La rapida crescita elettorale e la successiva vittoria alle elezioni politiche del gennaio 2015 del partito della sinistra radicale greca Syriza sono da mettere in relazione con la fortissima impennata di lotte di resistenza dei salariati e degli strati della piccola borghesia impoverita che la Grecia ha vissuto nel periodo 2010-2012. Tali lotte, per intensità, durata e radicalità non hanno termini di paragone con quelle condotte in questi ultimi decenni in qualsiasi altro paese europeo.
Syriza ha messo a frutto, in termini elettorali, la resistenza attiva delle masse al drastico peggioramento delle condizioni di vita ma ha potuto ottenere questo risultato anche grazie alle peculiarità della situazione politica greca. In questo paese il partito riformista predominante per decenni è stato il Pasok, questo negli anni dei suoi primi successi elettorali si caratterizzava per un riformismo radicale, per un “antimperialismo terzomondista” che aveva poco in comune con la teoria e la prassi degli altri partiti socialdemocratici del continente. Peculiare della Grecia è anche la tenuta di un partito stalinista, il KKE, che pur essendo, come tutti i partiti stalinisti, di fatto un partito nazionalista, ha mantenuto una fraseologia “socialista e popolaresca” e grazie ad essa ha ancora una notevole influenza presso strati significativi di lavoratori mentre i suoi equivalenti del continente (ovviamente quelli non passati alla socialdemocrazia o al liberalismo) sono ridotti a patetici manipoli di nostalgici. Le stesse tendenze “estremiste” della sinistra greca, dai trotskisti agli anarchici hanno mantenuto una certa vitalità e consistenza. In tali condizioni politiche e a fronte di un impoverimento di massa di dimensioni sconosciute a qualsiasi paese europeo del blocco occidentale, il raggruppamento di forze diverse ed eterogenee della sinistra radicale greca ha potuto presentarsi come alternativa politica al corrottissimo Pasok e progressivamente soppiantarlo.
I successi elettorali hanno accresciuto il prestigio e l’influenza di Syriza e hanno stimolato la speranza delle forze politiche della sinistra radicale italiana di tornare nel “giro che conta” e di porre termine, così, alla marginalità politica ed elettorale (nota 1). Soprattutto Rifondazione, in questi ultimi anni, si è caratterizzata per un’esaltazione acritica dell’esperienza di Syriza e ha contribuito a sponsorizzare il suo leader Tsipras. La speranza era quella di importare in Italia l’esperienza vincente greca. I dirigenti di Rifondazione, nella frenesia di uscire dal ghetto in cui il partito è finito dopo la disastrosa esperienza di governo con Prodi, non hanno tenuto conto delle enormi differenze tra la situazione greca e quella italiana: in Grecia masse mobilitate in permanenza per anni, in Italia masse disorientate e poco propense alla lotta e, in aggiunta a questo una sinistra politica e sindacale sbracata e screditata agli occhi delle masse. Nonostante ciò, qualche risultato (anche se inferiore alle aspettative) i dirigenti della sinistra radicale lo hanno ottenuto nella puerile corsa a mettersi al seguito di Tsipras: alle elezioni europee del 2014 la raccogliticcia lista L’Altra Europa (nota 2) è riuscita a far avere a Rifondazione un deputato europeo con grande cruccio di SEL che è rimasto a mani vuote. Il successo de L’Altra Europa, per quanto misero, ha contribuito a rianimare Rifondazione che stava rischiando seriamente l’estinzione ed è stato bissato alle successive elezioni regionali in Emilia Romagna con un deputato regionale alla lista L’Altra Emilia Romagna. La successiva vittoria di Syriza alle elezioni politiche greche del gennaio 2015 ha galvanizzato dirigenti e militanti dei partiti della sinistra radicale italiana, messo uno stop alle polemiche successive alle elezioni europee e ha fatto intravedere la possibilità di una “costituente” della sinistra per dare luce a una forza politica alternativa al PD, contando anche sull’apporto dei neo fuoriusciti del PD Civati, Cofferati, Fassina. Che questi personaggi siano squalificatissimi (nota 3) poco importa ai dirigenti della sinistra radicale: l’importante per loro è che anche grazie al loro apporto si riesca a superare la fatidica soglia di sbarramento per entrare in Parlamento senza affanni.
