Il sindacato americano si spacca

La maggiore spaccatura all’interno del mondo sindacale statunitense
dagli anni 30 si consuma alla convention che avrebbe dovuto celebrare i
50 anni dalla riunificazione delle principali sigle: il punto interrogativo sul futuro dell’associazionismo dei lavoratori americani è d’obbligo, ora che l’Afl Cio rischia il collasso
( per il boicottaggio di sette organizzazioni di categoria su tredici),
tra personalismi della leadership e sostanziali dissensi sulle
strategie per invertire il trend di declino storico del potere
negoziale e della base rappresentativa, che ha portato il sindacato a
riunire meno dell’ 8% della forza lavoro rispetto al 35% del 1955,
quando Afl e Cio ricucirono la frattura del 1938.
Alle otto di sera di ieri ( ora italiana), i rappresentanti del Teamsters e della Service Employees International Union ( Seiu, la maggiore affiliata all’Afl Cio) hanno ufficializzato che lasceranno la federazione in una conferenza stampa a poche centinaia di metri dalla convention che riunisce a Chicago quasi un migliaio di delegati. Altre due organizzazioni di categoria — United Food and Commercial Workers e Unite Here ( un gruppo di lavoratori del settore tessile e alberghiero) — hanno espresso l’intenzione di abbandonare l’Afl Cio, boicottando anch’esse la convention. Le
quattro sigle dissidenti fanno parte del raggruppamento “ Change to win
coalition” che si oppone alla leadership del presidente di Afl Cio John
Sweeney, il quale dovrebbe essere rieletto dopodomani.
« È un
insulto atroce ai lavoratori: in un momento in cui i nostri avversari
aziendali e conservatori hanno creato la più potente macchina politica
anti lavoratori nella storia del nostro Paese, un movimento diviso
colpisce le speranze delle famiglie in una vita migliore » , ha
dichiarato nel suo intervento iniziale alla Convention un irritatissimo
Sweeney, sull’onda del risentimento suscitato dalla rivolta guidata da un suo ex protetto come Andy Stern, attuale leader della Seiu ( l’associazione che lo stesso Sweeney aveva guidato per 4 mandati prima di passare al vertice della federazione 10 anni fa). I
dissidenti raggruppano in particolare i lavoratori del ramo dei servizi
— comunque in crescita — mentre gli alleati di Sweeney si trovano
soprattutto nei vecchi comparti industriali che più soffrono per i
drastici cambiamenti dell’economia provocati dalla globalizzazione.

Un trend che il sindacato ha cercato invano di frenare, ponendosi in
prima fila contro l’outsourcing di posti di lavoro e contro i trattati
internazionali di liberalizzazione del commercio
( ultima è
l’opposizione all’accordo di libero scambio Cafta con 5 Paesi del
Centroamerica e la Repubblica Domenicana, che il presidente Bush spera
di vedere approvato in settimana al Congresso).
La scissione dell’Afl Cio porterà l’organizzazione a perdere 5 milioni
di tessere ( circa un terzo del totale) e contribuzioni per 35 milioni
di dollari l’anno, su un bilancio complessivo di 120 milioni già sotto
pressione ( tanto che ha dovuto essa stessa licenziare un quarto del
suo personale di staff).
Proprio la gestione di Sweeney — e la sua decisione di ricandidarsi — è
uno dei motivi alla base della scissione
: i suoi oppositori lo accusano
di trascurare il versante organizzativo e il reclutamento per
spendere
troppo in campagne politiche.

Sul piano operativo, ci sono forti dubbi sul fatto che un sindacato
diviso, in un momento di difficoltà sempre maggiori in termini di
potere contrattuale, possa svolgere un ruolo efficace: l’ex segretario
al Lavoro dell’Amministrazione Clinton Robert Reich, ad esempio, ha
dichiarato che « l’intero movimento sindacale sarà meno influente di
quanto lo sia oggi; e non è molto influente ».
Non mancano opinioni minoritarie in senso contrario: « Anche il
sindacato potrebbe beneficiare, come altre organizzazioni, di una
competizione » , afferma Marick Masters, che insegna business
administration all’Università di Pittsburgh, secondo cui la scissione
potrebbe finire per rinvigorire il movimento dei lavoratori. Sul
versante politico, a preoccuparsi sono i democratici che contano sulle
risorse umane e materiali dei sindacati durante le campagne elettorali.

La federazione rappresenta ormai solo l’ 8% della forza lavoro nel
Paese.

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