Il principio dell’ingerenza

Asia Centrale, Uzbekistan, Ue, Germania, Cina

Gfp     090916
Il principio dell’ingerenza

●    Le potenze occidentali stanno cercando di contrastare la crescita di influenza della Cina ormai “attore globale”, oltre che in Africa, anche in Centro Asia,

o   regione molto instabile sul piano politico e anche economico a causa della contesa tra le potenze estere.

●    Fino ad ora, per garantirsi una certa indipendenza i paesi centro-asiatici avevano cercato di giocare l’un contro l’altro gli interessi americani, russi ed europei.

●    L’accresciuto interesse della Cina nella regione rappresenta un vantaggio per i governi centro-asiatici, che possono dipendere meno dall’influenza russa, senza per questo doversi del tutto assoggettare politicamente alle potenze UE o agli USA, 

o   che dopo il crollo dell’Urss, si erano affrettate a tracciare le proprie sfere di influenza in competizione con la Russia.

o   Secondo i consiglieri del governo tedesco, l’emergere della Cina in Centro Asia (indubbio è il suo successo per assicurarsene le materie prime) impedirebbe più stretti legami dei paesi dell’area con l’Europa.

o   La Cina non si intromette nelle questioni interne dei vari paesi, ma cerca l’appoggio dei governi locali per i propri investimenti.

●    Le mire dell’Occidente per il Centro Asia sembrano perdere chance di successo dato che la Cina sta divenendo un polo di attrazione sempre più importante per i paesi dell’area:

o   Già nel 2006, in occasione di un “forum per gli investimenti per la via della seta”, Kazakistan, Kirghizistan, Tajikistan e Uzbekistan hanno discusso per una più stretta cooperazione economica e politica con la Cina.

o   Il Kazakistan ne è il maggior partner commerciale, sono materie prime l’80% delle sue esportazioni in Cina,

o   la quota di materie prime è ancora maggiore nell’interscambio turkmeno-cinese;

o   per il Kirghizistan, benché povero di materie prime, la loro quota sull’export verso la Cina è del 60%.

●    Inoltre in Centro Asia non appare abbia possibilità di successo la strategia seguita dall’Occidente di “cambio di regime”, “rivoluzioni colorate” per portare al potere esponenti filo-occidentali (valutazione di uno studio del 2005 della Fondazione tedesca SWP, Scienza e Politica):

o   la “rivoluzione dei tulipani” in Kirghizistan, ad esempio, non ha portato allo spostamento desiderato nei rapporti di forza internazionali;

o   secondo l’autore dello studio, non è da sottovalutare la coesione delle elite al potere,

o   e non è da sopravvalutare il livello di organizzazione e la maturità politica delle forze di opposizione;

o   inoltre dopo le guerre civili degli anni 1990, non è facile avere l’appoggio popolare per un vero cambio di potere, tanto più che il governo si è comperato con misure di garanzie sociali il consenso di una popolazione per la maggioranza in condizioni di miseria.

o   Dai regimi dei paesi centro-asiatici gli investitori cinesi sono considerati partner più convenienti, delle potenze occidentali di cui temono l’ingerenza nella loro politica interna, essendo essi fortemente indebitati verso l’Occidente.

●    Al fine di meglio posizionarsi nell’area, Berlino cerca di esercitare una maggiore pressione ricorrendo anche la denuncia delle violazioni del diritto umani, in particolare in Uzbekistan,

o   violazioni che aveva fino ad ora ignorato, nonostante le proteste di diversi paesi UE.

o   Berlino si adoperò per liberare l’Uzbekistan dall’isolamento diplomatico, dopo che  un ambasciatore britannico aveva abbandonato il paese per protesta contro le pratiche di tortura uzbeke;

o   nonostante le gravi accuse di violazione di diritti umani contro il governo del Kazakistan, fu ancora la Germania ad aprire la strada alla sua presidenza OCSE.

– (analisi di DGAP, Società Tedesca per la Politica Estera) Berlino lamenta la non trasparenza delle strutture politiche dei cinque paesi centroasiatici;

– in Turkmenistan, ad es., gli enormi giacimenti di gas e petrolio di recente scoperti possono essere sfruttati solo superando grosse difficoltà tecniche e con forti investimenti che dovrebbero provenire soprattutto dall’Europa.

– La UE chiede riforme drastiche, che però rischiano di far cadere i governi locali.

