Il Vaticano nascose gli ustasha Pavelic e i suoi ospitati nelle chiese

Un ex agente segreto Usa accusa: il
futuro papa Paolo VI aiutò i criminali di guerra croati
"Haaretz" pubblica la testimonianza al
processo di San Francisco


Gli ustasha croati sfuggirono ai processi (col bottino
delle loro razzie) grazie all’aiuto della Chiesa e del servizio segreto inglese


N.D.R.:
la notizia non è nuova, ma sintomatica dell’intervento vaticano nei balcani


GERUSALEMME – Negli anni del grande disordine seguito
alla Seconda guerra mondiale, i più famigerati criminali di guerra croati, i
cosiddetti ustasha, poterono sfuggire alla giustizia internazionale, trovare
rifugio in America Latina e sfruttare l´immenso tesoro raccolto depredando le
vittime del loro regime sanguinario, grazie alla protezione ricevuta in
Vaticano dall´allora vice segretario di Stato, Giovanni Battista Montini, più
tardi asceso al soglio di Pietro con il nome di Paolo VI.
È stato l´agente del controspionaggio americano, William Gowen a evocare il
ruolo di Montini in una testimonianza resa il mese scorso davanti alla Corte
federale di San Francisco, chiamata a giudicare su una serie di istanze di
risarcimento presentate da ebrei, serbi, ucraini, russi e rom sopravvissuti
alla macchina di sterminio messa su da Ante Pavelic e dai suoi seguaci in nome
e per conto dei nazisti. Copia di quella testimonianza è venuta in possesso del
giornale Haaretz, che ne ha anticipato il contenuto
.

 

Bisogna partire dal movimento nazionalista croato fondato nel 1929 da Ante
Pavelic e da Gustav Percec per combattere la monarchia jugoslava e fondare uno
stato croato indipendente. L´obiettivo politico sarebbe stato raggiunto solo
con l´occupazione nazi-fascista della Jugoslavia e la creazione di uno
stato-fantoccio alla testa del quale venne posto come leader massimo,
"poglovnik", Pavelic. Il disegno di Pavelic, che mostrò la sua
gratitudine al padrone germanico inviando alcune unità di ustasha a combattere
contro i sovietici, a Stalingrado, e, temerariamente, si unì alle potenze dell´Asse
nel dichiarare guerra agli Stati Uniti, fu essenzialmente un disegno razzista
basato sulla supremazia dei croati, anche in quanto cattolici, rispetto ai
serbi, greco – ortodossi, attuato attraverso una gigantesca operazione di
pulizia etnica ante litteram.
La crudeltà dispiegata dalle milizie ustasha contro chiunque non fosse
croato e cattolico fu così agghiacciante che persino il comandante
dell´esercito tedesco in Yugoslavia si sentì in dovere di levare una (tardiva)
protesta. In conseguenza degli ordini impartiti da Pavelic e dal suo braccio
destro, Andrja Artukov, soprannominato "l´Himmler dei Balcani",
ottocentomila persone furono sterminate, centomila solo nei campi di Jasenovac.
Dopo la guerra Pavelic e gli altri capi ustasha volarono in Austria e da qui,
con l´aiuto dell´intelligence britannica e di certi amici ben piazzati in
Vaticano, passarono in Italia, trovando rifugio nella penombra delle basiliche
romane e nel silenzio dei monasteri
.
In base ad alcuni documenti segreti svelati al processo di San Francisco, l´intelligence
inglese permise a Pavelic di fuggire in Italia con dieci camion che contenevano
il tesoro rubato alle vittime del massacro jugoslavo: oro, danaro, gioielli,
opere d´arte. Il prezzo del tradimento, perché nel frattempo, inglesi e
americani avevano deciso di utilizzare gli ustasha per contrastare l´ascesa del
comunismo in Jugoslavia e, in generale, nell´Europa dell´est.
Giunto a Roma, il tesoro venne consegnato nelle mani, fidatissime, del
monsignor, professor Krunoslav Draganovic, ambasciatore croato in Vaticano
,
il quale provvide a nascondere Pavelic e gli altri ustasha in covi protetti
dall´immunità diplomatica. Il danaro affidato a Draganovic sarebbe inoltre
servito a costituire la rete che più tardi avrebbe permesso l´espatrio
clandestino in Sud America dei gerarchi croati, e non solo, attraverso quella
che è stata chiamata «la rotta dei topi».
Qui entra in campo Gowen. L´agente americano, probabilmente all´insaputa di
un altro ramo dei servizi, quell´Oss che sarebbe più tardi diventato la Cia,
aveva avuto l´ordine di individuare il covo di Pavelic e di arrestarlo. Ma
improvvisamente, arriva il contrordine: «Mollare la preda. Non se ne fa
niente». Poco dopo Pavelic sarebbe "emigrato" in Argentina alla corte
di Juan Peron
. «Ho indagato personalmente su Draganovic – ha detto Gowen ai
giudici americani – il quale mi ha detto che informava monsignor Montini».
Anzi, a un certo punto, secondo l´agente, Montini avrebbe saputo dal capo della
stazione dell´Oss a Roma, James Angleton, delle indagini intraprese da Gowen su
Pavelic. Il vice segretario di Stato avrebbe allora protestato con i superiori
dell´agente accusando Gowen d´aver violato la sovranità territoriale del
Vaticano penetrando nel collegio croato, ospitato nel convento di San Girolamo,
per condurvi una perquisizione. Il tesoro degli ustasha sarebbe stato
riciclato dalla Banca vaticana
.

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