L A RIFORMA DELLA PAC-I nuovi premi «falciano» il grano

autore: ALESSANDRO MASTRANTONIO

L A RIFORMA DELLA PAC Via al sistema del disaccoppiamento: semine di frumento duro in calo fra il 30 e il 50%

Il diritto all’aiuto è sganciato dalla produzione: 800mila le aziende interessate Per l’Italia budget di 2,8 miliardi.ROMA • Al via la deregulation degli aiuti comunitari a favore dell’agricoltura. Dopo circa mezzo secolo di onorato servizio, i vecchi meccanismi della Pac — prima con la politica dei prezzi garantiti, poi con gli aiuti a ettaro — voltano pagina per imboccare la via del disaccoppiamento. Il diritto al premio resta, ma sulla base di una rendita storica calcolata sul triennio 2000-2002 e, soprattutto, sganciato dalla produzione. Questa la regola di base prevista dalla riforma Ue, che l’Italia ha sposato in pieno: scegliendo il disaccoppiamento totale. E decidendo, a differenza di altri partner comunitari (come ad esempio la Francia, partirà nel 2006 e con un disaccoppiamento parziale) di partire già da quest’anno.
Una fase di rodaggio molto complicata, visto anche l’elevato numero di aziende interessate — circa 800mila nel settore dei seminativi e della carne bovina e ovi-caprina, ma dal prossimo anno toccherà anche a latte, olio d’oliva e tabacco — e le oggettive complicazioni per ricostruire gli importi del triennio di riferimento e la successiva assegnazione ai singoli produttori. Il nuovo premio, una sorta di «titoli al portatore» in cui sarà frazionato il budget di 2,8 miliardi assegnato all’Italia, potrà anche essere ceduto; per poterlo riscuotere, basterà abbinarlo a un corrispondente numero di ettari, che non dovranno essere necessariamente coltivati.
Ed è proprio questo sganciamento dalla produzione, unito all’unificazione dei premi — una volta articolati per i diversi prodotti — che potrebbe modificare in modo radicale la mappa produttiva dell’agricoltura italiana. Le prime indicazioni, piuttosto allarmanti, arrivano proprio dalle semine di grano duro. Un prodotto simbolo della filiera della pasta made in Italy, difeso a spada tratta dall’Italia in sede di negoziato, con la possibilità di legare il 40% del premio alla produzione, per poi abbandonarlo nel momento delle scelte applicative al destino del disaccoppiamento totale.
Dopo le prime proteste dell’industria di trasformazione e dei produttori di sementi, che avevano lanciato l’allarme su un possibile ridimensionamento di questa coltivazione nel Mezzogiorno (dove ci sono poche alternative produttive), arriva ora un primo bilancio delle semine. E proprio per il grano duro, di cui l’Italia è già deficitaria per il 25%, il verdetto è molto pesante. Il pendolo delle stime dell’Associazione italiana sementi (Ais), oscilla da un calo del 30% fino a un crollo del 50%. «Le semine di frumento duro stanno crollando — afferma il direttore, Marco Nardi — e le nostre aziende si ritrovano con grossi quantitativi di sementi invendute». Un’ulteriore conferma viene dall’Ense, l’ente che certifica le sementi: a fine dicembre ne erano stati certificati 3 milioni di quintali, contro i 4,4 dell’annata precedente.
Anche per gli altri cereali è prevista una profonda revisione delle scelte. Una volta, a tracciare la rotta degli investimenti erano i contributi comunitari (basti pensare all’abbandono della soia, dopo che il premio dell’Unione europea era stato unificato a quello dei cereali); ora, invece, dovrebbero essere pilotate dalle attese sui prezzi di mercato o dalle produzione che garantiscono un miglior rapporto costo-produttività. Sempre che non si decida di non produrre. L’Italia ha scelto anche di utilizzare la leva del bonus-qualità con un fondo alimentato da un prelievo sui premi (8% per i seminativi e 7% per i bovini), ma la banalizzazione dei criteri per accedervi ne ha fortemente ridimenzionato l’utilità, svuotando così di contenuto strategico la valorizzazione della qualità, che nella sfida sui mercati agricoli avrebbe potuto degnamente rimpiazzare il forte dirigismo dei vecchi meccanismi comunitari.

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