Impegno diretto contro la passività elettorale

Ancora elezioni, ma, speriamo, sempre meno illusioni di cambiare le cose con il voto.

La realtà che va cambiata è quella che vede un numero crescente di lavoratori faticare per arrivare a fine mese, il quotidiano stillicidio di morti sul lavoro, l’aumento di sfruttamento e precarietà, mentre sono proprio “In Italia i dividendi più ricchi d’Europa”, come titola il giornale degli industriali (4 aprile 2008).

Questa realtà sociale non si cambia con le schede elettorali, ma con l’organizzazione e la lotta dei lavoratori. Solo le lotte di fine anni ’60-primi anni ’70 hanno portato un miglioramento per i lavoratori, non il colore dei governi che si sono succeduti! E oggi la debolezza delle lotte porta a un arretramento, con il centro-destra come con il centro-sinistra.

Il passato governo, pur essendo durato poco, ha svolto un’azione di tutela del capitale fatta anche col sostegno di partiti sedicenti comunisti. Le belle promesse della coalizione di centro-sinistra sulla riduzione della precarietà, sulla lotta al lavoro nero e sulla revisione della legge Bossi-Fini sono infatti restate sulla carta; hanno invece avuto attuazione i frutti dei favori fatti al grande capitale e della politica estera imperialista: il taglio del cuneo fiscale a uso e consumo delle aziende, il compromesso sul welfare che conferma l’aumento dell’età pensionabile e incentiva il ricorso agli straordinari, il drastico aumento delle spese belliche, le missioni militari per promuovere gli affari del grande capitale sul mercato mondiale.

Fuori dalle illusioni democratiche anche in queste elezioni a decidere davvero sono i padroni dell’industria e della finanza. Sono loro che erogano cospicui finanziamenti elettorali, controllano televisioni e giornali e con le loro campagne di disinformazione manipolano la percezione politica di massa; sono lorsignori i “grandi elettori” che dirigono i voti dei milioni, che li inducono a credere che Berlusconi o Veltroni o Casini possano fare la differenza. Sono loro che dosano anche le comparse in TV dei “radicali” dai Bertinotti ai Ferrando (in ogni sistema sotto pressione è sempre utile una valvola di sfogo).

Nulla di strano se alle immancabili promesse di nuovo lavoro, nuova prosperità, meno tasse seguono immancabilmente politiche che minano il potere contrattuale e i diritti dei lavoratori a vantaggio di profitti e redditi più elevati.

Oggi la principale disputa è fra PD e PdL, due raggruppamenti “moderati”, che paiono intercambiabili nelle intenzioni dichiarate, tanto che i loro candidati hanno speso molte energie ad accusarsi di essersi copiati il programma a vicenda. In realtà riflettono differenti coalizioni di interessi, con un centro destra più protezionista e sbilanciato a favore della piccola borghesia e del lavoro autonomo e un centrosinistra più legato al grande capitale e alla grande finanza e forte del sostegno dei sindacati. Tutti d’accordo però nel far pagare il conto ai lavoratori salariati: i loro programmi promettono infatti più salari ma legandoli alla produttività e ridimensionando il Contratto Nazionale di Lavoro, aumentando così la concorrenza fra lavoratori, la riduzione della precarietà solo là dove è interesse delle aziende stesse stabilizzare il lavoratore, non il recupero del fiscal drag, ma la detassazione degli straordinari e degli aumenti salariali.

A loro si affianca la "sinistra arcobaleno", il "nuovo" soggetto politico formato da partiti che hanno appena sostenuto il governo Prodi in tutte le sue politiche a uso e consumo del grande capitale, missioni e basi militari incluse. In alcuni casi la loro adesione all’imperialismo italiano è stata addirittura entusiasta, come per la missione in Libano: per loro non si non si tratta di opporsi a ogni missione militare all’estero, ma di svolgerle fuori dall’ambito NATO e senza la presenza di truppe americane. E’ l’eredità di una cultura politica che li porta a riconoscere l’imperialismo solo se di marca statunitense, a rifiutare l’idea che anche l’Italia sia una potenza imperialista.

Intanto, le istituzioni parlamentari sono sempre più screditate anche a causa delle continue denunce degli stessi mezzi d’informazione borghesi: vengono messi sotto accusa i privilegi del ceto politico, le spese di gestione stratosferiche, il diffuso assenteismo e la corruzione. Gli ideologi borghesi si pongono nelle vesti di  "moralizzatori" di un sistema che invece è di corruzione oggettiva: deputati e senatori, ministri, sottosegretari e portaborse di ogni ordine e grado non sono una “casta”separata della società, ma svolgono invece una vera e propria attività di lobby a vantaggio delle diverse frazioni borghesi.

In questo panorama, appare senza speranza anche la scelta di chi si illude di fare una politica coerentemente comunista all’interno di un Parlamento che rimane mero strumento di dominio del capitale.

I lavoratori non possono pensare di migliorare le proprie condizioni – né tantomeno di rovesciare il dominio del capitale – attraverso i provvedimenti di un Parlamento dominato dagli interessi delle frazioni borghesi; l’unica arma che hanno è l’impegno in prima persona, la lotta organizzata nei luoghi di lavoro e l’unione fra loro: una strada difficile, ma l’unica possibile, lontano dalle illusioni elettorali e dalla passività del voto.

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