– La UE, priva di una politica unitaria verso i paesi asiatici, e anzi divisa da importanti contraddizioni tra le sue maggiori potenze – anche su progetti centrali come il gasdotto Nabucco, che renderebbe inutile la rete russa di Gazprom

o   non ha per i paesi centroasiatici le credenziali di “alleato affidabile”.

●    La Cina invece, anche grazie a scelte di non ingerenza, è riuscita a imporsi come partner economico di lunga durata:

o   Il Turkmenistan ha stretto un accordo di cooperazione di lunga durata con la Cina, comprendente la costruzione di un gasdotto, che entra in funzione quest’anno, che trasporterà 30 MD di m3 di gas/anno verso la Cina occidentale; questo farà della Cina il secondo grande importatore di gas turkmeno dopo la Russia che ne importa 50 MD/anno.

o   Il gasdotto cinese si scontra con gli interessi di Russia, UE-Germania, dato che garantisce a Pechino forniture di gas turkmeno a lungo termine, sottraendole alle altre potenze.

●    In Centro Asia è in discussione non solo l’accesso alle ricchezze del sottosuolo, ma anche il panorama geopolitico:

o   l’Uzbekistan ha di recente rescisso l’accordo per le basi militari americane a favore di un accordo di mutua assistenza con la Russia.

o   La Germania ha l’ultima base militare occidentale in Uzbekistan, a Termez, di importanza strategica per le attività occidentali in Centro Asia essendo vicina all’Afghanistan.

La Fondazione tedesca SWP (Scienza e Politica) rileva come l’allontanamento del governo uzbeko dagli alleati occidentali sta avvenendo assieme ad una maggiore cooperazione con la Russia e con la Cina.

Gfp      090916

Das Prinzip Einmischung

16.09.2009
BEIJING/BERLIN

–   (Eigener Bericht) – Begleitet von scharfer deutscher Kritik an Menschenrechtsverletzungen in Zentralasien hat die EU am gestrigen Dienstag ihre Kooperationsverhandlungen mit den dortigen Staaten fortgeführt. Die Gespräche, die einer von Berlin bereits 2007 durchgesetzten "EU-Zentralasien-Strategie" folgen, zielen darauf ab, den deutsch-europäischen Einfluss in den Ressourcengebieten am Kaspischen Meer zu sichern. Diesen wird auch erhebliche geostrategische Bedeutung zugeschrieben.

–    Wegen ihrer Bemühung um Kooperation hatte die Bundesregierung gegen den Widerstand mehrerer EU-Staaten ernste Verstöße gegen die Menschenrechte unter anderem in Usbekistan jahrelang ignoriert.

–   Berliner Regierungsberater warnen jetzt, der Einfluss Chinas nehme in Zentralasien zu und verhindere eine enge Anbindung der dortigen Staaten an Europa. Tatsächlich erzielen die Bemühungen Beijings, sich Zugriff auf die zentralasiatischen Rohstoffe zu sichern, deutliche Erfolge.

–   Berlin erhöht seinen Druck und nutzt mutmaßliche Menschenrechtsvergehen, um die eigene Position zu verbessern.

Menschenrechte

–   d. Wie das Auswärtige Amt berichtet, ist Staatsminister Gernot Erler (SPD) beim EU-Zentralasien-Treffen am gestrigen Dienstag demonstrativ mit einer Expertin der Menschenrechtsorganisation "Human Rights Watch" zusammengetroffen, um die Menschenrechtslage in den zentralasiatischen Staaten zu thematisieren. Berlin hatte in den vergangenen Jahren die Verabschiedung einer EU-Zentralasien-Strategie und eine Kooperation der EU mit den dortigen Staaten durchgesetzt, obwohl mehrere EU-Regierungen ernste Einwände erhoben: Es könne nicht angehen, etwa Menschenrechtsverletzungen in Usbekistan gänzlich auszublenden, hieß es unter Protest gegen die Bundesregierung.

