PAOLO LEPRI
La nuova intesa fra GERMANIA e GRAN BRETAGNA, che hanno
contrastato la linea della FRANCIA per la richiesta di una tregua immediata,
può rafforzare l’integrazione della UE e favorire il suo avvicinamento agli USA.
Domenica scorsa, mentre il
mondo piangeva le vittime della strage di Cana, Tony Blair e Angela Merkel si
sono parlati al telefono. Il premier
britannico era a San Francisco, reduce dai colloqui di Washington con George
Bush, la cancelliera tedesca a Berlino, nella sua casa sulla Sprea, vicino ai
grandi musei. Accordo completo, santificato da un comunicato congiunto,
sulla necessità di arrivare a un cessate il fuoco «il più presto possibile»,
appena Hezbollah avrà ritirato le sue milizie. Permettendo così all’esercito
libanese di prendere il pieno controllo della zona meridionale del Paese.
«Appena possibile». Nessuna richiesta, quindi, di una tregua immediata,
nemmeno in un momento di forte emozione per gli sviluppi di questo nuovo e
obliquo conflitto mediorientale.
Già in precedenza, al G8 di San Pietroburgo, si era capito che una nuova
intesa si stava consolidando tra il premier più innovatore della sinistra
europea e la cristiano-democratica più moderna della storia tedesca, «numero
uno» di un governo di larga coalizione che rappresenta una novità significativa
nell’ingiallito panorama politico del vecchio Continente. A unire Tony e
Angela è oggi un rapporto con l’America – l’America meno unilaterale di questa
nuova fase della presidenza Bush – caratterizzato dalla forte convergenza su
alcuni grandi obiettivi comuni, come la lotta alle tirannie mediorientali,
senza nascondere le sensibilità diverse, come è avvenuto per il caso del
carcere di Guantanamo. Pochi momenti prima dello show di George e Tony a
microfoni aperti, il presidente americano aveva scherzato con Angela,
mettendole le mani a sorpresa sulle spalle. Tre vecchi amici.
Non c’è da stupirsi quindi che Blair e la Merkel abbiano mandato ieri a
Bruxelles la titolare del Foreign Office Margaret Beckett, laburista di
sinistra-centro, e un vecchio volpone socialdemocratico, il ministro degli
Esteri schröderiano Frank-Walter Steinmeier, per battere i pugni sul tavolo ai
bordi del quale erano seduti gli altri ventitré colleghi dell’Unione. La
Beckett e Steinmeier hanno detto no quando la presidenza finlandese ha proposto
una bozza di dichiarazione che non teneva conto completamente delle esigenze di
sicurezza di Israele. Un no, duro, alla Francia. Il testo finale, in cui si
chiede «un’immediata cessazione delle ostilità che dovrà essere seguita da un
cessate il fuoco sostenibile», è nato proprio grazie alla fermezza di Londra e
Berlino e a un prezioso lavoro di mediazione italiana.
Le geometrie europee si muovono, finalmente. Il nuovo «asse» anglo-tedesco
può essere utile per la stessa Europa, uscita sconfitta – come ha dimostrato la
vicenda della Costituzione – da anni e anni di rapporto privilegiato tra Parigi
e Berlino. Ma, soprattutto, può portare aria nuova nello schema, ormai logorato,
del confronto-scontro tra l’Europa e l’America in un mondo in cui si
moltiplicano le vere minacce alla convivenza e alla pace. L’Italia di
Prodi e D’Alema, che sta costruendo anch’essa un nuovo rapporto di
collaborazione con gli Stati Uniti dopo gli anni della diplomazia delle pacche
sulle spalle, non ha niente da temere da questa intesa tra i laburisti
britannici e la grande coalizione tedesca. Ma forse ha qualcosa da imparare.