Iran, gli Usa chiedono all’Onu «l’uso della forza»

IRAN, NUCLEARE, USA, ONU

CORRIERE Ven. 14/4/2006  
Andrea Nicastro

Condoleezza Rice: «Necessaria una risoluzione del
Consiglio di sicurezza che preveda tutte le opzioni, compresa quella militare»

Fallita la missione di ElBaradei
per convincere Teheran a sospendere i programmi nucleari

TEHERAN – Condoleezza Rice ha chiesto ieri al Consiglio
di sicurezza dell’Onu una risoluzione contro il programma nucleare dell’Iran.
«Una risoluzione – ha specificato il segretario di Stato Usa – in base
all’articolo 7 della Carta delle Nazioni Unite», che prevede anche l’uso della
forza
. Accelera ancora la crisi iraniana dopo il fallimento della missione
lampo del capo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea),
Mohamed ElBaradei, a Teheran. Una missione finita prima di cominciare.
ElBaradei era ancora in aereo quando il presidente iraniano Mahmoud
Ahmadinejad gli ha sbattuto la porta in faccia: «Nessuno ha diritto di
chiederci di fare un passo indietro» nella corsa verso l’energia nucleare
,
«non avremo colloqui con chicchessia sul diritto della nazione iraniana» a
padroneggiare questa tecnologia, «la nostra risposta a quelli che sono
arrabbiati perché l’Iran ha avviato un pieno ciclo» di lavorazione di
combustibile nucleare «è una sola: arrabbiatevi pure, morirete di questa
rabbia».
ElBaradei arrivava con in tasca il mandato del Consiglio di sicurezza dell’Onu
di convincere l’Iran a sospendere ogni attività di arricchimento dell’uranio e
il presidente gli ha fatto sapere in anticipo che su certe cose, proprio quelle
che vorrebbero i cinque grandi, non si discute nemmeno, questione di dignità
nazionale. Invece di interrompere la visita, ElBaradei ha incassato il
colpo. Ha incontrato il capo dei negoziatori iraniani, Ali Larijani, e ha
rilasciato dichiarazioni che, nonostante tutto, lascerebbero aperto uno
spiraglio
. «Spero che sia il momento giusto per una soluzione politica
attraverso i negoziati. Spero che si creeranno le condizioni perché tutte le
parti tornino al tavolo delle trattative». E anche: «Intendo costruire un clima
di fiducia nel quale risolvere i problemi in linea con quanto richiesto dalla
comunità internazionale, compresa la sospensione delle attività di
arricchimento dell’uranio fino a che i nodi più rilevanti della questione non
saranno sciolti».
Lontano dai microfoni, alcuni diplomatici al seguito di ElBaradei si sono
mostrati meno speranzosi. «Non c’è una sola possibilità che l’Iran decida
volontariamente di fermare il suo programma nucleare: Teheran insiste sul suo
diritto all’uso pacifico dell’energia atomica, ma fa poco per cambiare
l’immagine negativa che ha a livello internazionale e che fa sospettare che il
vero obbiettivo sia la Bomba»
.
Il muro contro muro continua e, nel frattempo, il tempo lasciato ai negoziati
si assottiglia, l’ultimatum dell’Onu scade il 28 aprile. La proposta di
risoluzione della Rice alza ancora la temperatura del confronto. Nel
Consiglio di sicurezza l’ipotesi di sanzionare economicamente l’Iran potrebbe
incocciare nei veti di Russia e Cina
, la cui economia è troppo dipendente
dal petrolio iraniano. A maggior ragione poche speranze sembra avere la
richiesta di via libera all’opzione militare avanzata da Washington. Sopra i
negoziati resta la spada di Damocle di presunti piani del Pentagono per la
distruzione dei laboratori e delle centrali iraniane
. Per togliere l’Atomo
agli ayatollah, Washington starebbe studiando l’uso delle sue «bombe tattiche»,
piccole, precise, ma pur sempre nucleari. La Casa Bianca, però, ha smentito.
L’incendiaria retorica di Ahmadinejad è troppo sopra le righe per essere
casuale. Prima la negazione dell’Olocausto degli ebrei, poi la proposta di
trasferire in Europa lo Stato di Israele, quindi, martedì, la sfida ai
divieti dell’Agenzia atomica e dell’Onu: «Siamo nel club dei Paesi nucleari.
Stiamo già arricchendo uranio al 3,5 per cento», proprio la percentuale giusta
per gli usi civili, mentre per quelli militari sarebbe necessaria una
concentrazione del 90 per cento
.
Tra i riformisti iraniani sconfitti alle presidenziali dell’anno scorso si
sono un po’ stemperate le paure e le prese di distanza dal nuovo presidente.
Più che alla visita di ElBaradei, infatti, i circoli politici di Teheran
guardavano ieri ai colloqui in corso a Bagdad con gli americani sul futuro del
governo iracheno
.
Non è un mistero per nessuno che la maggioranza sciita che controlla il
Parlamento «democraticamente eletto» di Bagdad abbia forti legami con gli
ayatollah d’oltre confine. E se l’Iran contribuisse a risolvere la crisi
politica irachena o, quantomeno, frenare la guerra civile, forse Washington
sarebbe disposta ad assumere un atteggiamento più conciliante sulle centrali
nucleari persiane. Il fatto che gli Usa abbiano dimenticato la rottura delle
relazioni diplomatiche con Teheran pur di affrontare il problema iracheno è
visto come un segnale positivo. Altrettanto compiacimento suscita il fatto che
pure un vecchio pragmatico, come l’ex presidente Hashemi Rafsanjani, si sia
schierato a favore del nucleare. Significa, spiegano gli esegeti della
teocrazia degli ayatollah, che un compromesso è possibile. Anzi, forse è già
pronto e si aspetta l’accordo sull’Iraq per formalizzarlo
.

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