Ma il “destino cinico e baro” era in agguato per gelare le speranze dei sinistri nostrani: neanche il tempo di gustare il radioso futuro che si prospettava dopo il trionfo del NO al referendum greco di luglio e Tsipras firmava pochi giorni dopo un accordo con l’Eurogruppo anche peggiore di quelli precedenti! Il giovane leader greco, presentato fino ad allora come un novello Davide capace di sconfiggere Golia si rivelava agli occhi del mondo intero non troppo diverso dai Papandreu e Samaras che lo avevano preceduto. La cacciata dal governo di dissidenti interni e le manganellate dei manifestanti che si opponevano alla firma hanno fatto sì che la sua immagine e con essa l’operato di quel che rimaneva del suo governo e del suo partito risultassero definitivamente compromessi. Lo shock è stato tremendo per chi aveva investito tutto il suo futuro politico nell’inseguimento della strada tracciata da Syriza. I boss della sinistra radicale italiana, rimasti col cerino in mano, anziché prendere le distanze da Tsipras e compari hanno in coro proclamato fedeltà al governo greco, incuranti del fatto che con ciò si rende palese agli occhi dei lavoratori, dei pensionati e dei disoccupati italiani che questi politicanti hanno solo da offrire chiacchiere a vuoto.
Poco ci interessano le argomentazioni in difesa delle scelte del governo greco di personaggi come Rossana Rossanda, da mezzo secolo nume tutelare di un sinistra finto-alternativa, sempre supina e condiscendente con tutte le porcherie della sinistra “ufficiale”. Ancor meno siamo interessati alle argomentazioni e alle giravolte di squallidissimi personaggi come Vendola. Poco siamo interessati anche a seguire le capriole teoriche dell’ex capo dell’autonomia operaia, Toni Negri, che si continua a spacciare come marxiste astruserie partorite dalla sua mente di intellettuale borghese: questo avventuriero della filosofia e della politica ora dichiara di essere ben lontano dal pensare che “l’esperienza del governo Tsipras si chiuda con una sconfitta definitiva” e spera che il suo governo sia in grado di “rilanciare la sua azione nonostante l’inapplicabilità del terzo memorandum”. Auguri per l’ingresso di Toni Negri nella sinistra “perbene”!
Maggiore attenzione merita certamente la posizione di Rifondazione perché questo partito, presente in buona parte del territorio nazionale, proprio per il fatto di presentarsi come partito “comunista” riesce ancor oggi (anche se in tono decisamente minore rispetto al passato) ad attirare un significativo numero di lavoratori per i quali la schifosa società attuale non è l’unico orizzonte possibile e per questo si vogliono battere per un mondo migliore. Dopo gli avvenimenti greci il segretario Ferrero ha fatto una relazione tenuta alla direzione del partito che merita di essere letta per capire quanto ormai sia caduta in basso la dirigenza politica della sinistra radicale e pertanto su tale relazione ci soffermeremo analiticamente. In essa nessuna autocritica sul modo puerile e acritico con il quale Rifondazione ha sponsorizzato Syriza e il suo leader, al contrario, piena giustificazione dell’operato del governo greco che, a dire di Ferrero, sarebbe stato costretto a firmare perché non c’erano alternative plausibili a meno che non si volesse impoverire fino allo stremo il popolo greco (ma non erano queste le argomentazioni di Papandreu, Samaras e compagnia?).
Ferrero propone poi un delirante programma economico per l’Europa:
- “Modifica del ruolo della BCE rendendola responsabile della piena occupazione e del finanziamento dei debiti degli stati.
- Un piano per il lavoro europeo basato su investimenti pubblici finanziati dai paesi che hanno eccedenze nelle esportazioni e finalizzati al riequilibrio commerciale tra i diversi paesi e alla riconversione ambientale e sociale dell’economia.
- Una normativa fiscale che alzi i minimi fiscali in ogni paese e stabilisca una forte progressività delle aliquote stesse.”
