CORRIERE Ven. 17/2/2006 Massimo Nava
Teheran accusa la Ue: «Solo propaganda, fate eco alla America
PARIGI – Con la giustificazione
di un programma nucleare civile, l’Iran sta sviluppando un «programma nucleare
militare clandestino». Per molti osservatori è il segreto di Pulcinella, ma
detto senza sfumature diplomatiche dal ministro degli Esteri francese,
Philippe Douste-Blazy, ha il tono dell’accusa diretta e accredita
l’impressione che i margini di controllo sulle reali intenzioni di Teheran si
stiano assottigliando. «La Comunità internazionale – ha aggiunto il ministro –
ha inviato un messaggio molto fermo alle autorità iraniane, chiedendo di
ritornare alla ragione e sospendere il programma nucleare, ma non è stato
ascoltato».
Se si ricorda il discorso di Chirac sulle nuove regole della dottrina
nucleare e sulla possibilità di difendersi dalla minaccia di «nuove potenze
regionali», le parole del ministro confermerebbero un atteggiamento più rigido
della diplomazia francese, non solo sul dossier iraniano. Siria, Libano, Haiti
e Costa d’Avorio sono punti caldi del pianeta sui quali c’è maggiore identità
di vedute con Washington. Il dissenso sull’Iraq è davvero storia di ieri.
Un portavoce del Quai d’Orsay ha tuttavia precisato che nelle parole del
ministro non vi è nulla di nuovo nella posizione francese. «La Francia non
ha mai ostacolato un programma nucleare civile, ma le attività in corso fanno
dubitare della natura civile e pacifica di tale programma. Sono gli stessi
dubbi espressi dall’ Aiea , dai partner europei e dalla comunità
internazionale».
Le parole del ministro francese hanno fortemente irritato il governo
iraniano. Il capo dei negoziatori di Teheran, Lariani, ha detto che i
diplomatici «anziché alzare i toni, dovrebbero cercare soluzioni al problema.
Noi – ha aggiunto – non vogliamo avere la bomba e per questo abbiamo
sottoscritto il trattato di non proliferazione. Siamo un Paese responsabile.
L’Unione europea non deve fare eco alle posizioni americane». Alla radio
francese, il rappresentante iraniano ha descritto scenari possibili in caso di
iniziative contro il suo Paese, compresa l’opzione militare. «Noi non
vogliamo essere i primi a comportarci in questo modo», lasciando capire che
l’Iran potrebbe usare il petrolio come arma di difesa e pressione.
Lo scambio di dichiarazioni fra Teheran e Parigi è stato seguito con
apprensione nelle capitali impegnate nella soluzione di un dossier in cui anche
le sfumature di linguaggio possono avere un peso determinante.
La precisazione del Quai d’Orsay ha smorzato i toni. Nel pomeriggio, il
ministro degli Esteri britannico, Jack Straw ha espresso identità di vedute con
il collega francese, confermando «dubbi e sospetti» sulle intenzioni di
Teheran. «Non abbiamo prove assolute – ha detto – ma abbiamo forti sospetti.
Riteniamo che l’Iran non adempia ai suoi molti chiari obblighi rispetto al
trattato di non proliferazione. Teheran si è messa dalla parte sbagliata
rispetto ai suoi impegni».
Le dichiarazioni di Douste-Blazy sono state accolte con soddisfazione dalla
resistenza iraniana in esilio, a Parigi. «Quello che ha detto Douste-Blazy
non è altro che quanto denunciato nei dettagli dalla resistenza» ha detto
Maryam Rajavi, leader del Ncri, il comitato che unisce vari gruppi e
organizzazioni. Pur ospitando l’opposizione, la Francia considera una delle
principali organizzazioni – i mujaheddin del popolo – come una formazione
terroristica. Questa è anche la posizione della Comunità europea, assunta
al tempo in cui si volevano incoraggiare svolte riformiste a Teheran. Il
dossier iraniano è complicato anche dalla situazione in Iraq, dove si starebbe
intensificando l’ingerenza del regime iraniano. In Iraq , dal tempo di Saddam
Hussein, esiste anche una forte presenza armata di oppositori a Teheran,
concentrata al confine con l’Iran, nella regione di Ashraf. La zona, durante il
recente conflitto, è stata bombardata da forze americane, secondo un accordo
con il regime per prevenire ingerenze. Un’operazione confermata dalle autorità
militari americane, secondo quanto riferisce il Wall Street Journal.