Il piano B, un «Grande scambio» per congelare la bomba

IRAN, NUCLEARE, RELAZIONI
INTERNAZIONALI

CORRIERE Mar. 25/4/2006  
Franco Venturini

La Trilaterale

Per ricompensare lo stop di
Teheran, gli Usa non rovescerebbero il regime e Gerusalemme fermerebbe le sue
ricerche

TOKIO – Se l’uso della forza non è la soluzione, esiste
un «piano B» per impedire che l’Iran diventi una potenza nucleare? E la Russia
che in luglio ospiterà il G-8, può dare un contributo malgrado la sua
involuzione democratica?
A questi due interrogativi ha dedicato la sua
attenzione la Commissione Trilaterale riunita a Tokio, e l’esercizio non è
risultato privo di interesse.
L’Iran che corre verso la bomba H, hanno osservato in molti, pone la comunità
internazionale davanti al classico «dilemma impossibile». È impossibile
rimanere indifferenti davanti alla proliferazione che un Iran con l’atomica
rischierebbe di innescare, e ancor più davanti al pericolo che peserebbe su
Israele visti i truculenti propositi del presidente Ahmadinejad. Ma il rovescio
della medaglia – lo ha sottolineato il rapporto di Hervé de Carmoy – fa
anch’esso paura. Se attaccato, l’Iran potrebbe utilizzare la minoranza sciita
per destabilizzare l’Arabia Saudita. Dare via libera al terrorismo contro
interessi Usa e israeliani. Gettare olio sul fuoco delle sanguinose faide
irachene contando stavolta sulla maggioranza sciita. Tentare il blocco dello
Stretto di Hormuz. E soprattutto, potrebbe infiammare ulteriormente il mondo
islamico, mettere in difficoltà i governi arabi moderati e creare panico sul
mercato mondiale del greggio facendo salire il prezzo del barile a livelli
insostenibili per molte economie. Questo a prescindere dal non scontato esito
militare dell’impresa.
Di più, il vasto consenso interno che circonda in Iran il programma nucleare
renderebbe una reazione nazionalista assai più probabile di un «cambio di
regime», tanto nell’ipotesi di sanzioni (peraltro ritenute poco efficaci)
quanto in quella del ricorso alla forza. E un accordo internazionale che si
vorrebbe ampio (gli Usa cercano di evitare una ripetizione dello scenario
unilaterale iracheno) troverebbe ostacoli non secondari nei legami
economico-energetici di Teheran con Mosca, con Pechino, con New Delhi, con
Tokio e con diversi Paesi europei.
In cosa potrebbe consistere, allora, il «piano B»? La risposta è in un
dialogo diretto tra iraniani e americani
. Dopo i discreti auspici in questo
senso dei britannici e dei tedeschi, e dopo l’esplicito invito dell’influente
senatore repubblicano Richard Lugar, nelle discussioni di Tokio è stato
immaginato un «Grande scambio» mediorientale. L’Iran accetterebbe di
congelare le sue ricerche nucleari, e analogo impegno di moratoria verrebbe
preso dagli altri partecipanti all’ipotetico accordo (tra i quali Israele)
.

Verrebbero adottate misure anti-proliferazione e di fiducia reciproca.
Israele riceverebbe una garanzia internazionale di sicurezza analoga a quella
prevista dall’articolo 5 della Nato. L’Iran otterrebbe a sua volta garanzie di
non aggressione e di cessazione della strategia del «cambio di regime» da parte
degli Usa, e importerebbe dall’esterno forniture di combustibile nucleare ad
uso civile. L’Aiea avrebbe piena libertà di accesso per verificare il rispetto
delle intese
.
Molti ostacoli rischiano di rendere teorico un simile schema. Bush dovrebbe
cambiare politica. Israele dovrebbe accettare una delega ad altri sulla propria
sicurezza. Risulterebbe arduo avere fiducia nella parola di Ahmadinejad
. Ma
davanti alla «doppia impossibilità», e considerando che Iran e Usa hanno già accettato
di parlarsi sull’Iraq, l’idea del dialogo diretto potrebbe essere esplorata. Diversamente
dall’esperta francese Thérèse Delpech che suggerisce di fermare l’Iran senza
ulteriori ritardi, Henry Kissinger ha dato una benedizione condizionata al
«Grande scambio»: i negoziati non devono durare più di 15-18 mesi, al termine
dei quali l’opzione della forza tornerebbe in auge
. Il russo Karaganov
si è chiesto se questi tempi siano quelli utili a Bush, ma ha approvato
anch’egli l’idea della trattativa con Teheran guidata dagli Usa
. Dove, in
quale cornice? È qui che entra in gioco Putin.
La Trilaterale esclude che la Russia possa essere privata del suo G-8
(come aveva recentemente chiesto sul Corriere Andrei Illarionov) pur
sottolineando che dal 2003 a oggi la transizione democratica russa ha innestato
la retromarcia. «Non si può mettere Mosca sul banco degli accusati – ha detto
ancora Kissinger – perché dobbiamo sì difendere i nostri valori ma anche
separare le tattiche dalle strategie»
. E visto che a proposito di tattiche
la Russia rimane contraria persino al primo passo delle sanzioni anti Iran
(come la Cina) ma contemporaneamente afferma di non volere che Teheran acquisti
il grilletto nucleare, potrebbe forse essere proprio il G-8 una buona
occasione per scoprire le carte iraniane di Putin? Il tema della sicurezza
energetica non è forse legato alla vicenda di Teheran? E se il G-8 venisse al
più presto allargato alla Cina e all’India
(che comunque un giorno
entreranno) non sarebbe questa la sede migliore per esplorare l’ipotesi del
«Grande scambio» prima di portare la verifica in sede regionale?

Le idee di Tokio restano per il momento soltanto idee, e le cronache sembrano
andare in direzione opposta: la Russia rifiuta di sospendere la sua
collaborazione nucleare civile con Teheran e non blocca la prevista vendita di
missili all’Iran, gli Usa ipotizzano una «coalition of the willing» che
isolerebbe Mosca e Pechino, tutti aspettano il rapporto Aiea del 28 aprile per
vedere cosa accadrà al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Non è detto, del resto,
che un G-8 o un G-10 possano risultare più compatti, e farsi maggiormente
ascoltare da Teheran, rispetto al G-6 finora sperimentato (i cinque con diritto
di veto all’Onu più la Germania). Anche se nel G-8 o derivati l’Italia
otterrebbe finalmente di poter dire la sua al tavolo del confronto.
Stretta tra le «due impossibilità» le sfida iraniana continua. E le idee, anche
dopo Tokio, sembrano più numerose delle speranze.

I
potenti

NASCITA La Commissione trilaterale è stata fondata nel
1973 a New York da personaggi quali David Rockefeller, Henry Kissinger e
Zbigniew Brzezinski
MEMBRI Fanno parte della Trilaterale circa 300 «privati cittadini»
provenienti da Europa, Nordamerica e Giappone. La società promuove le relazioni
tra le diverse aree rappresentate

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