Pubblichiamo una lettera di sei detenuti trasferiti dal carcere di Varese a quello di Busto Arsizio.
Spiegano i motivi della rivolta scoppiata a gennaio nel carcere di Varese: un suicidio, un carcerato lasciato morire senza cure, un altro che dopo un pestaggio si accascia ma non viene portato all’ospedale.
Questi sei detenuti, cinque immigrati e un italiano, hanno avuto il coraggio di denunciare la violenza e il disprezzo con cui i detenuti sono trattati dal regime carcerario, anche a Busto Arsizio. Hanno avuto il coraggio di firmarsi con nome e cognome, ben sapendo il rischio di ancora più bestiali ritorsioni.
Il loro appello va fatto conoscere al mondo fuori del carcere e per questo lo pubblichiamo, e invitiamo tutte le persone solidali a inviare loro messaggi di solidarietà all’indirizzo che riportiamo.
Per qualsiasi motivo siano detenuti, sono persone, con il diritto ad essere trattate come tali anche mentre scontano una pena.
Non si tratta di casi isolati. Un’inchiesta televisiva ha iniziato a scoperchiare violenza e soprusi del sistema carcerario, che hanno portato alla morte di 14 persone durante e dopo la rivolta dello scorso marzo. Gli apparati repressivi dello Stato si comportano in modo non meno violento e criminale della criminalità organizzata contro le persone più indifese.
Chi lotta contro la barbarie dello sfruttamento capitalistico per una società solidale si mobilita anche contro la barbarie nei confronti dei carcerati.
Gli indirizzi:
Lenkstakas Enrik
Younas Waqar
Vyzas Rudin
Tutino Stefano
Abubakar Mustapha
Konrad Lofti
CASA CIRCONDARIALE,
VIA PER CASSANO MAGNAGO 102,
21052, BUSTO ARSIZIO (VA)
Qui il testo della lettera copiato da resist.noblogs.org :
Buongiorno a tutti voi. Come prima cosa vorremmo ringraziarvi per la vostra lettera, ci ha tirato molto su di morale sapere che là fuori c’è qualcuno che ha molto a cuore le nostre condizioni e la nostra causa.
Vorrei come prima cosa scusarmi in anticipo per il mio italiano non perfetto, e spiegarvi i motivi per i quali si è arrivati alla protesta nel carcere di Varese.
Il primo episodio avviene ai primi di ottobre dove un uomo viene trovato morto suicida nella sua cella singola, non voglio entrare in merito ai motivi i quali lo hanno spinto a questa estrema decisione, ma sappiamo per certo che alcuni sintomi c’erano, nonché la mancanza di sorveglianza. Quello che vorremmo far notare è che la notizia non è uscita, almeno per ciò che sappiamo, né sui giornali o altro, e anche che il carcere se ne è ben presto dimenticato.
Il secondo episodio riguarda (Pasquale Siciliano) un uomo e amico di 50 anni che muore precocemente dopo appena un giorno dalla notizia di essere diventato nonno. (Siamo ai primi di settembre). Premetto che a Varese, essendo un carcere piccolo, il sistema sanitario funzionava in questo modo che: alle 18.00 il medico finisce il suo turno lavorativo e fino alle 08:00 del mattino non c’è personale sanitario.
Sono le 21.00 circa, e Pasquale si sente poco bene lamentando dolori all’addome all’altezza del cuore ed un formicolio al braccio, per questo gli viene data la medicina magica che secondo loro cura ogni cosa e che viene data veramente come cura ad ogni malessere, a questo punto, dopo aver preso la TACHIPIRINA viene rimandato in cella.
Verso le 24:30/01.00 non si sente bene chiede aiuto e viene portato dalle guardie in infermeria, e dopo un’attenta valutazione medica di un’ora e mezza, dalle guardie viene rimandato in cella, sono le 02:30 circa. 10 minuti più tardi dalla sua cella si leva un grido di aiuto suo e del suo concellino al quale si sente rispondere dal capoposto di turno (FINISCILA DI SCASSARE). Sembra una storia da film, ma qui al carcere di Varese è realtà perché sotto atroci dolori Pasquale muore verso le 03:00 del mattino. Lo chiamano infarto o morte naturale, ma non è così: Pasquale muore per la negligenza e l’omissione di soccorso delle guardie di turno, situazione che per noi non si può chiamare morte naturale ma assassinio senza ancora un colpevole.
Il giorno dopo tutti i detenuti ci siamo recati fuori all’aria dove al grido di “SIETE ASSASSINI” chiediamo spiegazioni, chiediamo di poter parlare con il magistrato di sorveglianza e ci rifiutiamo di entrare. Beh non avevamo fatto i conti che era domenica e come normale che anche il magistrato ha di meglio da fare. A quel punto arriva il comandante che dà rassicurazioni: che avrebbe preso le nostre testimonianze e che non avrebbe più fatto rientrare in sezione il capoposto, rientriamo. Quel giorno abbiamo richiamato l’avvocato di Pasquale e ci siamo messi a disposizione per qualsiasi cosa, inoltre sappiamo che era presente a quell’ora anche un parente di Pasquale. Se avete possibilità di contattare la sua famiglia, siamo di nuovo a disposizione per ciò che necessitano e di fare le nostre più sentite condoglianze alla famiglia.
