REPUBBLICA e CORRIERE accolgono con
grande favore il pacchetto di privatizzazioni del governo pur considerandolo
insufficiente. Apprezzata soprattutto la volontà di sottrarsi alle pressioni di
lobby e corporazioni.
Addirittura entusiasta il commento del FOGLIO.
REPUBBLICA SAB. 1/7/2006 MASSIMO RIVA
A sessant´anni dalla caduta del regime fascista, l´Italia
sta cominciando a muovere i primi passi per disboscare le sacche di resistenza
dell´economia corporativa. Questa è la grande sorpresa che è uscita ieri da un
Consiglio dei ministri convocato per sciogliere la spinosa questione delle
missioni militari all´estero e per definire la manovra di aggiustamento dei
conti pubblici 2006. Una sorpresa lieta e davvero inattesa, il cui peso
politico ed economico per certi versi rivoluzionario oscura o comunque relega
per il momento in secondo piano le altre pur importanti decisioni del governo
Prodi.
Una volta tanto, infatti, la bussola delle scelte è stata puntata
sull´interesse dell´insieme dei cittadini in quanto consumatori di beni o
utenti di servizi. E non più, finalmente, sul tornaconto di questa o quella
categoria o – per dirla più schietta – di questa o quella corporazione.
Le novità sono tante e tutte positive.
Per esempio, si potrà acquistare
l´aspirina al supermercato a prezzo ovviamente scontato, non si dovrà
sottoporsi all´esoso dazio dei notai per il passaggio di un´automobile da Tizio
a Caio, le licenze dei taxi saranno liberalizzate. E ancora: le assicurazioni
dovranno passare all´indennizzo diretto per i sinistri stradali, mentre le
banche non potranno più continuare – a ogni variazione del saggio di sconto –
l´odiosa pratica di alzare i tassi a loro beneficio lasciando immutati quelli a
favore dei depositanti. Se cambiamento c´è, dovrà essere parallelo,
concomitante e speculare.
Certo, in un paese nel quale importanti settori – dall´energia alla
televisione, dai telefoni ai trasporti – sono tuttora soggetti al dominio di
monopoli o oligopoli pubblici e privati, ben altre e robuste battaglie
attendono un governo che voglia davvero liberalizzare il sistema economico. Ma
il fatto che ieri, insieme alle prime misure accennate, il Consiglio dei
ministri abbia approvato anche un rafforzamento dei poteri dell´Autorità antitrust
fa sperare che la giusta guerra ai privilegi antimercantili sarà condotta con
la determinazione necessaria.
La prima prova in proposito dovrà comunque essere data dal governo stesso. È
scontato, infatti, che notai, tassisti, banchieri, assicuratori e farmacisti
faranno di tutto in piazza e durante l´esame parlamentare del pacchetto del
ministro Bersani per difendere le loro posizioni di rendita o, quanto meno, per
contenere l´impatto liberalizzatore del provvedimento. Così come è prevedibile
che l´opposizione – almeno nella sua parte più nostalgica dell´economia in
camicia nera – cercherà di cavalcare la protesta delle categorie colpite:
non per caso l´ex-ministro Storace ha già annunciato «scontro frontale» in
materia.
Quindi le decisioni prese ieri dal Consiglio dei ministri meriteranno davvero
la qualifica di svolta storica per l´economia del paese solo e unicamente se il
governo Prodi saprà resistere a questi assalti e mandare in porto il
provvedimento senza cedimenti. Contro i difensori delle rendite corporative,
dovrà essere fatto valere l´interesse generale a eliminare ogni ostacolo al
dispiegarsi dei benefici della concorrenza sul mercato. È questo un punto
cruciale che Romano Prodi e i suoi ministri dovranno spiegare con grande
chiarezza a tutti gli italiani, mobilitandoli come Orazi nello scontro contro i
Curiazi del notariato, delle farmacie, delle banche e così via. La
competitività del sistema, terreno sul quale da tempo l´Italia è in netta
discesa in tutte le classifiche internazionali, si gioca essenzialmente su
questa partita delle liberalizzazioni. Ecco perché un insuccesso del pacchetto
Bersani non segnerebbe soltanto la sconfitta di un governo, ma l´accelerazione
di quel declino economico che incombe sul paese.
