IRAN, USA
CORRIERE Lun. 10/4/2006
Guido Olimpio
Il «Washington Post»: sulla
scrivania della Casa Bianca due dossier
Un misterioso incendio è scoppiato sabato nel bosco di
Lavizan, vicino a uno degli impianti nucleari iraniani. Un rogo accidentale? Un
sabotaggio? Una manovra per nascondere qualcosa? Difficile stabilirlo. Ma
la rapidità con la quale fonti dell’opposizione hanno rilanciato la notizia fa
comprendere come tutto, in questi mesi, diventi «sospetto» in Iran. Colpa della
guerra psicologica degli americani contro Teheran e delle sparate del
presidente Ahmadinejad. Dopo le rivelazioni del settimanale New Yorker sul
possibile blitz, arrivano quelle del Washington Post. Il succo è questo:
i piani di attacco sono allo studio perché molti ritengono che la via dei
negoziati non funzionerà. E viene indicata anche una data probabile: il 2008. I
funzionari statunitensi, però, aggiungono che la pressione militare fa parte di
una più ampia strategia tesa a dissuadere l’Iran dal costruire la Bomba. Un
portavoce del Pentagono ha specificato che l’opzione diplomatica resta
prioritaria ma si è rifiutato di commentare gli scenari di guerra. Lo hanno
invece fatto l’ex candidato democratico John Kerry – è «diplomazia da cowboy» –
e le autorità di Teheran, per le quali le notizie sono parte della «guerra di
nervi». E altre fonti vicine all’Amministrazione americana hanno accusato il New
Yorker di «esagerare».
Ma non è esagerato affermare che sulle scrivanie della Casa Bianca vi sono
due dossier. Il primo è affidato al Dipartimento di Stato, che prova a
raccogliere una mini-coalizione (con Francia e Gran Bretagna) che convinca gli
ayatollah a fermarsi. Il secondo, molto avanzato, tocca al Pentagono e può
portare ad un colpo di maglio terrificante. Il Washington Post ha
confermato l’esistenza di ricognizioni, di simulazioni di raid «oltre le
spalle», di missioni clandestine, forse di incursioni di unità speciali.
Il lavoro più duro ricade, in questa fase, sugli 007. L’intelligence Usa e
israeliana – se sono vere le rivelazioni di questi giorni – stanno censendo i
possibili obiettivi. Laboratori, impianti di ricerca, reattori, caserme, centri
di comunicazione. «Non meno di 75 bersagli – ha confermato l’analista Sam
Gardiner -. Tutti celati in bunker sotterranei, quindi ben protetti». Nella
lista sono stati anche inseriti due fabbriche di armi chimiche, lanciatori di
missili a medio raggio, 14 basi aeree.
Gli iraniani non sono certo degli sprovveduti, hanno studiato quanto è
avvenuto nel vicino Iraq. Come ha rilevato uno studio americano, il celebre
attacco israeliano sul reattore iracheno di Osirak, nell’81, ha avuto
conseguenze positive nel medio termine ma disastrose nel lungo. Tutti hanno
capito che bisogna costruire impianti sottoterra e così ben 72 Paesi hanno
sviluppato questi sistemi di protezione, temendo blitz preventivi. I mullah si
sono messi sul mercato cercando i tecnici migliori. Hanno ingaggiato russi, ma
soprattutto i nordcoreani impegnati da anni nel celare all’Aiea i loro piani.
Potremmo dire che sono le «talpe umane» più abili. Hanno ideato tunnel per
invadere la Corea del Sud e costruito impianti segreti per il loro arsenale.
Esperienza poi rivenduta in Medio Oriente a peso d’oro.
L’intelligence americana ha puntato i suoi satelliti sull’Iran e si è affidata
a informatori locali per individuare i siti. Di solito un impianto sotterraneo
può essere scoperto, durante la costruzione, dagli enormi scavi, oggi possibili
grazie a macchinari poderosi. Ma i khomeinisti potrebbero aver creato false
piste mettendo in piedi più cantieri. Altri indizi sono i sistemi di areazione
che hanno un terminale in superficie: gli iraniani hanno imparato a camuffarli.
Con speciali sensori gli Usa provano a captare emissioni di calore: gli
avversari ribattono introducendo aria fredda. Con i radar che «guardano sotto
la superficie» gli 007 americani sondano la presenza di strutture interrate: se
i tunnel sono in profondità però non possono essere visti.
Difficoltà che i cacciatori di tane – in caso di raid – tenteranno di
superare con un attacco massiccio. Il New Yorker ha ipotizzato l’impiego
di una bomba nucleare tattica anti-bunker, la cosiddetta «Big Blue». Oppure con
salve di missili da crociera per distruggere i siti di superficie insieme ai
tecnici. Le bombe, unite alle difficoltà tecniche che Teheran deve affrontare,
avrebbero conseguenze pesanti rinviando sine die il programma nucleare
iraniano. Ma c’è chi a Washington – mettendo in guardia sui rischi per la
popolazione e i contraccolpi internazionali – suggerisce una campagna di
sabotaggi. Quelli che l’esperto Patrick Clawson definisce una serie di
«incidenti» industriali. Come un incendio a Lavizan.