Scompare a 90 anni di età Fidel Castro, protagonista con Che Guevara della rivoluzione cubana del febbraio 1959, rivoluzione che “sganciò” l’isola caraibica dalla totale sudditanza verso l’imperialismo statunitense, attuò la nazionalizzazione della produzione e la collettivizzazione delle campagne, espropriando le multinazionali USA del petrolio.
Venne così dato inizio ad un programma di eliminazione dell’analfabetismo e di sanità pubblica che contribuì fortemente ad innalzare il tenore di vita del popolo cubano ed a liberarlo dalla sua realtà di “cortile di casa” dell’imperialismo USA.
Da questo punto di vista, la rivoluzione cubana è da annoverare tra i maggiori eventi di emancipazione “democratico-borghese” ed anti-colonialisti del secolo XX.
Detto ciò, e dunque riconosciuta la “progressività” del castrismo-guevarismo in ordine alle vicende “interne” di Cuba e della lotta antimperialista, non va assolutamente sottaciuta l’altra faccia di questo movimento politico: spacciare le nazionalizzazioni per “comunismo”, cambiare imperialismo di riferimento (dagli USA all’URSS), cercare nei cosiddetti “paesi socialisti”, e non nel proletariato internazionale, una deviante strada per il “superamento del capitalismo”.
La stessa vicenda politica e umana del “Che”, che non ci sta alla “realpolitik” di Castro e se ne va a morire in Bolivia… isolato, e screditato dallo stesso partito staliniano di quel paese, la dice lunga sulla piega che – appena dieci anni dopo l’ingresso dei “barbudos” all’Avana – avesse preso la “rivoluzione castrista”.
Dal canto suo l’URSS, “userà” quella rivoluzione democratico-borghese al solo scopo di avere una piattaforma nei Caraibi, e di trarre comunque profitto dallo scambio canna da zucchero con petrolio ed armi.
L’unico “internazionalismo” che il regime castrista riuscirà ad attuare si ridurrà, fino a che l’URSS potrà permetterselo, in incursioni militari in Africa (vedi Angola e Mozambico) per conto di Mosca…
Per il resto, siamo rimasti per circa 60 anni nel campo della mitologia: di quella che vede l’imperialismo solo o prevalentemente negli USA, di quella secondo cui basta essere “anti-americani” per diventare in automatico dei “grandi comunisti”.
Noi ci dissociamo da questa “moda” dura a morire (il fascino del “guerrigliero”) che ha infestato per troppo tempo molte leve rivoluzionarie, facendogli perdere l’orientamento su cosa si intenda quando si parla di comunismo, su cosa si intenda per alleanze rivoluzionarie, su cosa si intenda per processo rivoluzionario.
La storia ha spazzato via ogni illusione in merito alle “campagne che circondano le città”, in merito alla divisione del mondo in “Stati buoni” e “Stati cattivi” …
Fidel Castro non ci ha affatto emancipati da tale pernicioso equivoco, in quanto, cosciente o meno egli ne sia stato, è rimasto comunque dentro la logica borghese degli Stati nazionali, del patriottismo, della proprietà “statalizzata” dei mezzi di produzione spacciata per “socialista”.
Con Fidel Castro non scompare dunque un comunista (o addirittura “il comunismo”!), ma uno statista borghese che, alla lunga, ha perso la stessa battaglia originaria di “staccare” Cuba dall’influenza americana.
Il tifo massmediatico tra chi lo vuole “eroe” oppure “dittatore sanguinario” lo lasciamo a chi, come al solito, vive deformando i fatti e le coscienze.
Il proletariato di Cuba, quello del Sud America, e quello internazionale hanno – ed avranno – occasione di praticare una lotta di classe per una società senza classi.