–   Wegen der usbekischen Folterpraxis quittierte vor einigen Jahren ein britischer Botschafter in Taschkent seinen Dienst. Berlin hat nicht nur Usbekistan einen Ausweg aus der diplomatischen Isolation im Westen eröffnet [1], sondern auch Kasachstan trotz schwerer Vorwürfe gegen dessen Regierung den Weg zum Vorsitz in der OSZE gebahnt [2]. Ziel der politischen Annäherungen Berlins ist vor allem der Zugriff auf die zentralasiatischen Erdöl- und Erdgasvorräte.[3]

Instabil

–   Nicht nur in Afrika, auch in Zentralasien kämpft der Westen gegen den Einfluss der Volksrepublik China, deren Wirtschaft mittlerweile Teilhabe an den dortigen Rohstoffvorräten verlangt.

o    Waren es zunächst die USA, Großbritannien, Frankreich und insbesondere auch Deutschland, die nach dem Zerfall der Sowjetunion versuchten, in Konfrontation zu Russland Einflusssphären abzustecken,

●    drängt mit der VR China ein neuer "global player" in die Region, die wegen der Rivalitäten zwischen den äußeren Mächten als politisch und wirtschaftlich instabil gilt. Für die Regierungen in Zentralasien, die bislang amerikanische, russische und europäische Interessen gegeneinander ausspielen und sich damit eine gewisse Unabhängigkeit wahren konnten, ist das verstärkte chinesische Engagement von Vorteil: Es erlaubt eine stärkere Emanzipation von russischem Einfluss, ohne dafür eine vollständige politische Unterwerfung unter die Führungsstaaten der EU oder die USA erforderlich zu machen.

Regime Change

–   Dass Beijing dabei dem Prinzip folgt, sich nicht in die inneren Angelegenheiten der jeweiligen Staaten einzumischen, sichert den chinesischen Investitionen die Unterstützung der lokalen Regierungen.

–   Die USA und die Führungsstaaten der EU hatten seit den Umstürzen in Georgien (2003) und der Ukraine (2004) auf eine Politik des "regime change" ("Bunte Revolutionen") gesetzt, um prowestliches Personal an die Macht zu bringen und ihre wirtschaftlichen Möglichkeiten im ehemaligen sowjetischen Machtbereich dauerhaft zu verbessern.[4] In den Ländern Zentralasiens war dieser Strategie allerdings kein Erfolg beschieden. Die latente Drohung gegenüber den Regierungen dieser im Westen hoch verschuldeten Länder, bei politischer Missliebigkeit in die Innenpolitik einzugreifen, lässt chinesische Investoren vielmehr bis heute als weitaus besser geeignete Partner erscheinen.

Kein Erfolg

–   Zu dem Ergebnis, die Möglichkeiten eines vom Westen finanzierten und organisierten Umsturzes dürften nicht überbewertet werden, kam schon 2005 eine Studie der Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP). Der Autor untersuchte die innenpolitische Situation in Kirgistan, wo ein Umsturz ("Tulpenrevolution") nicht die erhoffte internationale Kräfteverschiebung erbracht hatte.[5] Die "Geschlossenheit der amtierenden Machteliten" dürfe nicht unterschätzt, der "Organisationsgrad sowie die politische Reife der oppositionellen Kräfte" nicht überbewertet werden, hieß es. Nach den Bürgerkriegserfahrungen der 1990er Jahre sei die Bevölkerung ohnehin nicht für einen wirklichen "Machtwechsel" zu gewinnen, zumal sich die Regierung das Wohlwollen der überwiegend armen Einwohner mit sozialen Absicherungen erkaufe.

Intransparent

Entsprechend beschwert sich Berlin jetzt regelmäßig über "intransparente" politische Strukturen der fünf zentralasiatischen Staaten, die demnach weniger auf "rechtsstaatlichen Normen" als auf paternalistischer Obstruktions- und Günstlingspolitik beruhten.

–   Große, neu entdeckte Öl- und Gasvorkommen beispielsweise in Turkmenistan seien nur unter erheblichen technischen Schwierigkeiten und mit hohen Erstinvestitionen auszubeuten, die in erster Linie aus Europa kommen müssten [6], heißt es in einer aktuellen Analyse der Deutschen Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP).

–   Den nötigen, von der EU verlangten "drastischen Reformen" stehe jedoch der politische Überlebenswille der zentralasiatischen Regierungen im Wege.

–   Die Widersprüche unter den EU-Führungsnationen selbst bei zentralen Projekten wie der Nabucco-Pipeline, die das russische Gazprom-Netz entbehrlich machen soll, würden die EU vollends als "glaubwürdigen Partner disqualifizieren":

–   Solange Brüssel keine einheitliche Politik gegenüber den zentralasiatischen Ländern betreibe, seien die "Vorraussetzungen für eine lebensfähige Partnerschaft" zwischen der EU und den zentralasiatischen Staaten nicht gegeben.