Tradotto: l’Italia e la Grecia investono nei mercati interni i soldi regalati dalla Germania.
E’ lo stesso Ferrero ad ammettere che “questi obiettivi sono oggi chiaramente irraggiungibili”, per cui propone:
- “Una campagna sul debito che abbia il compito di svelare come si è formato il debito e di proporre l’assorbimento del debito degli stati da parte della BCE.
- Una campagna per sottoporre a referendum il fiscal compact che rappresenta un ulteriore aggravamento delle politiche di austerità.”
In attesa che la BCE accolga con ampio favore la proposta di assorbire i debiti nazionali e con la certezza che i referendum contro il Fiscal Compact sarà estremamente incisivo (più o meno come quello greco contro il memorandum della Troika), il segretario propone anche “la costruzione di un movimento per la difesa degli interessi del popolo italiano – cioè di chi risiede in Italia, migranti compresi – nella concretezza della lotta all’austerità e alla condizione semicoloniale in cui è inserita l’Italia.”
Il segretario di Rifondazione non risparmia un piagnisteo riguardante l’incapacità delle sinistre europee “di costruire un movimento di massa adeguato a spostare i rapporti di forza in senso favorevole alla proposta del governo greco”. Quindi sono “i rapporti di forza a livello europeo” a costringere il governo greco a cedere e non la scelta di quest’ultimo di voler pagare i creditori-aguzzini e di non voler colpire il capitale nazionale anche a costo di ridurre alla fame i pensionati e i disoccupati. Ottimo esempio di dialettica bizantina!
Forse nessuno aveva avvisato i dirigenti di Syriza e quelli di Rifondazione che già ben prima della vittoria elettorale di Tsipras (ma anche dopo) i rapporti di forza in Europa erano del tutto sbilanciati a favore del grande capitale e a danno della classe operaia! Le piccole forze della sinistra rivoluzionaria, che è cosa ben diversa dalla sinistra radicale lo avevano denunciato, inascoltate, ben prima che Tsipras si sentisse “costretto” a firmare la resa e questo in Grecia, in Italia, in Francia e in tutta Europa. Al contrario erano i vari leaders radicali, vezzeggiati dai media, come Tsipras, Iglesias e, dietro di loro, Ferrero, che spacciavano il ricambio governativo in Grecia come l’evento epocale che avrebbe aperto un’era nuova e posto fine alla sofferenza delle masse. Era Tsipras che, ripreso dalle televisioni di tutto il mondo , aveva solennemente annunciato, una volta accertata la vittoria elettorale che “l’austerità è finita” seminando con ciò in Grecia, in Europa e anche fuori dal continente speranze che si sono rivelate mal riposte. La sinistra rivoluzionaria greca ed europea ha denunciato la demagogia e la faciloneria di Tsipras e del suo partito, ma i successi di Syriza hanno determinato un’ondata di entusiasmo che ha travolto ogni titubanza. I comunisti rivoluzionari sanno bene (proprio perché non si nutrono di demagogia e di belle frasi senza fondamento) che prendere il Governo non significa affatto prendere il Potere. Se il potere economico, i mezzi di comunicazione di massa, l’apparato militare, poliziesco, giudiziario e amministrativo rimangono saldamente in mano alla borghesia nessun reale miglioramento per le masse sarà possibile . Anche lievi miglioramenti iniziali saranno riassorbiti dalla borghesia che non disdegnerà di utilizzare eventualmente il terrore statale o di bande paramilitari e fasciste per riprendere ciò che aveva dovuto concedere in precedenza, in seguito a un momentaneo rapporto di forza sfavorevole. Queste elementari verità del materialismo storico non sono astratte teorizzazioni avulse dai bisogni e dalle aspettative delle masse, al contrario! Esse sono puntualmente confermate e verificate alla prova dei fatti indipendentemente dalla demagogia profusa dall’ intellighenzia della sinistra “perbene”. Per restare alla storia di quest’ultimo mezzo secolo, queste elementari verità i proletari cileni le hanno imparate a loro spese e con il sangue versato nel 1973 e oggi anche i proletari greci le sperimentano pur in maniera, per ora, incruenta (nota 4).
