La frontiera tra USA e Messico è sempre più terreno di scontro tra i due paesi. I numeri altissimi e inediti di migranti che cercano di passare il confine, hanno portato nel 2018 alla formazione di numerose carovane composte da centroamericani (in particolare dal cosiddetto Triángulo Norte Honduras – Guatemala – El Salvador), cubani e africani che attraversano il Messico per raggiungere il Nord America.
Al presidente messicano Andrés Manuel López Obrador (AMLO) che ha parlato di “amicizia” tra i popoli messicano e statunitense in vista di un incontro ufficiale tra delegazioni governative, Donald Trump ha seccamente replicato che “dopo 25 anni di parole” sull’immigrazione vuole vedere i fatti. “Potrebbero risolvere il problema in un giorno, se lo volessero”. E il 30 maggio (con un tweet) il presidente statunitense ha annunciato l’imposizione di “aranceles”, ovvero dazi supplementari e progressivi (dal 5% in giugno fino al 25% in ottobre) sui prodotti importati dal “giardino di casa” se non verrà arrestata l’ondata di migranti clandestini che dal Centro America attraversano il Messico per raggiungere gli USA. Un provvedimento che, peraltro, qualora fosse applicato entrerebbe in contraddizione con l’originario Tratado de Libre Comercio de América del Norte (TLCAN) e il suo subentrante, il Tratado México-Estados Unidos-Canadá (T-MEC). In molti tendono a catalogare l’uscita di Trumpo come l’ennesima sparata. Secondo il Centro de Estudios Económicos del Sector Privado (CEESP), emanazione dell’equivalente messicano della Confindustria, l’uscita di Trump sarebbe finalizzata ad obbligare il Messico a stringere sui controlli alle frontiere.
Un’imposizione che inizialmente significherebbe almeno 17 miliardi di dollari, che però diverrebbero 86 secondo la sottosegretaria al Commercio Estero del ministero dell’economia messicana Luz María de la Mora, considerando l’alta richiesta di prodotti messicani negli USA. Il Messico rappresenta la seconda potenza economica dell’America Latina dopo il Brasile, ed il primo partner commerciale con gli USA, per un valore di affari di oltre 150 milioni di dollari nel primo trimestre 2019.
La sanzione colpirebbe aziende come General Motors e Fiat Chrysler, che utilizzano componentistica e ricambi prodotti in Messico; ma ad essere colpiti sarebbero più settori, dalle aziende di elettronica (il Messico produce accessori computer per 2,5 milioni di dollari l’anno) a quelle produttrici di bevande alcooliche.
Secondo Jim Tankersley, analista del «New York Times», la politica protezionista di Trump metterebbe a rischio la sua rielezione; è stata criticata da economisti dell’entourage presidenziale, sui cui incombe la minaccia di rimozione. Dalle fila degli stessi repubblicani sono emerse critiche all’apertura di un secondo fronte di guerra commerciale col Messico, essendo in corso quello con la Cina.
All’annuncio dei dazi ha fatto seguito la disposizione per l’invio di decine di agenti del Dipartimento di sicurezza statunitense in Guatemala, in accordo col governo locale, con l’obiettivo di combattere l’immigrazione clandestina.
La presa di posizione di Trump ribalta la strategia in auge fino a metà maggio, ovvero la cosiddetta “migración ‘basada en el mérito”, ovvero il consentire l’ingresso negli USA di potenziali lavoratori qualificati. Il suo principale sostenitore è stato Jared Kushner, genero di Trump, è l’artefice di questa iniziativa supportata da vari gruppi conservatori al fine di attrarre “i migliori e i più brillanti del mondo”.
Se i capitalisti statunitensi sono preoccupati per la possibile perdita dei buoni affari con la borghesia messicana e di nuove braccia e menti da sfruttare, a noi comunisti preme la sorte dei lavoratori, messicani o meno, che cercano di passare la frontiera per trovare un futuro migliore: il Messico è attraversato da una marea umana di migranti centroamericani, cubani ed anche africani senza precedenti. Sono numeri impressionanti quelli delle ondate migratorie da sud a nord del continente americano. I migranti viaggiano a piedi, oppure a bordo (o meglio sul tetto) de “La Bestia”, il treno merci che percorre il Messico da sud a nord, chiamato così per gli innumerevoli migranti e profughi che perdono la vita nel viaggio, o con altri mezzi di fortuna. Finiscono nelle mani degli agenti della migración e delle bande di narcotrafficanti. Subiscono minacce, torture, amputazioni, sparizioni. Ci preme la sorte dei lavoratori degli Stati Uniti, siano essi autoctoni da generazioni o immigrati, che vengono sfruttati dai capitalisti loro compatrioti e dal capitale internazionale.
La borghesia statunitense ha buon gioco a mettere i lavoratori autoctoni contro gli immigrati, così come quella latinoamericana ad addossare le colpe dell’ingiustizia sociale al solo capitale straniero. Il nostro compito è quello di unire questi lavoratori perché rivolgano le proprie forze contro i propri veri nemici, per un mondo senza le frontiere che rendono disumane le migrazioni (senza però riuscire a impedirle) e senza lo sfruttamento e la povertà che le provocano.