Sabato 17 novembre 280mila manifestanti, riuniti tramite i social network, hanno partecipato in tutta la Francia ad un nuovo movimento di protesta di massa, i Gilets Jaunes, continuata per i tre giorni successivi con 2000 punti di blocco, i più importanti quelli di una decina di depositi petroliferi, ma anche con “operazioni lumaca”, il rallentamento del traffico attuato con lunghe serie di mezzi pesanti e con centinaia di persone sdraiate sulla carreggiata.
Sabato 24 novembre il movimento ha ripetuto le manifestazioni, con 106mila partecipanti complessivi e 1600 azioni di protesta, 8000 coloro che a Parigi hanno marciato, come programmato, verso gli Champs Elisées, non verso Place de la Concorde come imposto dalla prefettura. Il timore che il movimento possa generalizzarsi e organizzarsi ha portato il governo a imporre una violenta repressione poliziesca per opera della Gendarmerie Nationale, in assetto anti-sommossa. Il capo della polizia di Parigi ha detto che sono state usate 5000 candelotti di gas lacrimogeni, più di uno al minuto, un quantitativo inedito; sono stati usati idranti, spray al peperoncino e bulldozer per sgomberare le barricate incendiate; 103 arrestati, compresi alcuni minori; 45 incriminati.
Il ministro degli Interni ha parlato di teppisti e casseur dell’estrema destra che hanno cavalcato la protesta e aizzato le violenze, ma la stessa polizia ha detto che gli arrestati erano per lo più dei giovani, senza precedenti penali, e molti provenienti da fuori Parigi.
Dalle inchieste risulta che i Gilets Jaunes hanno l’appoggio dell’80% dei francesi, mentre la protervia di Macron, che non si è neppure degnato di rispondere alle proteste, ha fatto scendere la sua popolarità al 26%.
Il movimento non appare strutturato, è composto da un assemblaggio spontaneo ed eterogeneo di scontenti per la maggior parte lavoratori dipendenti, con una quota di piccola borghesia, non abituati a mobilitarsi, per lo più non legati a partiti. Le loro proteste e rivendicazioni non sono state neppure prese in considerazione dai sindacati, tranne qualche apertura da parte di Solidaire e CGT. Il partito socialista li ha attaccati come anti-ecologisti e amici della lobby petrolifera.
Il movimento é attecchito soprattutto nelle regioni rurali e nelle periferie cittadine, dove può esserci un significativo voto per RN (Rassemblement National, ex Front National) – anche se spesso il primo partito in queste aree è in realtà l’astensione; molti partecipanti sono uniti dal rifiuto della politica, che ne ha a più riprese deluso le aspettative. Hanno cercato di cavalcare la protesta, che da soli non sarebbero riusciti ad attizzare, soprattutto i partiti della destra di Marine Le Pen, Nicolas Dupont-Aignan (di Debout la France) e dei conservatori Repubblicani di Wauquiez.
Molto variegate le parole d’ordine dei Gilet Jaunes: riduzione delle tasse sui carburanti anziché i nuovi aumenti previsti per gennaio; contro la perdita del potere d’acquisto; ritorno all’ISF[1]; riduzione delle retribuzioni di ministri e deputati. È comparsa anche una rivendicazione politica radicale, la soppressione del senato e la creazione di una “assemblea cittadina”, che dovrebbe essere consultata sulle leggi in discussione.
Miccia e combustibile del movimento
Il fattore scatenante delle attuali proteste del movimento Gilets Jaunes è stato il forte rincaro nell’ultimo anno del prezzo del combustibile, +21% il diesel e +15% la benzina. Un aumento prodotto – oltre che dal rincaro del prezzo internazionale del petrolio – dalla carbon tax voluta dal governo Macron, a cui si aggiunge un incremento dell’IVA, che viene applicata sul prezzo complessivo del combustibile, carbon tax compresa.
Un aumento che fa percepire ai lavoratori nella concretezza il peggioramento della loro condizione, giorno per giorno, quando fanno il pieno alla pompa per recarsi al lavoro.
