anche dire che non possiamo
rinunciare al diritto del ritorno alle loro case e agli indennizzi per i
palestinesi della diaspora».
DOCENTE Omar Abdelrazek, il neoministro delle Finanze del
governo monocolore di Hamas, è stato professore di Economia all’Università di
Nablus
ANP Guidato dal Ismail Haniyeh, l’esecutivo di Hamas comprende anche un
ministro cristiano, Tannus Abu Eitah (Turismo), e una donna, Mariam Saleh (Pari
Opportunità)