La lotta alla I.M.S. (ex Pozzi) di Spoleto

Il comitato di fabbrica delle Industrie Metallurgiche Spoleto (I.M.S., nota in città come ex Pozzi) nasce con degli incontri dallo scorso autunno spontanei di 4-5 operai nella sede dell’USB nello stabile dove sta Casa Rossa. Riesce a convolgere i compagni in fabbrica e impone in autunno uno sciopero di un giorno, seguito malvolentieri dall’r.s.u. La situazione era cominciata a peggiorare a partire dalla scorsa primavera, quando sono cominciati i licenziamenti dei precari mano a mano che scadevano i contrarri e i dipendenti sono passati da 400 a 300. Sempre dalla primavera sono cominciati i pagamanti ritardati, prima di una poi di due settimane; un anno dopo erano arrivati a 2 mesi di ritardo. Nell’estate scatta la cassa integrazione per tutti i dipendenti e a partire dall’autunno massicce dosi di cassa integrazione, a rotazione, si fa per dire, e settimane alternate di chiusura. Una delle richieste operaie è quella della rotazione egulitaria della cassa integrazione, il che sarebbe anche imposto dalla legge. Invece di fatto chi è più vicino al padrone, a partire dai sindacalisti, viene “comprato” con meno giornate di cassa, mentre i dipendenti scomodi vengono lasciati a casa, puniti nello stipendio e isolati dai compagni.

Nonostante le minacce dei padroni e dei sindacalisti, il comitato di operai cresce, purtroppo anche perché la situazione peggiora e ci sono due mesi di stipendi non pagati.
Venerdì 4 maggio uno sciopero spontaneo blocca la produzione.
Sabato 5 maggio in 200 salgono in corteo fino al municipio e costringono il sindaco ad ascoltarli. Finalmente sabato sera le r.s.u. decino di proclamare lo sciopero ad oltranza, con presidio ai cancelli. Che andrà avanti fino a giovedì. Nel fine settimana i pochi lavoratori che dovrebbero lavorare sono tutti in sciopero.

Lunedì 6 maggio l’adesione è di nuovo al 100%. Non c’è nemmeno il bisogno del blocco ai cancelli, dato che non ci sono crumiri che vogliono entrare. Questo porta un po’ di cazzeggiamento, anche legittimo data la fatica del lavoro in fabbrica, e gli operai che la mattina normalmente devono svegliarsi alle 5 per andare in fabbrica, se la prendono comoda e in gran parte nei giorni successivi invece che arrivare ai cancelli alle 6 si presentano in massa solo alle 8 o alle 9. In ogni caso questo non danneggia troppo la protesta, dato che appunto l’adesione è totale anche senza il blocco fisico dei cancelli. Blocco che invece produce un duro scontro, anche fisico, con il padrone. Il Diriettore la mattina di lunedì ha infatti cercato di forzare il blocco, investendo due operai che poi cercherà di comprare per evitare denunce. La polizia interviene, ovviamente a difesa del padrone, che riesce ad entrare. Inutilmente dato che la fabbica è vuota. Il pomeriggio di lunedì 7 maggio trascorre in una ridicola teatrata, con le r.s.u. che entrano per trattare col padrone, escono per esporre quanto “ottenuto” e sono cacciati di nuovo dagli operai che giudicano inaccettabili gli accordi. Dopo qualche ora di questo andirivieni, il Direttore si degna di uscire e tratta di persona con l’assembla di operai davanti ai cancelli, dato che i sindacati non riscono più a contrallarli. Ma riceve solo fischi e insulti.
Martedì 7 maggio nuova adesione al 100%. Il Direttore entra senza problemi, dato l’allentamento del blocco nelle prime ore del mattino, ma è solo nella sua fabbrica. Il presidio serve solo come assemblea cittadina, dato che non ci sono crumiri che cercano di entrare. Il pomeriggio alle 16,30 arriva Cremaschi. Intorno a lui centinaia di operai inscenano una assemblea spontanea dai toni durissimi. Vengono insultati e quasi malmentati le rsu e i capoccia locali della FIOM. Viene raccontato a Cremaschi il ruolo vergognoso del sindacato, i due anni in cui i delegati hanno coperto ogni mancanza da parte del padrone, anche sulla sicurezza. I sindacalisti spoletini della FIOM sono ufficialmente sfiduciati dagli operai, hanno le lacrime agli occhi. Insultati perfino da quello che era il loro leader. Cremaschi infatti ammette che spesso il sindacato non sa fare il proprio dovere e che “si scusa a nome loro”. Li invita (ma è un presa d’atto in realtà) a fare un comitato di lotta, dato che non credono più nei sindacati, e gestire collettivamente la vertenza. L’importante, dice, è non dimostrare al padrone di poter cedere. Quando Cremaschi va via l’assembla in strada continua, ci sono anche gli studenti, gli anarchici, i compagni di Casa Rossa, alcuni del PRC. Si parla di corteo cittadino e di sciopero generale locale. Per ora da fissare, anche perché alla CGIL tanto per cambiare, si dicono scettici sulla riuscita.

