La micidiale Woodstock libanese

ANTONIO
FERRARI

FILOSIRIANI IN PIAZZA

 


Lo scontro fra Hezbollah e il governo libanese, fomentato da
SIRIA e IRAN ma nato dalla recente storia del LIBANO, rischia di precipitare il
paese (se non tutto il Medio Oriente) in un scontro sanguinoso. PRODI e MUBARAK
vogliono il dialogo con la SIRA: sanno che lo scontro è troppo rischioso.


La piazza di Beirut regala un’immagine surreale.
Sembra una Woodstock tutta libanese, con le tende, le autobotti, le bandiere, i
panini, il tè caldo, le radio, le chitarre, e migliaia di persone che fanno i
turni per non interrompere la manifestazione e imporre al governo di Fuad
Siniora di andarsene.
Surreale perché il sit-in è in tutto simile a quello da intifada incruenta
che l’anno scorso costrinse il governo filo-siriano di Omar Karame a
dimettersi. Solo che nel 2005, dopo l’assassinio di Rafic Hariri, in piazza
c’erano i nemici di Damasco.
Adesso, davanti al palazzo del governo che viene chiamato Gran Serraglio, ci
sono gli Hezbollah e i loro alleati filo-siriani
.


Tanti erano allora, tanti sono oggi. Quest’immagine sembra la metafora
dell’immutabilità dei valzer politici libanesi: nel 2005, con gli anti-siriani,
c’erano storici ex sostenitori di Damasco, come il druso Walid Jumblatt e
l’altalenante estremista cristiano Samir Geagea. Ora, accanto a Hezbollah c’è
il generale cristiano Michel Aoun, che per resistere militarmente alla Siria
non esitò a mettere a ferro e fuoco il suo Paese.
Il Libano è anche questo, e sarebbe semplicistico sostenere che tutto viene
provocato dall’esterno. Le interferenze (Damasco, Teheran) esistono eccome, le
complicità pure, ma gli atavici rancori interni e più concreti interessi
contrapposti, che la fine della guerra civile non ha cancellato, riaffiorano
prepotentemente. Tuttavia, la partita di questi giorni è davvero micidiale,
perché il tentativo di costringere Siniora a far le valigie ha l’aria un golpe
post-moderno, per punire il premier amico dell’Occidente, per imporre un
esecutivo di unità nazionale, e soprattutto per impedire la creazione di quel
tribunale internazionale che dovrà individuare e punire i responsabili del
delitto Hariri, che l’accusa sospetta si trovino a Damasco, nonostante le
smentite della Siria
.
Siniora resiste, come ha assicurato al segretario agli esteri inglese Margaret
Beckett, e come ha confermato, per telefono, al presidente del Consiglio Romano
Prodi, giustamente preoccupato per la missione dei nostri soldati nel sud del
Paese. «Il premier libanese — ha detto Prodi — è motivato e determinato ad
andare avanti, senza lasciarsi intimidire». Ma il clima è mefitico e il rischio
di un blocco totale del Gran Serraglio, dove il governo è rinchiuso, rischia
d’avere conseguenze pesantissime.
Qualche estremista ricorda che se venissero uccisi o si dimettessero due
soli ministri, dopo l’assassinio il 21 novembre di Pierre Gemayel, Siniora e i
suoi sarebbero comunque costretti a sciogliere il governo
.
Risultato immediato: la cancellazione, come ha dichiarato il sottosegretario
americano per gli affari politici Nicholas Burns, della Conferenza
internazionale del Paesi donatori per aiutare il Libano a risollevarsi dopo la
devastante guerra dell’estate scorsa
.
Uno scenario, se possibile ancor più preoccupante, è stato prospettato dal
presidente egiziano Hosni Mubarak, che in caso di caduta del premier sunnita
Siniora prevede sviluppi catastrofici, con un conflitto a tutto campo tra
musulmani
. «Se gli appelli di Hezbollah e Amal (i due partiti sciiti
libanesi) per far dimettere Siniora continueranno, si rischia di
internazionalizzare lo scontro e distruggere il Paese». Perché, dice Mubarak, vi
sarebbero Stati arabi pronti a intervenire per sostenere il premier, e altri
pronti a intervenire al fianco di Hezbollah
, con la prospettiva di una
guerra devastante. Il presidente egiziano, in sostanza, paventa un
sanguinoso conflitto fra sunniti e sciiti
, accentuato dalle mire egemoniche
del presidente iraniano Ahmadinejad.
Sia Prodi sia Mubarak puntano sul realismo del presidente del parlamento
libanese e leader di Amal Nabih Berri, ed entrambi sostengono che è necessario
dialogare con la Siria. Hanno ben chiaro che un rovesciamento del regime di
Damasco, come qualche falco continua a suggerire, produrrebbe reazioni
assolutamente incontrollabili
.

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