La “terza via” del ritiro italiano scorta di 600 soldati per gli aiuti

ITALIA, IRAQ, POLITICA

REPUBBLICA Giov. 13/4/2006 GUIDO RAMPOLDI

Disimpegno militare dall´Iraq entro l´anno. Un
contingente proteggerà i tecnici impegnati nella ricostruzione

Una soluzione meno radicale rispetto allo
"strappo" di Zapatero che salvaguardi i rapporti con gli Usa e
accontenti i pacifisti
La presenza nell´area di Nassiriya mira anche a salvaguardare gli interessi
dell´Eni sui giacimenti di petrolio

Ipotesi: mantenere in IRAQ un contingente di 600 uomini
per proteggere i tecnici impiegati nella ricostruzione, ritirare gli altri
soldati senza rompere con gli USA e mantenere un “diritto di prelazione” sui
giacimenti petroliferi di Nassiriya concordato dall’ENI col regime di SADDAM.

ROMA – Via dall´Iraq entro la fine dell´anno: Romano
Prodi è stato di parola e all´indomani della vittoria ha confermato ciò che
aveva detto in campagna elettorale. Dunque tornerà a casa il contingente
italiano, sia pure «in accordo innanzitutto con il governo di Bagdad». E sarà
sostituito da «un contingente civile per aiutare la ricostruzione». Ma chi
si prefigurasse il ritiro italiano come un gesto di rottura con Washington,
quale fu il ritiro spagnolo deciso dal governo Zapatero, sarebbe fuori strada
.
La soluzione che si profilava già alla vigilia delle elezioni prevede che un
quinto del contingente resti in Iraq, ma non più inquadrato sotto il comando
militare americano. Quei seicento uomini diventerebbero la scorta necessaria ad
una squadra di tecnici per muoversi senza pericolo nella provincia di
Nassiriya, il Dhi Qhar, grande quanto il Piemonte. Comandata da un italiano,
anch´egli un civile, quella struttura non sarebbe indipendente: figurerebbe
come Provincial Reconstruction Team, o squadra per la ricostruzione della
provincia, e perciò ricadrebbe sotto il coordinamento (americano) degli altri
PRT, uno per ciascuna provincia dell´Iraq
.
Secondo un diplomatico italiano questa soluzione avrebbe raccolto consensi
nell´Ulivo. Parte della sinistra radicale potrebbe nutrire ostilità verso
l´idea d´una presenza armata italiana in Iraq, ma senza quella scorta «è
difficile immaginare un intervento civile», osserva Maurizio Zandri, manager
della Sudgest, la società pubblica che è il principale strumento della
Farnesina per i progetti di ricostruzione in Iraq. Zandri non esclude che «di
qui a qualche mese la polizia irachena sia in grado di garantire adeguata
protezione» ai tecnici occidentali: ma al momento è soltanto una possibilità.
In sostanza il disimpegno militare italiano avverrebbe in modi non incongrui
ai piani statunitensi, che prevedono a breve, ottimisticamente, l´inizio d´una
transizione verso una nuova fase
. Durante questa transizione gli americani
e i loro alleati ritirerebbero la gran parte dei loro centottantamila soldati,
e darebbero nuovo impulso alla ricostruzione, finora fallimentare, attraverso i
Provincial Reconstruction Team. Gli Usa resterebbero in Mesopotamia con
30-50mila uomini acquartierati in quattro super-basi aeree, grandiose e
imprendibili. Fino a ieri Washington le definiva "temporanee"
. Ma
interpellato dalla una commissione parlamentare statunitense, in marzo il
generale Abizaid, capo del Central Command, è stato molto più vago. Quelle
basi, ha spiegato, ci sarebbero di grande utilità per contrastare
l´intraprendenza degli iraniani nella regione e per garantire che nulla
interrompa il flusso di petrolio dalla penisola arabica
. Come a dire:
sarebbe assai meglio se diventassero permanenti. In realtà le basi sono per il
Pentagono il primo obiettivo strategico dell´invasione e senza di quelle
l´avventura irachena sarebbe un fiasco colossale. Il problema è che la
presenza per anni in Iraq di strutture militari americane deve essere
autorizzata dal parlamento di Bagdad, dove il regime iraniano sembra aver più
influenza che l´amministrazione Bush.
Altri dubbi vertono sui fondi che saranno effettivamente a disposizione dei
Provincial Reconstruction Team: come sempre quando si parla di ricostruzione
non è chiaro chi debba mettere il denaro
. Ma l´incognita maggiore resta il
futuro dell´Iraq, se cioè il Paese riuscirà a sopravvivere o piuttosto stia
implodendo nell´anarchia militare, come al momento tutto induce a temere.
Secondo lo stesso governo di Bagdad sarebbero ormai decine di migliaia le
famiglie di iracheni costrette a scappare dalle zone in cui le milizie sciite e
sunnite praticano la "pulizia etnica". Sembra d´assistere ai prodromi
d´una guerra civile, non all´alba della democrazia promessa dalla
"Coalizione dei volenterosi". Le speranze di evitare il disastro
sarebbero legate ad un eventuale accordo politico tra i principali partiti
sciiti, sunniti e curdi. Ma in tre mesi il parlamento eletto in dicembre non è
ancora riuscito a esprimere un governo, e alle rivalità tra sciiti e sunniti si
sono aggiunte le ostilità scoppiate all´interno del campo sciita, tra
filo-iraniani e non. Teheran dispone in Iraq d´un vasto arsenale di strumenti
politici e militari, e sembra quantomeno tentata dalla prospettiva di
esercitare una sorta di segreta egemonia sul sud sciita, dove sono i due terzi
del petrolio iracheno. In questa somma è incluso il petrolio di Nassiriya,
un immenso giacimento sul quale l´Eni vanta una sorta di diritto di prelazione
concordato con l´Iraq di Saddam. La permanenza a Nassiriya d´un «contingente
civile italiano» avrebbe anche la funzione di tutelare un nostro un interesse
legittimo dal rischio che il parlamento del Thi Qhar dichiari nullo l´accordo
in mano all´Eni e avvii un negoziato con altri potenziali acquirenti. Inoltre
restare con un piede in Iraq darebbe diritto al governo italiano a partecipare
alle decisioni sul futuro del Paese. Infine frizioni gratuite con Washington
non solo non sarebbero di alcun vantaggio per l´Italia, ma esporrebbero il
contingente ai pericoli in cui incorsero gli spagnoli durante il ritiro, quando
il comando statunitense, irato con Zapatero, rifiutò di proteggere le spalle a
quei soldati. Per tutto questo probabilmente la questione Iraq risulterà per
Prodi e la sua maggioranza meno spinosa e lacerante di quanto apparisse prima
.

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