ITALIA, PENSIONI
REPUBBLICA Giov. 11/5/2006 ROBERTO MANIA
Il rapporto della magistratura consegnato al Parlamento
invita ad accorciare i tempi del risanamento: squilibri esauriti solo nel 2070
Allarme della Corte dei Conti: si spende troppo, giovani
penalizzati
"Le aliquote contributive sono già alte, vanno contenute le uscite"
"L´Italia è al secondo posto con il 13,8% del Pil, superata solo
dall´Austria"
Per la Corte dei Conti occorre tagliare ancora la spesa
pensionistica che penalizza le nuove generazione e incentivare la previdenza
complementare
ROMA – Ci vuole una nuova riforma delle
pensioni. Il "suggerimento" al governo che si sta per insediare
arriva dalla Corte dei Conti nel suo Rapporto sulla finanza previdenziale,
messo a punto alla fine dello scorso anno e consegnato al Parlamento all´inizio
di maggio.
Netta l´analisi dei giudici contabili: il sistema previdenziale non è in
grado di mantenere in equilibrio le entrate e le uscite. Ogni anno, infatti, lo
Stato deve ripianare il deficit pensionistico. Nel 2004, per esempio, agli
istituti previdenziali sono stati trasferiti 69 miliardi di euro (52 per le
pensioni di invalidità, vecchiaia e superstiti), ben 11 miliardi in più del
disavanzo complessivo delle amministrazioni pubbliche. Così che proprio il
deficit previdenziale finisce per pesare in maniera determinante sulle finanze
pubbliche, già alle corde anche per la bassa crescita del Pil. Scrive la Corte
dei Conti: «I conti pubblici presenterebbero un apprezzabile avanzo se
quelli del comparto pensioni fossero in pareggio».
Le strade classiche per correggere la dinamica della spesa previdenziale sono –
sulla carta – almeno due: aumentare le aliquote contributive, oppure ridurre
la spesa. La Corte sposa con decisione la seconda, ricordando che sul lavoro
dipendente grava già un´aliquota del 32,70 per cento, che non ha pari in Europa,
tanto che Prodi ha promesso un taglio di cinque punti del cuneo fiscale e
contributivo nel primo anno della legislatura, proprio per rilanciare la
competitività delle imprese italiane. È sulla spesa, dunque, che si deve
intervenire, considerando che l´Italia con il 13,8 per cento del rapporto
fra spesa pensionistica e prodotto è seconda solo all´Austria ed è di oltre tre
punti sopra il livello medio dei Paesi dell´Unione europea.
Certo, le riforme degli anni Novanta (a cominciare da quella Dini del 1995)
hanno impedito il rischio che il sistema esplodesse, ma non sono state
sufficienti, soprattutto per la lentezza dell´andata a regime, a impedire la
corsa della spesa che nel 2038 raggiungerà (secondo le proiezioni della
Ragioneria generale dello Stato) il picco (la famosa "gobba") del
15,5 per cento del Pil, per calare gradualmente fino al 2070 quando non si
sentiranno più gli effetti negativi del vecchio sistema di calcolo retributivo.
A spingere in alto la spesa è innanzitutto l´invecchiamento della popolazione
(l´effetto "baby-boom"), che si cumula con la crescita zero
dell´economia negli ultimi anni. Insomma, non c´è altra via da imboccare che quella
di «ulteriori interventi correttivi per contenere il flusso della spesa
pensionistica». Anche perché – e qui la Corte introduce un altro
elemento di analisi – l´attuale sistema previdenziale finisce per
penalizzare le giovani generazioni di lavoratori più soggette alla
discontinuità dei rapporti di lavoro per via dei contratti cosiddetti atipici.
Si calcola, infatti, che mentre oggi si va in pensione con circa il 70 per
cento dell´ultima retribuzione, chi andrà con il sistema contributivo riceverà
un trattamento inferiore anche del 30 per cento. Da qui l´ultimo
"suggerimento": incentivare la previdenza complementare.