Angelo Panebianco
Poiché
le vicende della scuola suscitano sempre scarso interesse, pochi hanno
lamentato che la contestata Finanziaria del governo Prodi preveda l’assunzione in tre anni di centocinquantamila precari. Negando così due
esigenze: ridurre la spesa pubblica e assumere insegnanti bravi anziché
«collocare» precari.
A onor di verità, qualche commentatore aveva colto
per tempo l’ esistenza del problema.
È giusto ricordare, ad esempio,
che quest’estate un importante sostenitore del governo, Eugenio
Scalfari (La Repubblica, 25 agosto), considerato il numero abnorme di
docenti (rispetto agli altri Paesi europei), sollevava l’esigenza di
«parametrare il numero degli insegnanti nelle scuole medie sulla
consistenza degli alunni». Sul Corriere del 27 ottobre Gianna Fregonara
ha riportato i dati Ocse sullo stato dell’ istruzione nei diversi Paesi
e il giudizio impietoso che dall’ Ocse arriva sulla qualità della
scuola in Italia.
In un altro Paese ciò sarebbe materia di scandalo, l’opinione pubblica fremerebbe e la classe politica cercherebbe un
rimedio. Ma siamo in Italia: qui il governo vero della scuola, da
almeno un trentennio, è delegato a un’alleanza di ferro fra burocrazia
ministeriale e sindacati. Con risultati pessimi e nel disinteresse
generale. Per capire come viene trattata l’istruzione basti
considerare che nella Finanziaria è contenuta, nel silenzio o nella
disinformazione di quasi tutti, una vera e propria riforma occulta
della scuola (un’eccellente analisi è reperibile nel sito dell’
Associazione docenti italiani). Non è prevista solo l’assunzione di un
esercito di precari, che rende inutile ciò che è stato fatto in questi
anni dalle Università, con le scuole di specializzazione, al fine di
formare insegnanti di qualità. Si liquida, nel silenzio, gran parte
della riforma Moratti, anche in ciò che aveva di più valido (come il
doppio canale, scolastico e professionale, tanto detestato da sindacati
e sinistra estrema). Si innalza poi l’obbligo scolastico (e non
dovrebbe certo essere la Finanziaria a farlo), come previsto, è vero,
dal programma dell’Ulivo, ma soprattutto con l’ evidente intento,
comprovato da dichiarazioni in tal senso di esponenti del governo, di
salvaguardare e ampliare i già gonfiatissimi organici. Si lascia infine
al Ministero la possibilità di fare della scuola tutto ciò che vorrà,
demandandogli il compito di intervenire con venti decreti attuativi sui
temi più disparati.
A parte la scorrettezza di affidare alla
Finanziaria la riforma della scuola lasciando all’ oscuro il Paese, è
la sostanza che deve preoccupare. Viene abbandonata ogni ipotesi di
professionalizzazione degli insegnanti e di innalzamento della qualità
dell’insegnamento e della preparazione degli alunni. Addirittura (c’è
anche questa perla), si arriva di fatto a ingiungere agli insegnanti
del biennio di ridurre del dieci per cento il numero dei bocciati al
fine di contenere i costi. La scuola resta, anche con questo governo,
ciò che è da un trentennio: una mastodontica e inefficiente struttura
al servizio più della corporazione che vi lavora (ma con grande
frustrazione degli insegnanti bravi che pure ci sono) che degli utenti.
Una struttura nella quale, con i fallimentari risultati che l’Ocse
documenta, non si deve muover foglia che il sindacato non voglia. Se si
vuole un’ulteriore prova della sconfitta, culturale e politica, dei
riformisti dell’Ulivo, è sufficiente leggere gli articoli della
Finanziaria dedicati alla scuola, alla sua occulta riforma.