Il “ciellino”Angelo Scola? Oppure in “ratzingeriano d’Oltreoceano” Odilo Pedro Scherer? L’istituzionale americano Marc Quellet? Oppure l’”emergente” asiatico Luis Antonio Tagle?
Nulla di tutto ciò signori. Spunta dal Conclave (una votazione molto veloce, poco più di quella che aveva eletto Ratzinger nel 2005) una figura a “sorpresa”: Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, 76 anni, gesuita, dal 2005 al 2011 presidente della Conferenza Episcopale Argentina. Di origini piemontese, figlio di un ferroviere, sembra assumere le sembianze del papa “pontiere” tra il continente Latino- Americano e l’Europa.
In America Latina la chiesa cattolica ( che nel mondo conta 1 miliardo circa di “anime”) soffre da tempo di una sindrome da “perdita del primato”, grazie soprattutto all’azione “concorrenziale” delle chiese protestanti e delle sette, lautamente finanziate dai capitali statunitensi. Non che noi dobbiamo credere alla palla della “chiesa dei poveri” (che non esiste), ma sicuramente esistono negli USA dei gruppi che hanno interesse a “disarticolare” tutto quel magma socio-politico, non controllabile, ruotante attorno alla chiesa cattolica locale, e che spesso sfugge (come in passato é più volte successo) al “controllo” degli stessi vescovi, per non dire della Curia romana.
La chiesa sudamericana é una realtà molto composita e variegata, ma soprattutto é tutt’ora in prima fila nel contrastare e, nello stesso tempo, nel raccogliere, tutte le sfide della “modernizzazione”. Un papa dunque da “prima linea”, energico, nonostante l’età piuttosto avanzata, abituato a combattere sul campo e non nelle aule di teologia. Un papa “semplice”, “diretto”, addirittura “irrituale” (non entra in scena con addosso la stola, non assume pose da Re appena incoronato, chiede lui la “benedizione” ai fedeli prima di impartirla, dice”buonasera”, “buon riposo”, “ci vediamo tra poco”, come si potrebbe fare ognuno di noi con amici e conoscenti. Eppoi: non vive nei palazzi ma in appartamento, va in tram e non in auto blindata, si prepara da solo il pranzo…).
Ce n’è abbastanza per “costruirci” sù un “personaggio”, e questo sarà sicuramente fatto.
Sembra che alla fine la CEI, data per “determinante” nel Conclave, sia stata come “colta di sorpresa” da un voto reciprocamente autobloccante dentro il cosiddetto “partito dei curiali” (Scola, Scherer), per cui sarebbe spuntata fuori l’opzione più “garantista” verso una continuità governista dentro il Vaticano stesso; seppur magari più “rischiosa” per i mutamenti che questo cosiddetto esponente del “partito dei pastori” potrebbe apportare. A partire dagli incarichi dentro la Curia stessa; dopo che però il papa dimissionario ha “sistemato” temporaneamente la lotta interna al Governatorato dei Bilanci della santa sede e nello Ior, la banca vaticana. Anche se rimangono con tutto il loro impatto devastante sia le congiure di “palazzo” legate agli scandali finanziari, sia le numerose denuncie in giro per il mondo sulle collusioni vaticane verso la pedofilia.
Quando potremo capire meglio lo “staff” dirigente che affiancherà Bergoglio (rottura anche nel nome: mai stato un “Francesco” nella storia dei papi…; come non c’è mai stato né un gesuita nè tantomeno un sudamericano) potremo meglio valutare la “direttrice di marcia” che la chiesa cattolica si é data.
Una prima considerazione l’abbiamo fatta (“difesa” e pure “attacco” partendo dalla roccaforte del cattolicesimo). Questo ci dovrebbe far riflettere ancora una volta sul fatto che le “logiche” del Vaticano non sono logiche puramente riconducibili a come si muovono gli interessi del capitale. Certo, la chiesa vi é ben dentro. Essa é una “enorme sovrastruttura” capitalistica, per dirla con Marx, che usa ancora certamente pure delle ideologie feudali, facendole muovere nel circuito del mercato e del profitto…ma su un versante che è suo proprio. Cioè con delle forme, dei tempi di maturazione, delle ritualità, dei progetti, che non rientrano direttamente in un’ottica “aziendalistica” (che non sia la “sua” azienda”, cioè la chiesa- sovrastruttura). Detto in altri termini: una logica puramente di “mercato” (anche ideologico), dovrebbe aver da tempo “sbloccato” divieti come il divorzio, la pillola, il contraccettivo, l’aborto, il fine-vita ecc… Per non parlare poi delle “regole” interne sul celibato dei preti, il ministero femminile, l’ammissinone ai sacramenti ecc.
Eppure la chiesa cattolica, dentro mutamenti che pur sono già in atto e che potremmmo magari già “toccare” con questo papa, tiene ferma la “barra” tradizionale, dentro un involucro rigidamente verticistico: come forma “identitaria” di forte impatto, ma anche come “linea politica sul lungo periodo” che si collega all’ intervento ed al controllo verso le dinamiche demografiche e sociali a livello mondiale!
