SCUOLA, EUROPA, ASIA
REPUBBLICA Mar. 14/3/2006 Danilo Taino
In base alla ricerca il mito del «continente
dell’uguaglianza» è messo in discussione. «Pesa troppo il retroterra sociale
degli studenti»
Uno studio Ocse rileva il «pregiudizio
di classe» nel sistema educativo di Italia, Francia, Germania
Un «pregiudizio di classe»
sta mettendo in ginocchio Italia ed Europa. E le condanna a non sapere
competere con America e soprattutto Asia. Riguarda un aspetto chiave del futuro
non lontano: l’educazione. Che gli
asiatici studino di più e meglio degli europei è sensazione diffusa; che negli
Stati Uniti le università producano risultati più brillanti è esperienza
comune. Ora, però, è ufficiale: l’Ocse – l’Organizzazione per la cooperazione
dei 30 Paesi più industrializzati – ha misurato le performance dei diversi
sistemi educativi e ha stabilito che il Vecchio continente sta perdendo
verticalmente terreno. Uno studio condotto da Andreas Schleicher, direttore
del programma dell’Ocse che confronta i sistemi scolastici, dice che per
restare nel gioco l’Europa «deve ridurre la predisposizione classista e qualche
volta il modo catastroficamente regressivo di finanziare le opportunità
educative esistenti: tassando i poveri per sussidiare le opportunità dei
ricchi». Il mito del «continente dell’uguaglianza», in altre parole, è
messo in discussione alle radici: «lo studio rivela che il retroterra
sociale svolge un ruolo maggiore nel determinare la performance di uno studente
in Paesi come Germania, Francia e Italia che negli Stati Uniti».
Ciò è grave in sé ma è devastante ora che gli anni in cui l’Europa competeva
con Paesi che offrivano lavoratori a basse competenze e bassi salari sono
finiti. «Oggi – dice Schleicher – Paesi come Cina e India stanno iniziando a
produrre alte competenze a bassi costi, e a un passo sempre crescente».
Di base, l’Europa continentale – i Paesi nordici sono un’altra cosa – investe
poco in educazione: in ogni ordine di scuola, dall’asilo all’università,
gli Usa investono di più, in certi casi quasi il doppio. Il risultato è che la
quota di popolazione con una laurea è sopra il 30% negli Stati Uniti, è del 30
in Corea del Sud, del 28 in Giappone, del 21 in Francia, del 14 in Germania,
del 12,5 in Italia (il minimo è il Lussemburgo con meno del 7%). «Francia e
Germania, che costituiscono il 35% dell’economia da 11.600 miliardi di euro
della Ue, non sono più tra i leader mondiali nello sviluppo di conoscenza e
competenze». Tanto che la classifica delle 20 università globali migliori,
stilata dall’università Jiao Tong di Shanghai, vede 17 atenei americani, uno
giapponese e due britannici, Cambridge e Oxford.
Su tutto il pianeta è in atto una corsa verso l’educazione superiore. Ma con
tendenze molto diversificate. La Corea, per esempio, negli Anni Sessanta
aveva pochissimi laureati: ora è terza, dopo Norvegia e Usa, nella fascia di
età 25-34 anni. Anche alcuni Paesi della Ue – Irlanda, Portogallo e Spagna –
hanno migliorato «ma la maggior parte delle grandi economie dell’Europa –
Francia, Italia e Regno Unito – hanno solo mantenuto la posizione o, nel caso
della Germania, sono significativamente cadute». Il guaio è che, dice lo studio
Ocse, l’educazione è un veicolo portentoso verso la capacità competitiva di un
Paese: «per ogni euro investito per raggiungere qualificazioni elevate, i
cittadini hanno come ritorno una quantità di denaro maggiore in termini di
crescita economica».
«In breve – commenta Schleicher – se l’Europa vuole mantenere la sua
capacità competitiva ai livelli alti della catena globale della creazione di
valore aggiunto, il suo sistema educativo dev’essere reso più flessibile, più
efficace e più facilmente accessibile a un ampio ventaglio di persone». Anche
qui riforme da fare. Sul modello di uno dei sistemi scolastici più di
successo, quello finlandese, dove sin dagli anni Sessanta è stato seguito un
percorso aperto, fondato sul raggiungimento di obiettivi e non più su astratte
prescrizioni didattiche.