FRANCO VENTURINI
Preso atto del ritiro italiano dall’IRAQ, la RICE ha
cercato la collaborazione italiana sia in IRAQ, sia altrove: AFGANISTAN, IRAN,
BALCANI. Per l’ITALIA un’opportunità di avere maggior peso nella scena
internazionale.
La cosa potrà dispiacere a qualcuno, ma l’incontro
tanto atteso tra Massimo D’Alema e Condoleezza Rice non è stato una sfida
all’OK Corral. Chi presumeva (o sperava) che l’Italia di centrosinistra e
l’amministrazione Bush fossero condannate allo scontro, aveva sottovalutato due
elementi cruciali. Il primo è che, così come le Borse scontano in anticipo i
movimenti finanziari, la diplomazia prevede e circoscrive per tempo i dissensi
politici.
Il secondo elemento riguarda l’evoluzione multilateralista della politica
americana dopo le sanguinose battute d’arresto subite in Iraq, la maggiore
disponibilità che Washington mostra verso i suoi alleati e l’interesse che gli
Usa portano, più che mai con una crisi iraniana non ancora sventata, alla
coesione della comunità occidentale.
Il risultato è che Condoleezza Rice ha reagito con esemplare pragmatismo a
quanto si aspettava di sentire dal nostro ministro degli Esteri, compresa la
richiesta di chiudere Guantanamo e il rammarico per la scarsa collaborazione
ricevuta sul caso Calipari. Senza con ciò sconfinare nell’ipocrisia:
nessuno dubita, anche dopo l’incontro, che il ritiro del contingente italiano
dall’Iraq risulti sgradito alla Casa Bianca; così come resta chiara, da parte
del governo di Roma, la rivendicazione di una amicizia non passiva o
subalterna, e dunque capace di esprimere anche dissenso come è avvenuto e
avviene sull’Iraq.
La notizia della comune volontà italo-statunitense di guardare avanti è
buona per il governo, meno buona per la sua «sinistra antagonista» che vede
crescere il prezzo politico di una mal riposta militanza pacifista, e
cattiva per l’opposizione che sperava nella sponda americana per denunciare
le malefatte governative in politica estera. Ma quel che più conta, ora che
l’ipotizzata resa dei conti ha assunto forme e sostanza di una discussione tra
alleati, è capire come e dove Italia e Stati Uniti intendano collaborare.
L’Iraq, nel loro rapporto, è una partita ormai giocata. Il ritiro del
contingente militare italiano avrà luogo se possibile entro l’autunno e sarà
totale per quanto riguarda i reparti operativi. Contemporaneamente l’Italia
offrirà sostegno a una serie di attività multilaterali riconducibili al
capitolo della ricostruzione: addestramento delle forze locali nell’ambito di
una missione Nato (vi partecipano anche Francia e Germania, benché fuori dal
territorio iracheno), assistenza giuridico-amministrativa nell’ambito di una
missione Ue, aiuti umanitari sotto l’egida dell’Onu.
Scontata la permanenza militare italiana nei Balcani e ribadita l’esigenza
di evitare che nei territori palestinesi possa aver luogo una catastrofe
umanitaria, l’altro terreno di prova è l’Afghanistan. D’Alema ha potuto parlare
alla Rice di piena continuità e fedeltà agli impegni. Se poi le circostanze
operative consiglieranno un maggior impegno, il governo di Roma esaminerà e
deciderà.
Poi c’è l’Iran. La prossima settimana George Bush sarà a Vienna per il
vertice Usa-Ue, e di sicuro esorterà gli europei a mantenere il fronte unito
che ha dato origine alle proposte del 6 giugno. Ma come risponderà Teheran a
queste proposte? Il timore Usa, che la Rice non ha nascosto, è che il nuovo
possibilismo di Ahmadinejad punti a innescare un lungo negoziato senza
sospendere l’arricchimento dell’uranio. In tal caso Washington potrebbe
chiedere di passare alle sanzioni, e l’Italia, con i suoi forti interessi in
Iran, sarebbe chiamata a compiere una scelta difficile. Difficile e non gradita
ma quasi scontata, in senso positivo. E non sarà prematuro, se si dovesse
giungere a tanto, guardare ancora avanti, prendere posizione su un eventuale
ricorso alla forza (qui la previsione è di una risposta negativa) e sperare che
l’Europa non torni a spaccarsi come accadde sull’Iraq. Del resto, se è prudente
prepararsi a un futuro anche cupo, in materia di Iran l’Italia ha da
affermare qualcosa di molto attuale: l’interesse nazionale che portiamo al
coinvolgimento diretto nelle trattative con Teheran, dopo che la formula del G6
ci ha esclusi dal tavolo e ben sapendo che il coinvolgimento del G8 (dove siamo
presenti) non andrà molto lontano per l’assenza della Cina.
Bastano questi rapidi cenni per capire che a Washington l’Italia è entrata in
un dopo-Iraq politico ricco di potenzialità per la nostra politica estera. Se
si vuole sfruttarle, è necessario che il governo enunci con chiarezza le sue
intenzioni in Afghanistan prima del voto sul rifinanziamento delle missioni
militari. E sarebbe necessario, soprattutto, che la sinistra-sinistra di area
governativa comprendesse come l’Italia abbia oggi l’opportunità di avere una
presenza diversa sulla scena internazionale a patto che massimalismi ed
esibizionismi non la riducano a burletta. Questo non risulta che
Condoleezza Rice lo abbia detto a D’Alema. Ma c’è da giurare che lo ha pensato,
e forse non da sola.