Siamo forti quando parlano di noi
o parlano di noi quando siamo forti?
Da tempo sosteniamo la necessita’, da parte del movimento operaio, di superare forme desuete, rituali e prevedibili di “lotta”, totalmente imprigionate da leggi, regole e normative che le rendono sempre piu’ inoffensive.
All’alba del terzo millennio, percorso dalla piu’ grave crisi capitalistica dal dopoguerra, gli scioperi sono imprigionati dalle leggi antisciopero, i cortei dai protocolli comuni-sindacati, le rappresentanze aziendali truccate ed eterodirette.
La svolta nei metodi e nelle forme di lotta si sta affacciando in Europa, mettendo in discussione i vecchi rituali del movimento operaio statalista, stalinista, legalitario, tutto codici e normative.
La scarnificazione sociale prodotta dalla crisi sta muovendo verso una nuova autonomia operaia multirazziale che individua il nemico di classe, lo persegue, lo sequestra, lo colpisce e lo obbliga alla trattativa da condizioni di forza ritrovate.
E’ un processo appena cominciato, appena visibile ed ancora troppo poco collegato, ancor meno cosciente ed organizzato, ma comunque concreto, innervato nella materialita’di classe.
Anche in Italia, nonostante la scarsa reattivita’ operaia alla crisi, alcuni esempi ( anche vittoriosi! ) in questa direzione si stanno avendo ( Innse ma non solo ); la combattivita’ di classe costringe a piu’ miti consigli dirigenti e manager, attraverso azioni senza preavviso, non necessariamente di massa, ma sostenute dalla massa dei lavoratori.
In questo senso vanno le occupazioni di sedi, uffici, tetti, e i “sequestri” dei padroncini cui stiamo assistendo in queste ultime settimane.
Azioni operaie dirette, senza mediazioni sindacali, che fanno sindacato, avanzando richieste, contrattandole, a volte vincendo.
Azioni operaie dirette, espressione di un braccio di ferro nei rapporti di forza con il loro padrone.
In questo senso, e da questo punto di vista, crediamo siano da sostenere e diffondere.
Altra cosa e’ l’emulazione di altri strati sociali, altra cosa e’ l’effetto alone che queste azioni possono produrre nella societa’ dello spettacolo e della “notizia che buca”.
Bucare la notizia puo’ essere l’effetto di una lotta, della durezza e dei nuovi strumenti di questa lotta, ma se la lotta non c’e’, la notizia e’ virtuale, senza conseguenze, subito macinata dal turbinio mediatico.
Insomma, se sui tetti cominciano ad arrampicarsi tutti, l’inoffensiva spettacolarizzazione e’ dietro l’angolo, col risultato di rendere compatibile ed usuale anche quella che si vorrebbe una novita’.
Insomma, se sui tetti comincia ad arrampicarsi di tutto, “avanguardie”senza masse e “onde” senza mari , all’azione diretta funzionale alla lotta, si sostituisce la voglia di passaggio mediatico.
Vogliamo dire che qualsiasi azione, anche eclatante, se non e’ espressione di una lotta in corso, se non tenta di spostare i rapporti di forza tra le classi, diviene inutile, quando non emulata ed utilizzata da apprendisti politicanti.
Mettersi al riparo da questi pericoli significa ribadire l’interesse operaio nel colpire i rapporti capitalistici di produzione e ad intaccare i rapporti capitalistici di distribuzione, rispettivamente con lo sciopero e con la lotta per il salario.
Solo cosi’ si colpisce il padrone, nella sua produzione e nella sua torta di reddito.
Con questa strategia, e la necessaria organizzazione, ogni forma di azione diretta tesa a farsi sentire diviene un’espressione della forza dei lavoratori, non della loro solitudine, della loro disperazione, del loro arrampicarsi sui tetti…… e sugli specchi!
combat
commissione lavoro