Secondo un’indagine riportata dalla rivista medica canadese
The Lancet sono diverse centinaia di migliaia, forse 650 mila, i morti civili a
causa della guerra in Iraq. Accanto agli effetti diretti della violenza
dell’occupazione militare o da essa scatenata, vi è un deterioramento generale
delle condizioni di vita della popolazione (ad es. mancanza di elettricità, di
acqua, fognature non funzionanti con pericolo di epidemie, donne ricacciate in
casa in molte zone del paese, insicurezza generalizzata). La guerra sta
provocando un altro disastro che comporterà conseguenze di lungo periodo sul
paese: la scolarizzazione delle nuove generazioni ha subito un brutale salto
indietro.Secondo un articolo di Dahr Jamail e Ali Al-Fadhily,
riportato da Inter Press Service (Istruzione sotto assedio), negli ultimi anni
di guerra il tasso di partecipazione scolastica è crollato drasticamente. Prima
della Guerra del Golfo del 1991 esso era vicino al 100%. Lo scorso anno la
ONG “Save the children” calcolò che
solo il 75% dei 3,5 milioni di studenti iracheni aveva la possibilità di frequentare le lezioni. Nell’ultimo
anno tale percentuale si sarebbe più che dimezzata, crollando intorno al 30%
(fonte: il Ministero dell’istruzione di Baghdad). “La situazione è disperata. E
non accenna a migliorare” – commentano i due autori. Le drammatiche vicende
degli ultimi anni stanno così trascinando nel baratro un’intera generazione.
Tra le cause di questo salto indietro, le quattro principali sono:
l’impoverimento della popolazione, le distruzioni dovute ai bombardamenti,
l’estromissione di personale qualificato, lo spadroneggiare delle milizie.
Con la disoccupazione intorno al 50%, le famiglie senza
fonti di reddito stabili non possono permettersi di pagare i costi scolastici,
e tengono i figli a casa perché contribuiscano al proprio sostentamento.
Inoltre gran parte delle scuole sono state distrutte dai
bombardamenti. I lavori di riparazione sono stati fonte di guadagno per le
imprese occidentali “impegnate” nella ricostruzione, ma spesso hanno consegnato
strutture in stato di decadenza. Altre scuole sono tutt’oggi inutilizzabili,
perché occupate da eserciti e milizie locali.
Le dure lotte intestine al paese si sono poi riflesse pesantemente
anche sul mondo dell’istruzione: alunni ed insegnanti hanno paura. “Nessuno ci
protegge – ha dichiarato il responsabile di una grande università di Baghdad.
Oggi, i nostri atenei sono campo d’azione per gli squadroni della morte,
fautori del più violento fondamentalismo”. Sotto la dittatura di Saddam, molti
insegnanti si erano iscritti al partito Ba’ath per avere sicurezza del posto di
lavoro. “Tale scelta si ripercuoterà contro di loro a partire dal 2003 –
scrivono i due articolisti. In quell’anno, Paul Bremer, amministratore
dell’Autorità Provvisoria, dà il via alla campagna di de-Ba’athificazione del paese. Da allora, circa 270 docenti universitari sono
stati assassinati. Ben più alto è il numero dei torturati, degli arrestati e
degli incarcerati”. Molti insegnanti sono così stati licenziati.
L’ultimo episodio di violenza risale a pochi giorni fa,
quando 150 accademici furono rapiti a Baghdad dal Ministero dell’Istruzione
(sotto il controllo di un partito sunnita): 70 di essi sono poi stati rilasciati,
mentre degli altri 80 non è stata ancora trovata nessuna traccia. “Il governo
(e il Ministero dell’Interno, controllato dagli sciiti, ndr) sembra approvare
tutto ciò – ha denunciato un responsabile universitario –. Così, ci troviamo in
completa balia delle autorità religiose. Che sono libere di imporci certi
testi, di negarcene altri, e di arrestare ed uccidere chiunque si opponga al
loro insindacabile arbitrio”.
Ma non è tutto: liquidati i vecchi docenti, le autorità
stanno oggi tentando di imporre al paese una nuova leva di insegnanti. Con
risultati quantomeno disastrosi: “Questi professori in erba vengono selezionati
più per la propria fede politica che non per le loro reali capacità
professionali – ha confessato all’Ips un funzionario del Ministero
dell’istruzione di Baghdad –. Spesso, essi sono membri dei partiti islamici al
potere, e pagano sostanziose tangenti al fine di poter ottenere il lavoro.
Altre volte, esibiscono certificazioni palesemente contraffatte. Ma noi non
possiamo denunciare tutto ciò, perché la milizia è sempre pronta ad intervenire
in difesa dei propri protetti”.
L’Iraq è un paese allo sbando, e chi ne fa le spese è
soprattutto il proletariato. Oggi, ai figli dei
lavoratori iracheni – ai salariati di domani – ogni diritto
è negato: neppure l’istruzione primaria è loro concessa. “Coprire le
spese scolastiche? E come si fa? – ha chiesto all’Ips Omar Passim, uno delle
migliaia di disoccupati di Baghdad, padre di quattro figli -. I nostri bambini
non andranno a scuola. Questo è chiaro: dovranno lavorare, e sarà già tanto se riusciranno a sopravvivere”.
Questo è il prodotto di tre anni e mezzo di occupazione e
“democrazia”, in Iraq.