Se Ferrero nella sua relazione si fosse limitato a fare i salti mortali per giustificare l’infame scelta del governo Tsipras sarebbe ancora poca cosa: avremmo potuto dargli l’attenuante di non aver retto il colpo di aver fallito su tutta la linea a investire su Tsipras e, volendolo salvare, salvare se stesso. Sarebbe stata forse, in altre parole, più una faccenda da psicoterapeuti che da scienza politica. Purtroppo però le cose non stanno così e i fatti greci lo spingono a posizioni estremamente pericolose. Il leader di Rifondazione, infatti si butta a capofitto nella ricerca di “colpevoli” che individua non nel sistema capitalista che opprime miliardi di esseri umani ma nell’Unione Europea che solo ora si sarebbe rivelata una “gabbia d’acciaio non modificabile attraverso un’azione riformista di accumulo di forze” e nella Germania che “svolge una funzione imperialista e per certi versi neocoloniale”.
Trovato il nemico individua la soluzione spingendosi ad affermare: “In un contesto di lotta europea contro il neoliberismo e l’austerità, ritengo necessario aprire una consapevole campagna contro il ruolo neocoloniale della Germania. Non so se è possibile lanciare il boicottaggio dei prodotti tedeschi ma certo occorre fare una campagna specifica contro le classi dominanti tedesche e il loro ruolo nefasto nelle condizioni di vita”. Una prospettiva, quella del segretario rifondarolo, che al di là della sua ridicola inattuabilità è tutta su scala nazionale, senza alcun interesse per le differenze di classe, dove sfruttati e sfruttatori vengono parificati nella comune appartenenza al “popolo italiano” o al “popolo greco” o alla “neocolonizzatrice Germania”, dove l’imperialismo italiano – che a sua volta partecipa allo strozzinaggio pagato dal proletariato greco – viene dipinto come una “semicolonia”, per la gioia di Renzi e degli imprenditori italiani che invocano più “flessibilità” su deficit e fisco per ridurre ulteriormente le tasse a beneficio della borghesia italiana.
Possiamo scommettere che se l’ex “deputato comunista del Parlamento della Padania” Matteo Salvini si desse la pena di leggere la relazione di Ferrero si indignerebbe perché questi gli ha copiato il programma politico e lo stesso potrebbe fare Marine Le Pen! Inoltre è un vero peccato che gli alti funzionari delle banche britanniche, francesi, italiane e ovviamente greche, insieme agli armatori non abbiano possibilità di sprecare il loro tempo prezioso a leggere ciò che scrive il semi-sconosciuto segretario di Rifondazione: sicuramente lo ringrazierebbero calorosamente per la soluzione che Ferrero fornisce alla loro compartecipazione alla devastazione delle condizioni di vita dei proletari greci, scaricando solo sulla “cattivissima” Germania le nefandezze di tutto un sistema economico. Complimenti segretario!
Ora che si è messo in buona compagnia con Salvini, Le Pen e i vari rottami stalinisti che predicano da anni le stesse cose che egli ha scoperto solo recentemente non potrà certo soffrire la sindrome dell’isolamento politico!
Per i comunisti veri, quelli che vogliono sul serio emancipare la classe lavoratrice dall’oppressione capitalistica non ci sono stati capitalistici buoni e stati capitalistici cattivi. I comunisti veri non tifano per Putin contro Obama, né per Tsipras contro Merkel. In particolare i comunisti che operano in Italia sanno benissimo che l’Italia non è affatto una semi-colonia ma è un paese imperialista, anche se per la sua relativa debolezza strutturale è un imperialismo costretto a giocare di rimessa e ad accontentarsi delle briciole lasciate cadere dagli imperialismi più forti (imperialismo straccione di diceva un secolo fa di quello italiano e tale ancora rimane). I comunisti veri non scoprono certo oggi che l’ UE è una “gabbia d’acciaio” e che è fatta su misura per le esigenze del grande capitale. Altro che Europa dei Popoli! I comunisti non ritengono tuttavia che la lotta contro l’UE vada condotta per un reazionario recupero della “sovranità nazionale”, ma nella prospettiva dell’unificazione del proletariato europeo come tappa dell’ unificazione mondiale del proletariato. Unificazione questa che sindacati ufficiali e comunisti come Ferrero non hanno mai neanche cercato di organizzare, anche solo in via embrionale attraverso comuni battaglie su singole questioni.