L’ultimo episodio, il quale ha portato poi alla rivolta, riguarda LONGO FRANCESCO.
Longo è colpevole di essere andato dal capoposto a chiedere la sostituzione del televisore perché rotto, viene invitato ad entrare nell’ufficio del capoposto dove era presente anche l’ispettore del MOF, chiudono la porta e viene malmenato selvaggiamente a calci e pugni. Premetto che Francesco entra senza segni in un ufficio chiuso e senza telecamere, e dopo le grida che vengono da dentro, lo vediamo uscire con segni sulla faccia e sulle costole.
Frastornati da ciò ed essendo l’ora di rientrare nelle celle per la conta, ci rifiutiamo di rientrare perché pretendiamo risposte e spiegazioni. Si sussegue un via vai di agenti, ispettori e comandante che vengono a parlare con noi negando e cercando di insabbiare ciò che è successo, promettendo che avrebbero fatto chiarezza e giustizia. Longo viene portato in infermeria e scrivono che non ha segni, che sta bene e che il fatto non sussiste.
Passa mezz’ora nel trambusto di chiunque ha qualcosa da dire e pensieri e richieste diverse, a quel punto Longo si accascia al suolo, chiediamo l’intervento dell’ambulanza a gran voce, ci vediamo arrivare il medico dell’istituto (il quale aveva detto che non avesse nulla) e delle guardie che vogliono portarlo in infermeria, non glielo permettiamo perché ha segni alle costole e può essere nocivo e che vogliamo l’ambulanza. Aspettiamo 5-10-20-30 minuti ma l’ambulanza non arriva.
Dovete pensare che le carceri sono come le leggi massoniche, che tutto deve rimanere tra loro insabbiato, non deve uscire, perché nessuno deve pagare. E pensare che la nostra richiesta è semplice, ossia che Francesco venga portato in ospedale curato e refertato per i danni provocati dall’ispettore. A quel punto sentendoci presi per il culo inizia la rivolta del carcere di Varese.
Qualcuno allaga l’istituto con gli idranti e qualcuno spacca le telecamere, luci, reti, porte, finestre, blindi, ufficio capoposto, gabbiotto blindato delle guardie, quadri elettrici. A questo punto arriva una squadretta. La chiamano squadretta, ma entrano in 30 armati con manganelli, armi, caschi, scudi, lacrimogeni. (Polizia penitenziaria, carabinieri, polizia), mancava la forestale. Non essendo in grado di entrare fanno uso di lacrimogeni e gas di estintori, essendo presenti in sezione e nell’istituto anziani, persone con problemi di ansia ecc., decidiamo di rientrare. In tutto ciò rimane ferito per modo di dire un detenuto che dentro la cella, avendo aspirato i gas, ha problemi respiratori e si accascia al suolo, soccorso dopo 10 minuti da una guardia folgorata dalla presenza di acqua e cavi di corrente aperti.
Da questa situazione ci arrestano in 6 i quali siamo tutti stati portati in carcere a Busto Arsizio, sappiamo che ci sono stati altri 31 trasferimenti a Como-Monza-Sondrio-Pavia-Vigevano, ma purtroppo di loro non sappiamo nulla e non abbiamo notizie.
Possiamo dire di noi 6: nessuno fino ad oggi ha subito problemi fisici, torture o altro, anche perché hanno fatto abbastanza, essendo che ci contestano reati di danneggiamento, resistenza a pubblico ufficiale e devastazione (che prevede pena minima di 8 anni).
Per quanto riguarda noi a Busto Arsizio, nei nostri confronti c’è un clima ostile da parte delle guardie: è 3 settimane che siamo qui e c’è ancora chi non riesce a parlare con la famiglia, siamo in Sezione Covid dove tutti fanno 14 giorni e dopo il secondo tampone negativo li spostano in sezione, per noi no. Ci hanno dato 10 giorni di isolamento da fare che faremo più avanti perché siamo ancora pieni.
Noi siamo gli arrestati per la rivolta di Varese e vogliamo anche firmarci su chi siamo:
Lenkstakas Enrik (Albania); Younas Waqar (Pakistan); Vyzas Rudin (Albania); Tutino Stefano (Italia); Abubakar Mustapha (Ghana); Konrad Lofti (Tunisia).
Per quanto riguarda i problemi di altri detenuti qui a Busto, che vogliono rimanere anonimi, posso dirvi: l’area trattamentale non funziona anche se continui a iscriverti nessuno ti chiama.
– Ti segni in sorveglianza ma funziona uguale o non ti chiamano o dopo molto tempo;
– Fai le richieste tramite domandine (mod.393) e spariscono, questo sia per quelli già qua che per noi che veniamo da Varese;
– Chiedi di lavorare, ma le condizioni sono due o devi cominciare a fare l’infame o devi stargli simpatico. Hanno un criterio tutto loro per decidere;
– Le linee telefoniche non vanno e il centralinista non c’è mai per recuperare una chiamata;
– Il mangiare addirittura a volte è arrivato con la muffa, per non parlare della frutta sempre marcia di routine.
E con questo vi ringrazio per le lettere (buste) e per volerci dare voce, vi prego di risponderci se mai questa lettera vi arriverà, se non sarà cestinata, letta da loro (ma non mi interessa) o chissà.
Vi ringraziamo e vi mandiamo un caloroso abbraccio, i detenuti di Varese e Busto Arsizio.