Orban è stato rieletto per un quarto mandato, certo grazie a una legge elettorale scritta a suo vantaggio, certo per il ferreo bavaglio imposto ai media, ma principalmente perché, mentre la maggior parte dei leaders europei ha infilato l’elmetto a fianco della Nato, ha scelto di rifiutare le armi all’Ucraina e di conservare buoni rapporti con la Russia in nome degli interessi specifici dell’Ungheria e per poter continuare impunemente a sfruttare i lavoratori ungheresi.
Salvini applaude: Orban è stato rieletto con una comoda maggioranza (nota 1) contro una larghissima coalizione che andava dai conservatori ultracattolici ai socialisti, dai verdi ai centristi e ai liberali.
La scelta elettorale vincente, secondo tutti i commentatori, è stata il rifiuto di allinearsi col fronte anti-Putin. “Questa non è la nostra guerra, dobbiamo restarne fuori”, ha dichiarato. Una neutralità totale la sua, che significa niente sanzioni, niente invio di armi all’Ucraina, niente passaggio di armi per l’Ucraina su territorio ungherese. Tiepida condanna della invasione russa, ma attacco ai guerrafondai della UE e della Nato.
Il movimento operaio non ha niente a che spartire con il regime di Orban, che ha creato una robusta struttura di clientele a spese dei contributi europei (quindi anche lei lavoratori italiani) col beneplacito dei burocrati di Bruxelles. Che ha limitato le libertà borghesi di stampa e libera magistratura. Ma soprattutto, per attirare gli investimenti industriali esteri (principalmente tedeschi, ma anche italiani), ha quasi strangolato i lavoratori ungheresi: quasi impossibile scioperare legalmente; col pretesto del Covid stop ai contratti di lavoro nazionali e perfino quelli aziendali. In pratica l’operaio ungherese ha solo un contratto individuale di lavoro, il padrone può fissare unilateralmente l’orario settimanale di lavoro, i recuperi dell’orario perso per malattia e se il lavoratore si licenzia deve restituire l’equivalente di un anno di salario.
Ma è evidente che la gente comune, anche una quota di lavoratori è stata sensibile al discorso “io eviterò che le famiglie ungheresi paghino il prezzo della guerra in corso”, perché è questo che succederà negli altri paesi europei, compreso il nostro, e anche in Ucraina e in Russia. I lavoratori pagheranno cara questa guerra, con l’inflazione, l’aumento delle tasse indirette, a tutto vantaggio dei produttori di armi, delle compagnie che gestiscono l’energia qui, a vantaggio degli oligarchi in Ucraina e in Russia.
I lavoratori pagheranno anche da noi con una censura attuata con mezzi indiretti (il pensiero unico dominante sui media controllati dalla grande borghesia), pagheranno in termini di maggior controllo poliziesco e di limitazione delle forme di protesta sindacale e politica (se ne vedono già i segnali striscianti). I lavoratori russi e ucraini pagheranno anche con la vita.
Non ci si deve quindi illudere sulla “soluzione Orban. Discrimina pesantemente gli immigrati, in particolare se mussulmani, ostacola l’organizzazione sindacale e la libera espressione politica. Anche rispetto ai profughi ucraini, cui formalmente esprime solidarietà, il governo ungherese ha cercato di limitare l’accoglienza ai circa 200 mila che costituiscono la minoranza ungherese che viveva in Ucraina prima della guerra (realizzando così fra l’altro uno dei punti del suo programma, cioè attirare la manodopera ungherese che si trova nei paesi limitrofi). Peccato che negli anni scorsi il governo abbia sistematicamente smantellato le infrastrutture destinate all’accoglienza.
Orban ammira il modello di governo realizzato da Putin in Russia, senza contare che la Russia garantisce fra il 70 e l’80% delle forniture di gas e il 64% del petrolio all’Ungheria. Ma respingendo gli appelli di Zelensky, Orban si è tolto una soddisfazione; i rapporti con l’Ucraina erano già tesi dopo che nel 2017 il Parlamento ucraino ha varato una legge che proibisce l’uso a scuola delle lingue delle minoranze linguistiche (cioè Greci, Bulgari, Rimeni, Polacchi e anche ungheresi).
Ora però dovrà giostrarsi fra la solidarietà a Putin e la minaccia di contromisure da parte della UE, che potrebbe parzialmente chiudere i rubinetti delle sovvenzioni.
Per attirare voti ha varato i soliti “regali” preelettorali (che il Sole 24 ore elenca e cioè gli interventi a sostegno delle pensioni, i sussidi per i figli a carico, le esenzioni fiscali per i giovani, l’aumento delle retribuzioni per le forze armate, gli sconti sulle bollette di luce e gas, le misure per contenere i prezzi) avranno un costo, valutato intorno ai 5 miliardi di €. I conti pubblici, già messi a dura prova dal Covid, potrebbero tracollare. I piccoli miglioramenti ottenuti dalle famiglie dei lavoratori saranno velocemente erosi dall’inflazione.
Per rispondere alle critiche di maschilismo ha incaricato per la prima volta un premier donna. Ma naturalmente per la gioia delle femministe ungheresi, molto attive, ha scelto Katalin Novak, super cattolica, super omofoba, paladina delle famiglie numerose, sostenitrice di un modello di donna “che sa stare al suo posto”.
Non solo. Il “pacifico” Orban non vuole dare armi all’Ucraina, ma ha promesso ulteriori sgravi fiscali a quei produttori di armi tedeschi che volessero delocalizzare in Ungheria, sbandierando le condizioni ultra favorevoli di sfruttamento della manodopera. La salvaguardia della vita e delle condizioni di vita dei lavoratori ungheresi non è in cima ai suoi pensieri.
Non è da Orban quindi che accettiamo lezioni di pace, né dall’Unione Europea che si è ben guardata dal multare il governo ungherese che strozza con le sue leggi i lavoratori in barba alla stessa legislazione Europea.
La pace i lavoratori se la conquisteranno rafforzando le loro organizzazioni autonome, lottando contro tutti gli oppressori che siano Putin, Orban, Draghi o Scholz, rialzando la bandiera con su scritto “Lavoratori di tutti i paesi uniamoci”.
Nota 1: con il 91% dei voti scrutinati il partito di governo Fidesz con i cristiano-democratici di Kdnp, ha ottenuto il 54,6% delle preferenze, con 2,8 milioni di voti, che gli garantiscono il controllo di 134 seggi su 199. L’opposizione guidata da Peter Marki-Zayprende il 33,6% delle preferenze, con 1,8 milioni di voti, quindi avrà 58 seggi in Parlamento. Anche l’estrema destra ha avuto un buon risultato, con il 6,4% e 7 seggi.
L’affluenza è stata piuttosto alta rispetto al passato: 69,5°% dei 9,7 milioni che avevano diritto al voto. L’opposizione ha denunciato la legge elettorale, ma anche il “gerrymandering”, cioè la pratica di modificare strumentalmente i confini dei collegi elettorali in modo da favorire una certa parte politica.