Mercoledì 8 maggio è il sesto e per ora ultimo giorno di sciopero. L’adesione è di nuovo al 100%, in fabbrica c’è solo il Direttore con i suoi scagnozzi. Questi ultimi passano alle minacce. Affermano di voler chiudere lo stabilimento di Spoleto perché è ormai ingovernabile. Proprio per evitare epurazioni verso i 5 operai più esposti e che ci hanno messo la faccia e la voce anche nell’assemblea del giorno prima, contestando apertamente la linea della CGIL davanti al codazzo di giornalisti venuti per Cremaschi, si decide di formalizzare l’assemblea degli scioperanti in un vero e proprio comitato di fabbrica. L’obbiettivo è di raggiungere il maggior numero di aderenti possibile, in modo da rendere più difficile al padrone le epurazioni individuali. Nel momento in cui scriviamo hanno aderito almeno 120 operai al comitato di fabbrica. Nessun sindacato ha tanti tesserati nelle I.M.S.. Cominciano però a pesare anche le minacce di chiusura e la prospettiva di buste paga, quando arriveranno, falcidiate dalla settimana di sciopero. Le decine di operai che aderiscono al comitato di fabbrica sono contrarie al rientro al lavoro. Ma alla fine si decide di non rompere l’unità con gli altri lavoratori, proprio per fare del comitato non un’organizzazione sindacale fra le altre, ma l’assemblea diretta di tutti gli operai; quindi si rientra a lavorare per due giorni, giovedì e venerdi. L’accordo minimo, che non prevede la fine degli scioperi ma solo due giorni di tregua, prevede il pagamento di metà mensilità delle due mancanti in cambio di due giorni di lavoro in cui finire una vecchia commisione così da ottenere i soldi, dice il padrone, per pagare la mezza mensilità. In ogni caso, per continuare il disagio nella produzione, l’accordo informale con le r.s.u. prevede che nei due giorni di lavoro verrà convocata l’assemblea di fabbrica. Un modo per scioperare un’altra mezza giornata senza perdere ulteriore salario.

Sabato 11 maggio un breve corteo di centinaia di operai interrompe la storica Corsa dei Vaporetti nel centro di Spoleto. Viene imposto allo speaker la lettura di un comunicato del comitato di fabbrica e si cerca di sensibilizzare gli spettatori dell’evento. Gli operai ricevono molta solidarità dai passanti.

Finiti i due giorni di tregua, la fabbrica è stata di nuovo chiusa, non per sciopero ma per una nuova ondata di cassa integrazione – c’è chi dice punitiva. Per cercare di dividere i lavoratori il padrone dopo alcune settimane di chiusura, cogliendo l’occasione della visita di un possibile acquirente francese, richiama al lavoro solo 80 operai, nessuno dei quali aderenti al comitato di fabbrica.

I giornali parlano di fusioni con altri padroni. Bisogna però sottolineare che non basta cambiare il padrone. Anche per questo sta nascendo un comitato di solidarietà cittadino. Interessante la composizione anche di questo comitato. A parte i soliti tromboni di SEL e PRC, si tratta generalmente di operai di altre fabbriche, amici, parenti dei lavoratori in lotta, precari, studenti; insomma esclusivamente proletari. Il comitato aprirà a breve un contocorrente di solidarietà con le situazioni di lotta a Spoleto. Si faranno manifestazioni pubbliche per rilanciare la lotta. Sopratutto si sta lavorando per uno sciopero generale cittadino, eventualmente imposto, data la “pigrizia” dei sindacati, proprio dal comitato di fabbrica e dagli altri comitati da costituire in ogni luogo di lavoro. Quindi costruito dal basso dai lavoratori. Si è discusso della natura politica del comitato di solidarietà. Sono stati emerginati gli esponenti politici dei partiti opportunisti e si è sottolineato che la novità della lotta operaia alle I.M.S. sta proprio nell’assenza di cappelli istituzionali e che sarebbe un grave errore far uscire dalla finestra (il comitato di solidarietà) quelli che gli operai (il comitato di fabbrica) hanno cacciato dalla porta (sindacati e partiti). I compagni di Casa Rossa hanno proposto di dare un’anima politica al comitato di solidarietà, che dichiari esplicitamente la propria avversità verso ogni padrone e per il superamento del capitalismo. Altri hanno proposto un più modesto rifiuto di accogliere politici di partiti oggi al governo. La discussione non è ancora chiusa.