Un´altra partita vitale per scongiurare questa medesima minaccia è quella
affrontata ieri dal Consiglio dei ministri sul terreno dissestato dei conti
pubblici. L´attesa manovra correttiva è stata opportunamente contenuta e non
prevede né lacrime né sangue sia per i cittadini sia per il sistema economico.
Si è lavorato, per dirla con un´espressione dello stesso Prodi, soprattutto di
cacciavite in materia di Iva, togliendo di mezzo tutta una serie di scappatoie
elusive del tributo che il fine fiscalista Tremonti aveva singolarmente tralasciato.
Al tempo stesso scomparirà quello scandaloso privilegio delle «stock options»
che garantiva a una sparuta minoranza di redditi elevati di assolvere l´obbligo
fiscale con un´aliquota ridicola. Il tutto dovrebbe comportare un vantaggioso
aumento della base imponibile, pur lasciando invariate le aliquote del
prelievo.
Se ciò basterà a garantire una riduzione dell´infausto deficit corrente e a
dare le risorse per i cantieri delle grandi opere infrastrutturali, che
giustamente il governo non vuole chiudere, è questione aperta. Certo è che la
lotta dichiarata dal governo Prodi all´evasione fiscale può dare frutti
importanti. Quel che ieri non è stato detto ma traspare dalle decisioni di
Palazzo Chigi è che si è potuto contenere il peso della manovra-bis perché
le prime stime sul gettito dell´autotassazione di giugno sono più che buone.
Fatto questo del tutto sorprendente atteso che si trattava degli incassi
relativi al 2005, anno di crescita economica zero. Un´unica spiegazione si può
dare a questo singolare fenomeno: è bastato l´insediamento di un governo che
annunciasse la fine dei condoni e la lotta dura contro l´evasione per ottenere
uno spontaneo aumento del gettito fiscale. Ecco un altro punto cruciale sul
quale Romano Prodi non dovrà arretrare di un passo.
CORRIERE Sab. 1/7/2006
FRANCESCO GIAVAZZI
COLPO ALLE LOBBY
Un buon avvio. La situazione difficile dei nostri
conti pubblici non è la causa prima, bensì la conseguenza del virus che ha
colpito l’Italia. Il nodo è la scarsa libertà economica, i mille vincoli che
impediscono alle imprese di crescere, un mercato del lavoro che protegge chi un
posto ce l’ha a scapito di chi ne è escluso, uno scarso senso civico che –
complici i condoni di Tremonti – induce tanti e soprattutto i più furbi e
abbienti ad evadere il fisco. Il «pacchetto Visco» affronta il problema fiscale
in modo corretto: chi non evadeva pagherà quanto prima; per chi evade sarà più
complicato non pagare le tasse. Con una sana eccezione: le stock options verranno
tassate come ogni altro reddito da lavoro eliminando un privilegio che favoriva
i ricchi a scapito dei meno fortunati.
Il valore del «pacchetto Bersani» non sta tanto nelle singole misure,
peraltro significative (farmacie, notai, professionisti, class action,
tassisti, RC auto, conti correnti), bensì nel segnale che finalmente si ha
il coraggio di non sottomettersi alla pressione delle lobby. Finora nessuno
c’era riuscito. Nelle ultime settimane notai e farmacisti avevano lanciato
una campagna pubblicitaria battente acquistando pagine di giornali e spazi
radiofonici. Aver saputo resistere a questa pressione è un segnale importante.
All’interno della maggioranza di governo il merito va in particolare alla
Rosa nel Pugno, che ha fatto del liberismo la sua bandiera e non ha abbandonato
la battaglia, nonostante sia stata ripetutamente strapazzata dagli
elettori. Questo risultato dovrebbe far riflettere chi, come Roberto Villetti,
oggi propone di sciogliere la Rosa, un partito che dimostra di avere una funzione
di pungolo purtroppo rara nella politica italiana.
Tuttavia non lasciamoci abbagliare. Le norme approvate ieri sono state
scelte con cura in modo da non far sorgere problemi all’interno della
maggioranza: nulla sul lavoro, né sui dipendenti pubblici, né sull’università.