La definitiva deriva reazionaria del partito di Rifondazione Comunista è molto preoccupante. Anche se ben più grande è l’influenza del populismo reazionario di Grillo sulle masse. Tutte le posizioni nazionaliste, anche quelle espresse da forze che si richiamano al movimento operaio devono essere aspramente combattute. È pertanto necessario che in tutti i posti di lavoro, in tutti i quartieri, in tutti i sindacati, in tutti i centri sociali e di aggregazione in cui sono presenti i comunisti vengano fatti tutti gli sforzi per isolare e sconfiggere queste posizioni reazionarie fomentatrici di divisioni fra i lavoratori dei diversi paesi e, in ultima analisi terreno ideologico di preparazione per il militarismo di tutti i singoli stati borghesi.
Nota 1: Rifondazione Comunista è fuori dal Parlamento dal 2008 e SEL, nata da una scissione di Rifondazione, è entrata in Parlamento nel 2013 solo in virtù del fatto di essersi caratterizzata fin dall’inizio come una ruota di scorta del PD di Bersani. Oggi, con il predominio di Renzi e l’emarginazione di Bersani nel PD, SEL corre seriamente il rischio di fare la stessa fine dei fratelli-rivali di Rifondazione.
Nota 2: Promossa da intellettuali e giornalisti di Repubblica insieme a Rifondazione, SEL e altri gruppi minori della sinistra radicale, la lista ha ottenuto tre eurodeputati: due di essi sono giornalisti di Repubblica e l’altro è un’ esponente di Rifondazione. Erano talmente forti gli ”ideali politici” di tlai raggruppamenti che l’esito elettorale ha avviato una lunga stagione di polemiche, ripicche e rivalità.
Nota 3: Cofferati all’epoca del suo mandato come Sindaco di Bologna si è caratterizzato come “sceriffo destrorso” e Civati e Fassina hanno condiviso per lunghi anni tutte le nefandezze del PD.
Nota 4: Come è noto nel settembre del 1973 l’esercito cileno, in combutta con la CIA, organizzò un cruento colpo di stato contro il governo di Unidad Popular guidato dal presidente socialista Salvador Allende. Questi voleva arrivare a conquistare il potere per via elettorale ma, a differenza degli odierni “ campioni” della sinistra radicale, intendeva usare il potere governativo per una trasformazione socialista della società. Nel momento in cui gli sgherri del boia Pinochet bombardavano il palazzo presidenziale Allende e i suoi compagni non scapparono ma resistettero con le armi in pugno. Il vecchio Marx diceva che la storia si presenta la prima volta come tragedia e la seconda come farsa. Anche una sommaria analisi dei fatti cileni del ’73 e di quelli greci di oggi lo dimostra: Allende, incalzato dai bombardamenti dei militari golpisti, pronunciò dal palazzo presidenziale un vibrante discorso in diretta di fiera difesa della lotta per il socialismo e si uccise per non cadere prigioniero nelle mani degli aguzzini. Il rampante Tsipras, invece, dopo aver epurato il governo e i l partito dai dissidenti che avevano il solo torto di voler portare avanti quello che lui, solo qualche mese prima prometteva, e che gli aveva permesso di vincere le elezioni, e infine incassato con il determinante aiuto dei partiti dell’opposizione, fino a poco tempo prima denunciati come causa della rovina della Grecia, se ne è andato in vacanza al mare, ospite di un armatore miliardario pure accusato di evasione fiscale. Comunque vadano a finire le cose in Grecia, Allende, nonostante tutti i suoi errori, anche molto gravi, resterà nella storia del percorso che condurrà all’emancipazione del proletariato e quindi dell’umanità mentre Tsipras sarà, al più, ricordato come una sorta di Masaniello del XXI secolo.