La missione di pace E le guerre di Kabul

FABIO
MINI ha comandato la missione
Kfor in Kosovo

Col rinnovo della missione Isaf,
anche l’ITALIA dovrà assumersi rischi e responsabilità maggiori nella  guerra ai Taliban, che non potrà essere più
chiamata “missione di pace”.

Lo scorso febbraio alla Conferenza di Londra la missione
Isaf cambiò natura: oltre alla tutela della sicurezza a Kabul e all’assistenza
europea al governo afgano, si assunse il compito di combattere i Taliban
insieme ai soldati USA.

Isaf deve così sia reprimere i terroristi, sia intervenire
nella guerra civile interna, ma non può controllare l’azione USA contro i
Taliban.

Col rinnovo del mandato, anche
l’ITALIA dovrà assumersi responsabilità onori e rischi maggiori nella guerra ai
Taliban e togliere l’etichetta di “missione di pace”. Questo va detto
chiaramente ai soldati che opereranno sul terreno.


Le espressioni di cordoglio, anche se sincere, non
rendono mai completamente né la realtà dei fatti né i veri sentimenti di chi li
commenta. La morte del caporalmaggiore Giorgio Langella e il ferimento del
maresciallo Francesco Cirmi, del caporalmaggiore Vincenzo Cardella e di altri
tre compagni nei pressi di Kabul è una tragedia che ci colpisce profondamente e
ci fa sentire vicini alle famiglie delle vittime.
Ma perché il loro sacrificio sia pienamente riconosciuto ci deve far riflettere
e anche aiutare a prendere delle decisioni. Langella faceva parte di Isaf ed
era un grande soldato, come Isaf era una grande missione. Non so se Langella
sapesse che il mandato Onu di Isaf è in scadenza. Per lui non avrebbe
fatto differenza e nemmeno per Isaf perché ne verrà senz´altro proposto il
rinnovo: la situazione è talmente degenerata che l´attuale dirigenza afgana non
sopravviverebbe un giorno senza il sostegno straniero
. E non è detto che
sopravviva anche con tale sostegno.
Se nessuno avanza riserve, la missione verrà rinnovata con il mandato assegnato
lo scorso febbraio, quando, dopo la Conferenza di Londra e con l´assenso del
nostro governo, i compiti cambiarono in maniera tanto radicale quanto subdola.
Da allora Isaf non è più la stessa missione che l´Onu nel 2002 aveva affidato
ad una coalizione di volenterosi, tra cui l´Italia, per garantire la sicurezza
del governo di Karzai nell´area di Kabul. La Nato, che per tre anni aveva
gestito Isaf senza mandato dell´Onu, è riuscita a farsi riconoscere il ruolo
guida e a far coesistere due operazioni completamente diverse: la guerra
americana ai Taliban (Enduring Freedom) e l´assistenza europea al governo
afgano
. Nonostante l´espansione dell´area di responsabilità di Isaf gli
Stati Uniti hanno mantenuto sia la cooperazione bilaterale con Karzai, sia la
giurisdizione su tutto l´Afghanistan per la «lotta al terrorismo». Isaf si
trova nella non facile situazione d´essere responsabile di gran parte del
territorio e di dover cooperare con le forze governative, ma di non controllare
Enduring Freedom, i Prt americani e gli accordi che questi hanno sia col
governo che con i signori della guerra e della droga locali. Di fatto Isaf è
coinvolta in una guerra tra americani e Taliban, in una guerra civile per la
droga e il potere o in una repressione interna contro dei criminali terroristi
a seconda che cooperi con gli americani o con gli afgani
.
Spesso, come sanno gli inglesi e i canadesi, le tre cose sono concomitanti e
talvolta Isaf non sa cosa sta facendo e per conto di chi
. Se nessuno avanza
riserve, il mandato Onu verrà rinnovato per continuare tutto questo senza
alternative migliori.
E se decideremo di restare non ci sarà più motivo di dare agli alleati un
supporto limitato che comunque ci fa spendere soldi, correre rischi e
sacrificare la vita dei nostri soldati. Cadrà anche la pretesa di essere in
missione "di pace". Perché, a prescindere dall´etichetta che vorremo
darci, per ottemperare veramente al mandato, bisognerà fare la guerra e la
repressione, come gli altri stanno già facendo
. Ci dovremo preparare a
nuove perdite e a condividere i meriti dei successi e le responsabilità delle
nefandezze. Ai nostri «ragazzi al fronte» non abbiamo ancora chiesto tutto
questo, ma mentre vanno in pattuglia, sanno che possono morire lo stesso, come
il caporalmaggiore Langella, per mano di uno che non fa differenze nell´odio
per gli stranieri. Noi abbiamo il dovere di onorare il sacrificio dei nostri
soldati e non dobbiamo permettere che passi come una fatalità o addirittura una
loro colpa a causa della nostra ambiguità. Abbiamo l´obbligo di chiedere
esplicitamente di che sacrificio si tratta e dobbiamo spiegare a loro e alle
loro famiglie perché. Prima
.

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