La storia della MARIS non è diversa da altre cooperative sociali; il gioco è semplice e sta tutto dentro al meccanismo di sfruttamento e di aumento del profitto per il padrone.
L’idea che sta alla base della MARIS come di altre cooperative sociali sarebbe quella del reinserimento di alcune persone all’interno dei meccanismi lavorativi in funzione sociale oltre al tanto decantato mutualismo interno e alla solidarietà. Tutto questo in realtà permette la possibilità di contratti meno tutelati o ad personam, sempre con la scusa della necessità di tutelare il lavoratore e la sua storia personale.
Così oggi le aziende italiane preferiscono affidare in outsourcing alle cooperative quelli che in precedenza erano lavori riservati ai propri dipendenti, ottenendone in cambio una maggiore flessibilità dovuta alla facilità di lasciare a casa i “soci” quando le commesse scarseggiano. Automaticamente le cooperative (o meglio, chi le gestisce) si regolano di conseguenza, offrendo, oltre la sopracitata flessibilità, competitività a prezzi stracciati. E chi paga alla fine sono poi i lavoratori: contratti solo di nome, malattie e ferie mai godute, straordinari non pagati e via dicendo.
E ovviamente in questo momento, in cui la mala gestione dell’azienda madre, l’ACAM, viene a galla i primi che vengono messi in discussione sono i lavoratori esternalizzati che meno tutelati dei lavoratori dell’ACAM, sono più facilmente liquidabili, anche per l’opinione pubblica.
In un gioco di sostituzioni e di cambi di ruolo e di mansioni, i 162 lavoratori ACAM attualmente considerati in esubero saranno collocati al posto dei lavoratori MARIS, nel tentativo di calmare le acque. Soluzione tampone, e fumosa perchè sappiamo bene tutti che presto o tardi anche i lavoratori ACAM subiranno le conseguenze della ristrutturazione dell’azienda che rileverà i comparti in crisi.
Del resto viene da chiedersi perchè la dirigenza MARIS ed i sindacati non abbiano pensato a muoversi ed informare prima e non abbia cercato di porre rimedio in tempi anche solo vagamente più utili che non pochi giorni prima della debacle totale dell’azienda. Se i cosiddetti esuberi possono sembrare una novità per chi non è dentro al meccanismo acam, altrettanto non lo possono sembrare per chi si trova in difficoltà con gli stipendi da mesi e mesi.
Ma tutto intorno a questa vicenda qualcuno si muove per buttare fumo negli occhi: le diatribe politiche fra destra e centro sinistra per capire di chi è la colpa, la richiesta di giustizia – anche se a ben pensarci il problema non può essere risolto da un giudice- da parte dei sindacati, l’indicazione di luoghi dove potrebbero sorgere nuove discariche, sono tutti tentativi disperati, e soprattutto strumenti/ mezzucci che servono per dare l’impressione di cercare di rimediare ad una situazione disastrosa.
Ma disastrosa per chi? E’ chiaro che i lavoratori saranno gli unici o comunque i primi a pagare le conseguenze. Ed in questo limbo, in cui la dirigenza ed i sindacati decideranno chi licenziare e chi no, si richiameranno tutti al loro senso di responsabilità, si chiederà a tutti di tirare la cinghia e di fare dei sacrifici, e se i toni della protesta si accenderanno, si chiederà di mantenere la calma, di avere fiducia nelle trattative, di delegare la possibilità di continuare ad avere un salario ai soliti che a dire il vero hanno già fatto abbastanza danni, si prometteranno ricollocazioni, e riqualificazioni, si chiederà maggiore flessibilità e .capacità di reinventarsi, pena, certo il licenziamento, ..insomma qualunque cosa per gestire la crisi ACAM in modo indolore per chi questa crisi l’ha provocata e scaricare la colpa eventualmente sui lavoratori. E’ chiaro che la guerra fra poveri che questi meccanismi di licenziamento e sostituzione innescheranno sia in realtà una guerra ai poveri, per questo è necessario capire che sono i lavoratori a dover decidere come uscire da questa situazione, senza più delegare a politici, mananger e sindacati filo-padronali il loro destino.
L’unica strada è una lotta dura e senza facili compromessi.
Centro di documentazione proletaria, Favaro La Spezia