Prinzip Nichteinmischung

–   Der VR China hingegen ist es inzwischen gelungen, mit konsequenter Nichteinmischung Schlüsselpositionen als langfristiger Wirtschaftspartner zu besetzen.

o    In Turkmenistan beispielsweise avisiert die Regierung ein langfristiges Kooperationsabkommen mit China, das den Bau einer in diesem Jahr in Betrieb gehenden Pipeline beinhaltet und jährlich rund 30 Milliarden Kubikmeter Erdgas nach Westchina transportieren soll. China würde damit nach Russland, das rund 50 Milliarden Kubikmeter Gas pro Jahr einführt, zum zweitgrößten Importeur turkmenischen Erdgases.

o    Das chinesische Projekt steht dabei in Konfrontation nicht nur zu russischen, sondern auch zu deutsch-europäischen Interessen – schließlich bemühen sich Berlin und die EU ebenfalls um Zugriff auf turkmenisches Gas.

o    Dabei bietet die nun entstehende Pipeline nach China Beijing eine verlässliche Garantie für langfristige Lieferungen, die künftig Deutschland und der EU nicht mehr zur Verfügung stehen.

Luftwaffenstützpunkt

–   Nicht nur der Zugriff auf Öl, Gas und andere Bodenschätze scheint gefährdet – auch die geopolitische Konstellation verschiebt sich.

–   Usbekistan hat kürzlich die amerikanischen Militärbasen zugunsten eines Beistandsabkommens mit Russland gekündigt.

–   Die Bundeswehr nutzt mit ihrer Luftwaffenbasis in Termez den letzten verbliebenen Militärstützpunkt des Westens in Usbekistan, der wegen seiner unmittelbaren Nachbarschaft zu Afghanistan von strategischer Bedeutung für die westlichen Aktivitäten in Zentralasien ist.

–   Auch hier mahnt die Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP) bereits seit Jahren, die Abwendung der usbekischen Regierung von den westlichen Verbündeten gehe mit einer engeren Kooperation mit Russland, aber auch mit China einher.[7]

Projekt Seidenstraße

–   Deutsche Medien warnen mittlerweile vor einem neuen chinesischen "Projekt Seidenstraße". Bereits 2006 tagten die vier zentralasiatischen Länder Kasachstan, Kirgistan, Tadschikistan und Usbekistan während eines "Investitionsforums Seidenstraße" in China, um eine engere wirtschaftliche, aber auch politische Kooperation zu erreichen.

–   Für Kasachstan ist China inzwischen der größte Handelspartner; dabei bestehen 80 Prozent der kasachischen Lieferungen in die Volksrepublik aus Rohstoffen.

–   Noch höher ist deren Anteil an der turkmenisch-chinesischen Handelsbilanz.

–   Selbst das bedeutend rohstoffärmere Kirgistan ist mit 60 Prozent Rohstoffanteil an den Exporten nach China längst ökonomisch eng mit der Volksrepublik verbunden.

–   All dies "dämpft allzu große wirtschaftliche Hoffnungen" des Westens, in Zentralasien zum Zuge kommen zu können, heißt es in der Berliner Presse: "Bis jetzt haben sich alle Prozesse in diese Richtung eindeutig zugunsten der Volksrepublik China entwickelt".[8]

–   Zeit also, die Kooperationsbemühungen der vergangenen Jahre um einige Druckmittel zu erweitern. Die Menschenrechte, für die sich Berlin in Zentralasien lange nicht besonders interessierte, gehören dazu.

[1] s. dazu Günstige Lage und Prioritäten der EU

[2] s. dazu Weitgehend verschwiegen

[3] s. dazu Spät, aber nachhaltig, Südlicher Korridor und Masterplan

[4] s. dazu Keine Großmachtspiele!, Antisemitische "Kultur" und "Befreiung der Ukraine"

[5] Regimewechsel in Kirgistan und Umsturzängste im GUS-Raum; SWP Aktuell A15, April 2005

[6] Luba Azarch: Zentralasien und die EU. Aussichten einer Energiepartnerschaft, DGAP Analyse No. 7, August 2009

[7] Usbekistan als Herausforderung für westliche Zentralasienpolitik; SWP-Studie S2

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