Di fronte a ciò, tutte le diatribe giornalistiche che vedono i contrasti interni alla chiesa in un’ottica parlamentaristica tra “destra” e “sinistra”, tra “conservatori” e “progressisti”, fanno sinceramente sorridere.
Innanzitutto, quanti hanno tenuto presente che il neo-eletto papa (amico di Martini, sembra) era stato nel 2005 secondo classificato nel Conclave che aveva scelto alla fine Ratzinger?
Eppoi: dire gesuita vuol dire mettere in campo una “potenza secolare” dentro la struttura di potere cattolica. E’ una Congregazione, quella dei gesuiti, che Gramsci forse definirebbe di “intellettuali organici”, cioé di militanti che mettono ben le mani in pasta nella politica con “elaborazioni proprie”. L’Ordine ha svolto un ruolo non secondario nella stessa America Latina in occasione delle guerre civili in Nicaragua ed in Salvador, tanto per citare dei casi. In Italia invece é capofila del cattolicesimo “progressista” che da sponsor di Romano Prodi ha virato negli ambienti finanziari di Mario Draghi e di Mario Monti…(loro alunni).
Bergoglio é noto per la sua vicinanza ai “poveri” e sarà mass-mediaticamente molto usato in questo senso, per non parlare dei “segni” di “ritorno al Concilio Vaticano II” che già appaiono dalle prime cronache di stampa su di lui, ma…a tempo. C’é pure un evidente problema interno alla chiesa cattolica: quello che viene definito “bisogno di “rinnovamento, inclusione, decentralizzazione”.
Uno che se ne intende, come Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, entrato nell’ottobre scorso a far parte degli “Adiutores Secretarii Specialis” (Direttivo Vaticano che sponsorizza l’ecumenismo militante) parla (“Sette” dell’ 8 marzo ’13) di “affiancare al papa una forma sinodale. Per tre anni i vescovi condividerebbero con lui il peso delle responsabilità, per non farlo sentire isolato.” Da notare che questa cordata dei “collegiali”, detenendo più di un terzo dei cardinali votanti (42 tra America Latina, Asia ed Africa, su un totale di 115), avrebbe in qualche maniera “drenato” voti sufficienti per mettere in minoranza quello che sembrava l’”inattaccabile” partito dell’”Appartamento papale” (67 elettori), cioé il partito di quelli che “dovevano tutto” a Ratzinger, riuscendo a scavare pure dentro di esso.
Grandi manovre dunque. Che devono spostare i canoni classici tesi ad interpretare le lotte interne alla chiesa come lotte tra schieramenti politici “tradizionali”.
Bergoglio viene da più parti definito un “riformatore ecclesiale” ed un “conservatore dottrinale”. Nell’ottica di chi segue un po’ queste cose, un “conservatore” non sosterrebbe mai un Vangelo “Sine Glossa” (cioè senza aggiunte) come invece sembra caratteristico di questo papa. I “conservatori”, paradossalmente, hanno riempito i secoli di storia della chiesa di “interpretazioni” di ogni genere. Così come é uno strano “progressista” chi ha preso nettamente le distanze dalla “Teologia della Liberazione”, sempre in nome del Vangelo (“basta quello, che c’entra Marx?”), ed avrebbe fatto doppiogiochismo ed omissioni verso il potere dei generali in Argentina, arrivando al punto di consegnare alla tortura ed alla morte dei preti “che non ci stavano” (vedi il libro “El Silencio” di Horacio Verbitsky, dedicato alle “colpe” della chiesa argentina verso il regime golpista del generale Jorge Rafael Videla). Per non parlare delle sue recenti “esternazioni” contro le unioni omosessuali.
Un papa euro-americano dunque, che, preso atto della risoluzione della “questione europea”, sulle ali della quale era asceso al soglio il giovane Woytila, messa da parte l’ambizione dell’”Europa Cristiana dall’Atlantico agli Urali”, cerca di “rivitalizzare” un apparato in preda a mille contraddizioni, ripartendo all’ attacco, ed accettando la sfida “globale” con le altre fedi e col “secolarismo”. Con uno strumento-chiesa più agile, dinamico, aggiornato, in grado di “tenere” la sfida su più fronti.
Ma soprattutto, un papa che possa lanciare appelli alla giustizia mantenendo salda la struttura sociale vigente: i suoi appelli per una Chiesa povera e per i poveri e la sua condanna della Teologia della Liberazione si inseriscono alla perfezione nel solco della dottrina sociale della Chiesa cattolica, che predica la carità elargita dall’alto e condanna la lotta di classe, che esalta la solidarietà insieme alla passività sociale, che attacca l’ingiustizia ma tutela l’ordine borghese frenando le rivendicazioni e le lotte dei lavoratori nel nome della pace sociale.
Da tutto questo l’organizzazione rivoluzionaria del proletariato non ha nulla da guadagnare.
Anzi. Dovremmo più di prima fare chiarezza sul ruolo di conservazione sociale della chiesa, “nonostante” un papa “comunicativo”, “simpatico”, ed “alla mano”.
Compito arduo, ma ineludibile. Che non si affronta con un anticlericalismo da strapazzo, ma con lo studio, l’impegno, la lotta.
Graziano Giusti