I pacchetti Visco e Bersani hanno molti oppositori, ma nessuno all’interno
della maggioranza: così le scelte davvero difficili sono state rinviate.
Ne è la prova la manovra correttiva proposta ieri. «Da anni gli stipendi dei
dipendenti pubblici sforano sistematicamente ogni limite prefissato. Nel 2005
sono aumentati del 4 per cento, cioè il doppio dell’obiettivo programmatico. Da
anni la spesa corrente delle pubbliche amministrazioni schiva i ripetuti,
multiformi tentativi di porvi un freno»: questo il giudizio espresso ieri
l’altro dalla Corte dei Conti. «Un’analisi condivisibile» ha commentato il
ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa. E allora? Se si condividono
queste valutazioni non si può aspettare una Legge finanziaria che entrerà in
vigore fra sette mesi per arrestare la corsa delle spese. Due anni fa Sergio
Marchionne fu assunto dalla Fiat per tentare di evitare la bancarotta
dell’azienda. Le spese correvano e le vendite di automobili languivano: che
cosa avrebbero fatto gli azionisti se al primo consiglio di amministrazione
Marchionne avesse detto: «Non preoccupatevi, fra sette mesi fermerò la corsa
delle spese»?.
Prodi dice che i tagli occorre farli «con calma e con la testa». Vero, si
può però iniziare. Ad esempio dalla proposta di Nicola Rossi di pre-pensionare
100.000 dipendenti pubblici. Poi dall’Ufficio italiano dei cambi: i controlli
valutari sono stati cancellati diciassette anni fa, ma ci sono ancora 600
dipendenti. I quotidiani italiani hanno ricevuto lo scorso anno contributi
pubblici per l’acquisto di carta pari a circa 40 milioni di euro: erano davvero
tutti necessari? Solo qualche esempio.
FOGLIO Sab. 1/7/2006
Dalla parte di Bersani
Il coraggio di un ministro che osa
sfidare le corporazioni senza concertare
Era quello che avrebbe
dovuto fare il governo di centrodestra il giorno numero uno del suo
insediamento. Prova a farlo un governo di centrosinistra, dando una buona prova
di coraggio. Le
misure proposte dal ministro Pierluigi Bersani – che battono per concretezza
ed efficacia le misure tutte di cassa della manovrina di correzione dei conti
pubblici – sembrano radicali: abolizione del divieto di pubblicità e
delle tariffe minime e massime previste per gli studi professionali; la
soppressione del monopolio delle farmacie riguardo alla vendita di farmaci di
banco che potranno essere venduti nei supermercati (da un farmacista assunto),
la fine del regime di esclusiva per gli agenti assicurativi (che in teoria
comporterà un’immediata iniezione di concorrenza nel settore delle
assicurazioni, perché dovrebbe facilitare l’affermazione sul mercato di
prodotti più convenienti promossi dagli agenti che diventeranno plurimandatari:
e infatti l’idea è stata subito attaccata dagli assicuratori). Infine gli
interventi più simbolici: quello che introduce elementi di liberalizzazione
per i taxi e un primo colpo alla rendita di posizione dei notai esclusi dal
passaggio di proprietà per l’acquisto di un’auto. Naturalmente è subito
cominciato un triste fuoco di sbarramento. La reazione del rappresentante di
Federfarma – secondo il quale la decisione di intervenire sulla
liberalizzazione della vendita dei farmaci sarebbe stata presa “senza tener
conto che era stato preannunciato un tavolo di concertazione con gli operatori”
e il metodo smentirebbe la volontà espressa dal governo “di voler operare
all’insegna della massima condivisione degli obiettivi da parte delle
istituzioni e degli operatori” – fa di Bersani quasi un piccolo Margaret
Thatcher. Nessuna concertazione, nessuna notizia trapelata, anticipata,
filtrata per sondare l’opinione pubblica e precostituire il terreno politico,
sociale e pure psicologico per uno stop preventivo. Invece, operazione
rapida e secca, peraltro in linea con la storia di Bersani, due legislature fa
autore di una prima riforma di liberalizzazione del commercio. Adesso ci
sarà la battaglia corporativa in difesa delle rendite di posizione per
indebolire le misure prima che diventino legge. La speranza è che i
conservatori vengano sconfitti.