Venedo alle ragioni degli operai, queste, sinteticamente, le richieste del comitato di fabbrica:

– la cacciata del Direttore dello stabilimento di Spoleto, l’ingegner Santoro;

– il pagamento degli arretrati;

– la fine della cassa integrazione, in subordine una rotazione equa e non punitiva o corruttiva;

– la riduzione dell’orario per tutti al posto della cassa integrazione.

La discussione è stata dura soprattutto sul primo punto. I sindacati, la CGIL in testa, sono fermamente contrari. Mentre per gli operai questo punto è decisivo e per questo hanno rotto con le r.s.u.. Obbiettivamente esso presenta delle contraddizioni. Per un verso pare essere vittima dell’arretramento culturale portato dai governi “tecnici”, ovvero l’idea che cambiando il “tecnico” al comando si risolvono i problemi. Gli operai certamente si illudono che cacciando Santoro dalla Direzione dello stabilimento la crisi verrà superata. Va però apprezzato il salto oltre il mero contrattualismo salariale. L’idea che non vogliono solo il salario, ma anche la “testa” del massimo rappresentante del padrone. Questo passo oltre il contrattualismo è positivo. D’altronde la critica dei sindacati a questa rivendicazione non è certo quella nostra. Loro non dicono di non prendersela col padrone perché la colpa è del capitalismo, non fanno certo tale discorso. Il fatto è che i sindacati con il Direttore ci vanno perfettamente d’accordo. I rapporti, politici, sindacali e persino umani, sono ottimi. Va ricordato che Umbria la FIOM è in mano, caso unico, all’area che fa capo alla Camusso e non a quella di Landini. E che infatti i dirigenti locali si sono scontrati pubblicamente con Cremaschi di fronte agli operai il 7 maggio. E’ questa vicinanza col padrone che ha fatto arrabbiare i lavoratori. Il fatto che gli sia stato fino ad ora concesso tutto, persino di fronte a problemi di sicurezza o oggi al non pagamento dei salari i sindacati non volevano scioperare per non litigare con Santoro, questo è il vero motivo della ribellione operaia verso i kapò. E proprio per questo crediamo che vada sostenuta, anche nelle sue contraddizioni. Perché rappresenta un passo oltre, verso il vertice, in cui il potere aziendale viene per la prima volta “intuito”, con le ambiguità di ogni “intuizione”, come il vero nemico di classe.

Da pochi giorni è arrivata la notizia di una vittoria quasi totale delle richieste del comitato di fabbrica: sono stati pagati tutti gli arretrari ed è stata quasi del tutto sospesa la cassa integrazione. Quel poco che ne rimane è del tutto egualitaria e con l’obbiettivo di non lasciare nessuno a casa (riduzione orario e piena occupazione). Il solo punto rivendicativo non ancora strappato è però proprio il primo: la cacciata del Direttore dallo stabilimento. Nel frattempo il lavoro continua, con piccoli-grandi episodi di insubordinazione. Ne ricordiamo uno per tutti, che ci è stato racontato dagli stessi operai pochi giorni fa. Alcuni operai simpatizzanti del comitato di fabbrica all’insaputa delle r.s.u. hanno inventato delle ragioni fittizie per chiedere ai sindacalisti di convocare un’assemblea. In realtà poi la stessa è stata trasformata in un’assemblea del comitato di fabbrica in orario di lavoro (diritto riservato come è noto solo ai sindacati complici), togliendo la parola alle r.s.u e utilizzandola per eleggere 5 delegati del comitato per i prossimi delicati giorni di lotta. Un episodio, fra i tanti marginali, che speriamo dia il senso del clima che si respira in questi giorni.

Nell’estate è prevedibile una certa tregua, sia per le richieste strappate che per le ferie che permetteranno al padrone di tenere chiuso lo stabilimento. Le richieste strappate non devono però trarre in inganno e far sperare in una troppo facile vittoria. La notizia di questi giorni è che il padrone, mentre concedeva al comitato di fabbrica molto di quanto rivendicato, nel frattempo chiedeva al governo tutte le ore di cassa intregrazione mancanti. Ufficialmente in via cautelativa. Ma la prima cosa che viene in mente è la chiusura dello stabilimento dopo l’esaurimento dell’ultima dose di cassa intregrazione. Insomma, dopo aver ceduto, potrebbe volersi vendicare chiudendo lo stabilimento, o vendendolo ai padroni francesi venuti a fargli visita.

Per questo è importante che il comitato di fabbrica e quello di solidarietà si radichino e che siano pronti ad una possibile nuova e più drammatica crisi, difendendo se serve gli stessi mezzi di produzione dalle grinfie del padrone.

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