Khalilzad, l´arma “segreta” di Bush «Parlerò con l´Iran per salvare l´Iraq»

USA, IRAQ, IRAN

REPUBBLICA Sab. 18/3/2006 Alberto Flores D´Arcais
L´ambasciatore Usa a Bagdad incarna una svolta imprevedibile nelle relazioni
tra i due nemici


Afgano di nascita, studente
in California, ha dietro la forza di Condoleezza Rice

NEW YORK – La mattina dell´11 settembre 2001 Zalmay
Khalilzad si trovava nella "situation room" della Casa Bianca per un
meeting di routine con Condoleezza Rice e altri esperti di politica
internazionale. Fu lui il primo, mentre il gruppo veniva scortato dai servizi
segreti lungo Pennsylvania Avenue nelle caotiche ore seguite all´attacco dei
kamikaze di Al Qaeda a puntare decisamente il dito contro Osama bin Laden e il
regime di Kabul.
Nessun americano meglio di Khalilzad (attuale ambasciatore Usa a Bagdad)
poteva conoscere e capire cosa passasse nella testa dei Taliban
; per il
semplice fatto che quell´uomo di cinquant´anni, esperto in strategia
internazionale e armi nucleari – diventato cittadino americano solo diciassette
anni prima (1984) – veniva proprio dall´Afghanistan: e nel corso degli
ultimi due decenni si era battuto per fare avere ai mujahiddin di Bin Laden i
missili Stinger per combattere l´Armata Rossa mentre con i Taliban del mullah
Omar aveva avuto in comune non solo la lingua ma anche qualche business
.

Uomo-chiave per la politica della Casa Bianca lungo l´asse Afghanistan-Iraq
l´ambasciatore viene chiamato adesso a un altro compito impossibile: quello di
rappresentare l´America nel primo incontro che la superpotenza avrà con i
teocrati iraniani dal 1979
, quando gli "studenti" attaccarono la
sede diplomatica di Washington prendendo in ostaggio decine di persone.
Ufficialmente si parlerà solo di Iraq. Khalilzad lo dice e lo ripete,
l´incontro – che del resto deve ancora essere ancora confermato e organizzato
nei dettagli – si farà solo perché così chiedono gli attuali governanti
iracheni: «Siamo pronti a parlare con tutti i vicini dell´Iraq, incluso
l´Iran. Ma, sia chiaro, non si tratta di negoziare il futuro dell´Iraq con
loro». In realtà Washington vuole andare a "vedere" le carte di
Teheran dopo che l´intelligence americana ha avuto ripetute conferme delle
infiltrazioni che attraverso il confine tra Iran e Iraq raggiungono gli
"insurgents" delle milizie sciite e i terroristi di Al Qaeda
. E
poi l´ambasciatore è il vero regista nella formazione del nuovo governo di
Bagdad, tanto che ieri si è spinto quasi a sfiduciare l´attuale premier Ibrahim
al-Jafaari
: «Non è la figura unificante di cui l´Iraq ha bisogno a capo del
prossimo governo».
Nei colloqui sarà escluso «tassativamente» qualsiasi accenno al nucleare;
lo dice Condoleezza Rice, lo conferma l´ambasciatore, lo ripetono i portavoce
di Casa Bianca e Dipartimento di Stato. Ma già il fatto di sedersi attorno a un
tavolo di trattativa ufficiale dopo 27 anni è segno di disgelo e la storia ci
insegna che quando due acerrimi nemici accettano di dialogare non si possono
escludere sorprese.
Ieri la Casa Bianca ha minimizzato le attese timorosa, se l´incontro dovesse
saltare, di vedersi addossato un insuccesso di cui in questo momento non ha
proprio bisogno; ma al Dipartimento di Stato sono più ottimisti, convinti
dell´idea e soprattutto delle capacita dell´uomo chiamato al dialogo. Perché Khalilzad
– l´uomo che nelle trattative seguite alla guerra in Afghanistan
, condotte
in coppia con l´inviato dell´Onu Brahimi, venne definito il «bad cop», il
poliziotto cattivo (quello buono era ovviamente l´Onu) – è un duro, un
falco, ma è forse l´unico oggi in grado, per la sua storia personale, di un
"confronto-scontro" con gli emissari degli ayatollah
. E del resto
Khalilzad con gli iraniani si è già incontrato più di una volta, («non è
una novità per me, mi conoscono, sanno da dove vengo, parlo la loro lingua
correntemente») quando era ambasciatore in Afghanistan.
Nato 55 anni fa da una ricca famiglia di Mazar-i-Sharif, studente modello fin
dalle elementari, deve le sue fortune, oltre alle indubbie capacità, a una di
quelle circostanze che improvvisamente ti cambiano la vita; per il ragazzo
Zalmay si presentò sotto forma di uno scambio studentesco che lo paracadutò
dalla capitale afgana in un paesotto vicino alla cittadina di Modesto in
California; ospite di una famiglia il cui padre lavorava nella prestigiosa
vineria Gallo.
Da quell´esperienza americana viene segnato a fondo, si innamora di alcuni dei
valori fondanti degli "States" e del modo di vivere della Nord
California; tornato in Afghanistan si iscrive all´università di Kabul ma solo per
trovare una nuova strada che lo facesse tornare in America. Trova una borsa di
studio che lo porta nel 1970 all´università americana di Beirut, che allora era
ancora la «Svizzera del Medio Oriente», città cosmopolita e francofona, centro
di incontro tra diverse culture e religioni. Lì conosce anche la sua futura
moglie, Cheryl, e quattro anni dopo, alla vigilia della guerra civile libanese,
inizia la sua avventura americana. Che lo porterà alla laurea in scienze
politiche a Chicago, alla passione per la strategia nucleare, alla conoscenza e
amicizia con Richard Perle e Paul Wolfowitz, al periodo di lavoro alla Columbia
con il "falco democratico" Zbigniew Breszinski fino all´ingresso nei
circoli che contano di Washington.

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