L’obiettivo del piano di Macron sui combustibili non è la soluzione della questione ambientale, ma il sostegno all’industria automobilistica francese nella sua competizione internazionale per l’auto elettrica e ibrida. Anche per contrastare la caduta del mercato auto in Europa, Macron cerca di imprimere un’accelerazione al rinnovo del parco vetture, 33milioni, che avevano nel 2017 un’età media di 9,1 anni, contro i 5,8 anni nel 1990. Lo fa aumentando il prezzo del combustibile in generale, allineando il prezzo del diesel a quello della benzina, erogando incentivi alla rottamazione per l’acquisto di un’auto elettrica nuova o d’occasione (1000€ oppure 2000€ per le famiglie sotto il minimo imponibile). Macron ha già raggiunto nel 2018 metà dell’obiettivo di 500mila incentivi alla rottamazione fissato per il quinquennio, fregandosene del malumore serpeggiante, e ora reprimendo fortemente le proteste. Con la carbon tax l’erario dello stato francese intascherà 15miliardi di € l’anno.
Il conto dell’operazione di Macron è pagato dai lavoratori dipendenti, che usano l’auto per recarsi al lavoro e che non possono cambiarla, ma anche dal piccolo commerciante, l’agricoltore, il camionista per i quali l’autoveicolo è lo strumento di lavoro.
La miccia è il prezzo del gasolio, ma la sostanza infiammabile sottostante sono le condizioni di vita di una ampia quota di popolazione. Nel novembre di quest’anno l’INSEE (Istituto Nazionale di Statistica e di studi Economici) ha rilevato che è fortemente diminuita la fiducia delle famiglie francesi che il tenore di vita possa migliorare nei prossimi 12 anni, -42 punti rispetto alla media di lungo periodo, e -11 punti rispetto ad ottobre. È una percezione che deriva da dati oggettivi, che confermano anche in Francia le forti ineguaglianze tra le classi sociali, tra la borghesia e i lavoratori dipendenti, ma anche all’interno della stessa borghesia. Una quota di piccola borghesia composta da artigiani, commercianti, etc… guadagna troppo per aver diritto ad un sussidio o per essere esentata da alcune imposte, ma ha visto scendere il proprio tenore di vita, e vive in aree dove sono diminuiti i servizi pubblici, considerati la contropartita al pagamento delle imposteNel 2015 il reddito disponibile del 20% delle famiglie più ricche raggiungeva il 41,7% del totale, quasi sei volte più di quello del 20% delle famiglie più povere. La metà più povera delle famiglie francesi aveva un reddito equivalente a poco più di un quarto (26,4%) del totale.
Il 7,6% dei francesi dichiara di non poter permettersi l’acquisto di un secondo paio di scarpe; nel 2015 4,8 milioni hanno chiesto aiuti alimentari; quasi 4 milioni di persone vivono in alloggi inadeguati, degradati o troppo piccoli, o non hanno un loro domicilio personale. All’altro polo, l’1% dei francesi intasca il 7% del reddito totale e il 30% del reddito proveniente da patrimonio dichiarato. La padrona di Oréal, Liliane Bettencourt, possiede patrimoni di oltre 31,2 MD di €, pari a 1,77 milioni di anni di un salario minimo (smic).
Un primo effetto politico delle proteste è la spaccatura negli schieramenti politici al governo, rivelata dall’approvazione da parte del Senato di un emendamento, del 26 novembre, con il quale si chiede al governo di congelare gli aumenti del carburante, soprattutto diesel. È però molto poco probabile che l’Assemblea Nazionale lo approvi, dato che la sua maggioranza è costituita dal partito di Macron, LREM. L’iniziativa potrebbe rivelarsi solo un modo per buttare acqua sul fuoco del movimento dei Gilets Jaunes, che ha dimostrato la determinazione caratteristica dei movimenti sociali d’oltralpe.
I gilets jaunes, pur non avendo un carattere esclusivamente proletario, esprimono in gran parte l’esplosione di un malcontento che da tempo cova dentro strati di lavoratori salariati, che non ha trovato sbocchi nelle lotte contro la loi travail, e che non trova interpreti nei sindacati o in organizzazioni di classe capace di porre rivendicazioni unificanti per tutto il movimento operaio. In assenza di una tale organizzazione il rischio concreto è che anche in Francia, come già accade in Italia, negli Stati Uniti e altrove, questo malcontento sia utilizzato dai partiti populisti e sovranisti per dividere ulteriormente il fronte del movimento operaio.
[1] Imposta di Solidarietà sui Patrimoni è la vecchia imposta patrimoniale francese sostituita da Macron il 1° gennaio con la tassa sulle fortune immobiliari (IFI).