Inaugurato in Cina primo forum buddista

CINA, RELIGIONE

CORRIERE Ven. 14/4/2006 
 Paolo Salom

Alla presenza del Panchen Lama, fedele a Pechino
 

Il governo cinese cerca di controllare i credenti
buddisti tramite dei sacerdoti “patriottici” esattamente come coi religiosi cattolici.


Parola del Panchen Lama: «La società cinese fornisce un
ambiente ideale per lo sviluppo del buddismo». E ancora: «Difendere la Patria e
lavorare per il popolo: questo è l’impegno solenne che il buddismo ha preso con
la nazione e la società»
. Dichiarazioni molto politiche e poco religiose.
Dichiarazioni di un ragazzo, un adolescente di 16 anni, Gyaltsen Norbu,
scelto nel 1995 – quando non aveva ancora sei anni – da un gruppo di monaci
«patriottici» fedeli a Pechino come reincarnazione del precedente Panchen Lama.
Il Panchen («Grande studioso»), nella complessa gerarchia del buddismo
tibetano, è su un gradino secondo soltanto al Dalai Lama («Oceano di saggezza»)
.
Gyaltsen Norbu ha fatto ieri la sua prima uscita pubblica di fronte a una
platea di mille monaci e monache, e studiosi del buddismo, giunti a Hangzhou,
nella Cina orientale, da oltre trenta differenti Paesi per il primo «Forum
mondiale buddhista». Un’occasione, per il regime formalmente «comunista e
ateo», di ribadire il dettato costituzionale che – sulla carta – garantisce la
piena libertà di religione (qualunque religione)
. In realtà le parole del
Panchen adolescente, di fatto ignorato dalle personalità intervenute al
consesso che avrebbe dovuto consacrarne l’autorità, sono apparse subito come
l’indicazione alle diverse confessioni (in Cina ci sono 80 milioni di
cristiani, in maggioranza protestanti, 25 milioni di musulmani e un numero
imprecisato di sette, tra le quali la Falun Gong, fuorilegge
) di quale sia
la linea «ortodossa» da tenere per non urtare la suscettibilità del regime. Non
è un caso che a Hangzhou non sia stato invitato il Dalai Lama, il leader
riconosciuto del buddismo tibetano
, in esilio dal 1959, e non gradito in
quanto «voce non armonica».
Per Pechino nei fatti non c’è separazione tra Stato e Chiesa. Tutto è
politica. Come dimostra l’assenza di rapporti tra Repubblica popolare e
Vaticano sin dal 1951. A Hangzhou, Qi Xiaofei, vice capo dell’amministrazione
di Stato per gli Affari religiosi, ha raffreddato le speranze che Pechino e
Santa Sede compongano presto le loro «divergenze» (Taiwan e Chiesa cattolica
cinese clandestina, contrapposta alla «Chiesa patriottica», autorizzata dal
governo): «Il Vaticano deve tagliare le cosiddette "relazioni
diplomatiche" con Taiwan, riconoscere l’unico governo legittimo in Cina, e
non interferire nei nostri affari interni in nome della religione»
.
Domani, con la «benedizione» di Pechino, i mille religiosi buddisti si
sposteranno nella vicina Zhoushan a «pregare per la pace». Il forum si chiuderà
domenica, giorno di Pasqua nel (lontano) mondo occidentale.

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